Yarmouk e il disastro in corso. L’intervista

150404-yarmouk-archiveLa situazione nel campo profughi palestinese di Yarmouk, a Damasco, in Siria, permane grave. Il 1° aprile, il campo è stato invaso dalle gang dell’ISIS, appoggiate dal Fronte al-Nusra, gruppo qaedista presente già dalla fine del 2012 nel caos politico, militare e geopolitico di questa regione mediorientale.

Le responsabilità della tragica situazione di Yarmouk sono molteplici e a più livelli e per il momento sembra ci siano poche vie d’uscita. Le urgenze immediate sono la sopravvivenza fisica della popolazione intrappolata nel campo.

Abbiamo chiesto al presidente dell’Api-Associazione dei Palestinesi in Italia, Mohammad Hannoun, di raccontarci quali sono le iniziative in corso in Italia e in Europa a sostegno della popolazione assediata.

M.H. “Stiamo organizzando vari presidi, a Genova, Milano, Roma, per spiegare agli italiani qual è la situazione a Yarmouk. I media mainstream non ne parlano quasi, in quanto, evidentemente, sono coinvolti dei Palestinesi, cittadini di serie B.

“Abbiamo lanciato un appello diretto appunto ai media e ai politici, affinché si attivino per porre fine alla tragedia in corso. Chiediamo un corridoio umanitario verso il campo di Yarmouk per portare medicine, di cui la popolazione ha estremo bisogno. Stiamo lavorando in tutti gli stati europei. C’è un movimento a tutti i livelli: presidi, manifestazioni, raccolta fondi, convoglio umanitario”.

I.: State preparando un convoglio umanitario? Non temete di finire nelle mani dell’ISIS?

“Abbiamo cominciato contatti a vari livelli e chiesto garanzie per farci passare. Nostro scopo è entrare dentro Yarmouk e portare medicine. Siamo già stati altre volte, sempre in condizioni molto difficili. Certo, questa volta la situazione è peggiore, a causa della presenza dell’ISIS… C’è sempre il rischio di essere rapiti in Siria, ma non possiamo dimenticare la sofferenza dei nostri fratelli.   Del convoglio internazionale faranno parte movimenti e associazioni umanitarie europee. Saremo in tanti, anche per difenderci: più saremo e più difficile sarà rapirci. Portiamo medicinali e speriamo anche dei medici. Dall’Italia ci sarà l’Abspp – Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese -, singoli e associazioni umanitarie, palestinesi e non”.

I.: C’è molto silenzio mediatico su quanto sta accadendo a Yarmouk. Secondo lei perché?

M.H. “Come sempre, un palestinese che muore non conta nulla. Un Palestinese sgozzato non fa notizia. Ne hanno già sgozzati 15, quei criminali, tra cui l’imam del campo di Yarmouk. L’ISIS vuole il completo riconoscimento del loro gruppo e della loro bandiera. L’ISIS è egocentrico, non può collaborare con nessuna altra realtà, in quanto si considera come khalifa, l’unico legittimo stato islamico, quindi ogni musulmano deve darne il riconoscimento, o spontaneamente o con la forza. Sono un progetto imperialista vecchio, con altro nome, che risale agli anni ’80, in Afghanistan, per combattere, attraverso soldi e combattenti musulmani contro l’Unione Sovietica. Ora il progetto è stato sviluppato ulteriormente, superando al-Qaida, e con un’ideologia peggiore.

“Io, da musulmano, non accetto che questi dell’ISIS appartengano all’Islam. L’essere umano è sacro. Loro dicono: possiamo sgozzare 10 persone. Ma perché? A nome di chi, cosa? Il profeta educava, non tagliava teste. Secondo noi, queste persone vanno combattute. Dobbiamo svegliare le conoscenze”.

I.: Secondo lei, chi ha interesse alla diffusione dell’ISIS?

M.H.: “E’ un progetto statunitense-israeliano-saudita per dominare meglio il mondo arabo islamico, scatenare paura e rinnovare i contratti militari con gli Usa per il rifornimento di armi e la ‘difesa’ del mondo islamico. Cioè, viene creato il problema ISIS per provocare negli stati arabi la richiesta di intervento americano, sia a livello di armamenti sia di presenza militare. E’ come per i virus creati dalle stesse multinazionali dell’informatica: creano il problema e la risposta al problema. Un altro obiettivo è quello di spaventare i regimi, in modo da tenerli sotto controllo”.

I.: Chi sono i combattenti di Aknaf Beit al-Maqdis che si stanno opponendo all’ISIS?

M.H.: “E’ una formazione palestinese vicina a Hamas. Il loro compito è difendere il campo da invasori esterni per garantire che non prenda parte alle lotte tra le fazioni in Siria. Sono ex combattenti addestrati dall’Esercito di liberazione palestinese, che faceva parte dell’esercito siriano, prima della guerra civile. Con lo scoppio del conflitto, al-Nusra e Aknaf sono state formazioni alleate, poi al-Nusra è passata con l’ISIS.

“Quello di Yarmouk era il più grande campo profughi in Siria, con il maggior numero di intellettuali, associazioni palestinesi, ecc. Cadere nelle mani dell’ISIS significa distruggere ogni simbolo palestinese in Siria”.