Per il 13° anno il Knesset estende misure di emergenza ‘razziste’ sulla legge di riunificazione familiare

353332CBetlemme-Ma’an. Il parlamento israeliano, la Knesset, ha votato per riproporre la misura di Israele ‘Cittadinanza e ingresso in Israele’, che vieta ai palestinesi della Cisgiordania occupata e della Striscia di Gaza sotto assedio di ottenere automaticamente uno status di legalità in Israele o a Gerusalemme est attraverso la riunificazione familiare.

Secondo un lancio di agenzia del Knesset, la legge è passata con 65 voti a favore e 14 contrari.
La misura di ‘emergenza’ alla legge, che garantisce uno status legale automatico a non israeliani che sposino cittadini israeliani o residenti, fu promulgata la prima volta nel 2002, durante gli scontri politici della seconda intifada, e venne adottata dalla legge israeliana nel 2003.
La legge non consente ai palestinesi che sposino cittadini israeliani, o residenti, l’ottenimento della cittadinanza israeliana o del permesso di residenza, e proibisce ai cittadini israeliani o residenti di trasmettere il loro status ai propri figli se sposati con persone provenienti dai Territori occupati palestinesi.
La legge si applica anche ai residenti di nazioni quali l’Iran, l’Afghanistan, il Libano, il Sudan, la Siria, l’Iraq, il Pakistan e lo Yemen, e può essere applicata anche a persone di nazioni che il governo israeliano consideri una minaccia alla propria sicurezza.
Ma la legge ha colpito in modo principale i cittadini palestinesi di Israele, che sono il 20% della popolazione israeliana, che spesso sposano palestinesi della Cisgiordania occupata.
Il governo israeliano affermò, quando introdusse la legge, di voler evitare, con questa misura temporanea, l’accesso in Israele ai ‘terroristi’ per mezzo della riunificazione familiare.
Ma un comitato del parlamento ha riproposto, per il tredicesimo anno, l’estensione della misura il 1 giugno scorso, e la sua validità fino al 20 giugno 2017.
Nel corso del dibattito plenario che ha portato al voto, il membro del parlamento Osama Saadi, appartenente alla Joint List, ha definito la misura “la legge israeliana più razzista “.
Un funzionario del servizio di sicurezza interno di Israele, lo Shin Bet, ha fornito una testimonianza secondo la quale “coloro che che pretendono di ottenere la riunificazione con membri familiari in Israele rappresentano un rischio alla sicurezza data la possibilità che compiano atti terroristici o attività di spionaggio”.
Il funzionario ha aggiunto che 104 persone ammesse in Israele secondo la legge hanno commesso attacchi tra il 2001 e il 2016, precisando che 17 delle 104 persone erano giunte in Israele dopo aver sposato un cittadino israeliano, mentre a 84 era stata garantita la cittadinanza attraverso il matrimonio contratto con cittadini israeliani da parte di familiari.
Il funzionario dello Shin Bet ha poi sostenuto che il 73% dei cittadini palestinesi che hanno commesso ‘atti di terrore’ contro Israele, da quando un’ondata di tumulti iniziò l’autunno scorso, era stato ammesso in Israele per riunificazione familiare.
Il membro della Joint List, Ahmad Tibi, ha smentito le dichiarazioni dell’ufficiale, affermando che lo Shin Bet non possiede un singolo caso di attacco alla sicurezza commesso da richiedenti riunificazione familiare.
“Ciò prova che la legge non si basa su alcuna preoccupazione legata alla sicurezza. Essa viene incrementata solo perché lo Shin Bet vede una storia d’amore tra una coppia palestinese come un complotto contro la sicurezza statale”, ha aggiunto Tibi.
Come riportato da Haaretz, Saadi ha poi contrastato le affermazioni dell’ufficiale dello Shin Bet dicendo che 29 delle 30 persone coinvolte in attacchi erano residenti di Gerusalemme est, che non hanno ottenuto uno status di legalità tramite riunificazione familiare.
Durante il dibattito egli ha poi affermato che “in pratica meno di una persona su mille tra coloro che hanno compiuto degli attacchi dal 2003 vive qui in virtù di riunificazione familiare”.
Sebbene il Tribunale supremo israeliano abbia impedito che la misura fosse introdotta permanentemente nella legislazione, il governo israeliano l’ha rinnovata ogni anno dal 2004.
La legge è stata rivista nel 2005 per permettere al ministro degli interni israeliano di garantire la deroga alle donne palestinesi maggiori di 25 anni e agli uomini palestinesi maggiori di 35, provenienti dalla Cisgiordania, al fine di ottenere il permesso di residenza in Israele. Ma, secondo il gruppo per i diritti umani israeliano Hamoked, i permessi non forniranno alcuno status matrimoniale né alcun diritto ad assegni sociali.
Il gruppo per i diritti umani è uno dei tanti ad aver condannato la legge, definendola una disposizione ‘razzista’ discriminante in base alle origini etniche.
In un rapporto, Hamoked ha affermato che “essa autorizza la punizione collettiva stabilendo che  le domande possano essere negate se si ritiene che il richiedente non israeliano o chiunque della sua famiglia estesa possa essere considerato un rischio per la sicurezza.
Human rights watch ha osservato, nel 2012, gli estremi disequilibri delle politiche per l’immigrazione israeliane, quando applicate a cittadini palestinesi di Israele o a cittadini ebrei.
Il gruppo ha evidenziato che, oltre a garantire automaticamente la cittadinanza o la residenza israeliana agli stranieri sposati da 4 anni con un cittadino ebreo di Israele, a ogni ebreo è garantita automaticamente la cittadinanza in Israele indipendentemente dall’essere coniugati o meno, secondo la Legge israeliana del ritorno del 1950.
La disposizione è stata pure fortemente condannata dai funzionari di sinistra del governo israeliano, che considerano la legge discriminatoria nei confronti dei cittadini palestinesi israeliani, che con molte probabilità intendono sposare uomini e donne palestinesi dei Territori occupati.
Traduzione di Stefano Di Felice