‘Welcome to Palestine’ deportati pronti a riprovarci

Di Mya Guarnieri. 

Sarasota (Florida) – Ma'anLaura Durkey ha passato 100 ore in una prigione israeliana semplicemente per aver espresso l'intenzione di visitare Betlemme e il limitrofo campo profughi “Aida”, situato in Cisgiordania.

Ma la ventinovenne attivista e film-maker dice che se avesse i soldi sarebbe felice di rifarlo. Ha prontamente aggiunto che la prova cui è stata sottoposta è “vicina a ciò che accade ai palestinesi” che resistono all’occupazione di Israele.

 Durkay ha partecipato ai voli dell’8 giugno, una protesta organizzata nel tentativo di richiamare l'attenzione nei confronti delle restrizioni che affliggono sia palestinesi residenti in West Bank sia chi simpatizza con loro.

Come la stessa Durkey ha fatto, al controllo dei passaporti, i partecipanti hanno espresso liberamente l’intenzione di visitare la Palestina – una piccolo, pacifica azione che può portare alla deportazione.

In accordo con gli organizzatori, 600 attivisti hanno pianificato la loro partecipazione alla campagna  “Benvenuti in Palestina”, la quale ripeteva l'esperienza della “Flytilla” a sua volta correlata alla flotilla il cui intento era quello di superare il blocco israeliano di Gaza. Ad alcuni partecipanti è stato preventivamente impedito di imbarcarsi per i loro voli in Europa, dopo che le autorità israeliane avevano mandato alle linee aeree una “no-fly list”, una lista degli indesiderati, contenente i nomi di più di 300 attivisti.

Durkay, che vive nella città di New York e ha visitato Gaza, non ha riscontrato problemi fino all’arrivo all’aeroporto di Ben Gurion.

Al controllo per i passaporti, ha confermato la propria intenzione di visitare Betlemme. Quando il funzionario le ha chiesto alcuni chiarimenti, Durkay ha Detto: “Ho un invito per il campo profughi di Aida”.

“E' stato ciò che avevano bisogno di sentire”, ricorda Durkay durante una recente intervista telefonica.

“Immediatamente dopo, è arrivata una donna, ufficiale dell’ufficio immigrazione”.

Durkay e una dozzina di altri attivisti sono stati condotti in una stanza dell’aeroporto, dove sono rimasti seduti per diverse ore. Alla fine, sono entrati la polizia e agenti di frontiera.

 “Erano 25 contro 40 di noi”, riporta Durkay. “Il loro numero era schiacciante”.

 Al momento in cui gli ufficiali hanno tentato di separare uno degli attivisti dal gruppo – un francese di origine araba – alcuni dei partecipanti lo hanno trattenuto in un gesto di solidarietà e resistenza non-violento.

 “Era la scusa di cui (gli ufficiali israeliani) avevano bisogno per iniziare a colpire e a prendere a pugni i presenti”.

 Una volta spostati dalla stanza, gli attivisti sono stati perquisiti e condotti in un autobus. “All’apparenza sembrava un normalissimo autobus turistico. Al suo interno però era un cellulare penitenziario”, ricorda Durkay. “Era di metallo, era molto caldo, nessuna aria condizionata e nemmeno i servizi. Vi erano anche degli scarafaggi”.

Il gruppo è stato confinato nell’autobus infestato da scarafaggi per diverse ore e poi trasferito alla prigione di Givon, a Ramla.

 Dopo essere stati sottoposti a processo, ai manifestanti è stato dato da mangiare.

“Non ci è stato dato abbastanza cibo, perché ciascuno di noi avesse il suo pasto”, dice Durkay.

“Così, lo abbiamo diviso tra di noi, e gli israeliani ci riprendevano mentre mangiavamo per mostrare come ci stessero trattando bene”.

Durkay ha diviso la cella con cinque altre donne, tutte partecipanti a “Benvenuti in Palestina”. Gli attivisti sono stati tenuti separati dagli altri carcerati, sconosciuti lavoratori migranti e rifugiati africani.

Ad una delle compagne di Durkey, affetta da diarrea – che in alcuni casi può condurre alla morte -, sono state negate cure mediche appropriate per i primi tre giorni di detenzione. Alla donna è stato concessa la visita di un dottore e la somministrazione di farmaci anti-diarrea solo al quarto giorno, non molto prima che il gruppo venisse deportato.

 “Io credo che (gli israeliani) abbiano davvero paura delle proteste non-violente e della solidarietà internazionale. Non sanno come farvi fronte”, riflette Durkey, aggiungendo che i dirigenti dell’ufficio immigrazione ripetevano agli attivisti: “Voi siete qui solo per danneggiare la nostra immagine. Volete semplicemente farci sembrare cattivi”.

 Durkay sottolinea che ciò che fa apparire cattivo Israele è il negare l’ingresso agli attivisti, che semplicemente desideravano visitare la West Bank. E aggiunge che è stato “stupido” da parte degli israeliani inviare una “no-fly list” alle compagnie aeree europee, in quanto dimostra che “l'assedio israeliano della Cisgiordania si estende fino alla Francia”.

“Anziché guardare alle realtà politiche che la gente critica, [gli israeliani] dicono: 'Oh, smettetela di imbarazzarci'”.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.