Vite sotto occupazione: “Non ho un futuro”

Gaza – Pchr. Narrative sotto assedio.

Mamoun Ahmad Dalloul, 36 anni, vive a Tel al-Hawa con sua moglie e i loro 9 figli. Fino a poco tempo fa possedeva un caseificio in cui si producevano latte, formaggi e yogurt. Dal dicembre  2008 Mamoun ha ricostruito la sua fabbrica 4 volte dopo che essa è stata ripetutamente colpita e distrutta dalle Forze israeliane. La notte del 4 giugno 2012, verso l’una, le Forze israeliane hanno colpito e distrutto la fabbrica per la quinta volta.

La sera dell’attacco più recente Mamoun ricevette una telefonata da suo fratello, che abitava accanto alla fabbrica, il quale lo informò che un missile sparato da un F-16 aveva colpito la fabbrica. “Corsi sul luogo e vi trovai pompieri e polizia: i vicini erano in preda al panico. Fui informato che un missile aveva colpito la fabbrica ed era penetrato 6 o 7 metri nel terreno. Ci fu una specie di terremoto per 5 minuti, dopo di che il missile esplose, trascinando tutto nel cratere. Non so che tipo di missile fosse”.

Dopo i 5 attacchi alla sua fabbrica, Mamoun è devastato. “La prima volta che venne distrutta fu l’8 dicembre 2008, durante l’Operazione Piombo Fuso. La fabbrica allora era molto grande, si trovava al piano terra del nostro appartamento. Ricevetti una telefonata dalle Forze israeliane le quali mi informarono che la fabbrica sarebbe stata colpita nei 15 minuti successivi. La mia famiglia ed io fuggimmo subito, vennero sparati 3 missili da un F-16 e l’edificio fu completamente distrutto. In pochi minuti perdemmo tutto, ci ritrovammo improvvisamente senza casa e io persi la mia unica fonte di sostentamento”.

Mamoun e la sua famiglia dovettero spostarsi da un alloggio all’altro. “Ricevemmo ospitalità, dapprima, per alcuni giorni, presso i miei genitori, poi ci trasferimmo a casa di mio cognato e poi a casa di mio fratello. Mio figlio continuava a chiedermi perché non avevamo una casa. Infine, poiché mia moglie è una rifugiata, l’Unrwa ci costruì un’unità abitativa indipendente. Poi ricostruii la mia fabbrica a Sabra, nel centro di Gaza City. Era molto piccola e modesta, sia per la mancanza di materiale da costruzione a Gaza che per questioni economiche. Sei mesi più tardi anche questa fabbrica venne distrutta dalle Forze israeliane. Mi misi quindi in società, e provai a ricostruire da un’altra parte, ma la struttura fu distrutta durante la costruzione”.

A questo punto Mamoun si arrese, e decise di non costruire più. “Le prime due volte ricostruii perché il caseificio era la mia unica fonte di sostentamento. Le possibilità occupazionali a Gaza sono quasi inesistenti, e la mia fabbrica offriva lavoro a 120 persone, tra cui 3 miei fratelli e un mio figlio. Vedevo come soffrivano senza un lavoro, e pensai che la fabbrica avrebbe almeno garantito un aiuto per le loro famiglie. Dopo il terzo attacco ne ebbi abbastanza, ma un rappresentante della Commissione europea venne in visita da Gerusalemme dicendo che loro avrebbero mediato per conto mio e promettendo che la fabbrica non sarebbe stata più colpita. Ad ogni mio nuovo acquisto di macchinari venivano a fotografare e ad assicurarsi che tutto procedesse nel migliore dei modi. Ciò mi diede coraggio e, lentamente, iniziai a sviluppare la fabbrica. Poi, di nuovo, essa fu colpita e distrutta. Non mantennero la promessa fattami”.

Ogni attacco ha causato gravi difficoltà economiche a Mamoun e alla sua famiglia. “Ho dovuto far ricorso a prestiti, e i miei risparmi si sono quasi esauriti. Per poter ricostruire la fabbrica ho venduto 2 appezzamenti di terreno, e pure la casa che ci era stata data dall’Unrwa. Non riesco più a far fronte alle spese necessarie al sostentamento della mia famiglia. Per un periodo mi venne persino negato, dai condomini, di affittare un appartamento presso il loro condominio, temendo di venire colpiti a causa della mia presenza”.

Mamoun considera la sua storia una delle tante che dimostrano la sofferenza di Gaza: “Ci sono persone che vengono fatte trasferire, e poi muoiono. So cosa si prova a non avere una casa. I miei figli sono cresciuti vedendo morti, guerra e distruzione, ed ora non reagiscono più agli attacchi aerei, tanto ne sono abituati. Il mio caseificio era un fabbricato civile in cui non avveniva alcuna attività di resistenza. Perché avrei dovuto mettere in pericolo la mia famiglia? Sono stanco di queste distruzioni: ora non ho più un futuro. Perché non ci viene permesso di vivere in pace e stabilità come ad altre persone nel mondo?”

L’attacco diretto di un obiettivo civile, come codificato nell’articolo 8 (2) (b) (ii) dello Statuto di Roma del Tribunale criminale internazionale, costituisce crimine di guerra. Allo stesso modo, l’articolo 53 della Quarta convenzione di Ginevra proibisce la distruzione di proprietà private, nel caso essa non sia resa assolutamente necessaria da operazioni militari. La distruzione di queste fabbriche vìola i principi dei diritti umani, tra i quali il diritto al lavoro e il diritto di pervenire a un adeguato tenore di vita contenuti nell’articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice