15 anni per i ragazzi Hares, dopo il pagamento delle sanzioni da parte delle famiglie

364457CRamallah-Ma’an. Dopo una lunga battaglia durata circa tre anni nei tribunali militari israeliani, cinque adolescenti palestinesi del villaggio di Hares, Cisgiordania occupata, accusati di omicidio colposo in seguito al presunto lancio di sassi, giovedì sono stati condannati a 15 anni di prigione, secondo quanto dichiarato da un gruppo per i diritti dei prigionieri.

Il caso è stato oggetto di discussione in passato tra parenti e gruppi per i diritti umani, secondo i quali le prove a carico dei ragazzi sono insufficienti per dimostrare un loro eventuale coinvolgimento nella morte di una bambina israeliana, venuta a mancare due anni dopoche i ragazzi sono stati accusati di aver gettato sassi contro l’auto della madre causando un incidente.

Secondo le dichiarazioni rilasciate aMa’an da Iyad Mahamid, unavvocato della Società per i Prigionieri palestinesi, il tribunale militare ha emesso le sentenze nei confronti di Muhammad Suleiman, Tamer Souf, Ammar Souf, Ali Shamlawi, e Muhammad Kleib.

Dopo l’udienza del tribunale di dicembre 2015, i parenti dei detenuti hanno riportato a Ma’an che i ragazzi sarebbero stati condannati a 15 anni di prigione sulla base che le relative famiglie pagassero pene pecuniarie di 30.000 sicli israeliani (7.700 dollari) entro il 28 gennaio.

Gli “Hares Boys”, un blog di attivisti creato per sensibilizzare l’opinione pubblica sul caso dei cinque adolescenti, giovedì avevano postato sulla loro pagina Facebook “Free the Hares Boys”, per permettere alle famiglie di versare l’importo totale delle sanzioni grazie al contributo di donazioni esterne.

Secondo il blog, il mancato pagamento comportava una condanna estesa fino ad almeno 25 anni di prigione.

La condanna di giovedì segna il triste epilogo di una lunga battaglia legale iniziata in seguito alla detenzione dei cinque giovani, dell’età di 16 e 17 anni al momento dell’arresto, da parte delle forze israeliane il 15 marzo 2013.

Il loro arresto è avvenuto dopo il ricovero di una bambina israeliana di tre anni, Adele Biton, che aveva riportato gravi ferite alla testa in seguito allo scontro dell’auto della madre con un camion nei pressi del mega insediamento israeliano di Ariel. La bambina è deceduta due anni dopo a seguito di complicazioni da polmonite.

Secondo i media israeliani, sebbene la bambina sia morta di polmonite, la famiglia ritiene chela gravità delle relative complicazioni sia dovuta alle ferite riportate a seguito dell’incidente.

Il veicolo israeliano avrebbe perso il controllo dopo essere stato colpito da un sasso, e i cinque sono stati poi accusati di aver lanciatoquel giorno sassi ai veicoli che transitavano sulla Route 5, un’autostrada che conduce a numerosi insediamenti israeliani nelle vicinanze.

Inseguito, 20 autisti israeliani hanno presentato reclami di assicurazione, sostenendo che dei sassi avessero colpito le loro auto. Tuttavia, non vi sono testimoni oculari per gli incidenti e la polizia non ha ricevuto chiamate al momento del lancio di sassi da parte dei cinque ragazzi.

Questi ultimi hanno smentito le accuse, ma poi firmato le confessioni “dopo aver ripetutamente subito abusi in prigione e durante gli interrogatori”, secondo il blog Hares Boys.

In seguito alla condanna di giovedì, la madre della bambina ha riportato ai media israeliani: “Non è di grande consolazione, avremmo preferito la pena di morte o l’ergastolo. Lo Stato non si è occupato adeguatamente di questo caso e non è stata applicata la pena massima”.

Intanto, negli ultimi tre anni, le famiglie degli accusati e i gruppi per i diritti umanihanno continuamente sostenutoche i giovani fossero trattenuti senza prove, e ingiustamente incriminati in un sistema giudiziario militare che condanna oltre il 99% dei palestinesi.

Nel 2013, Il blog Hares Boys scrisse in loro difesa: “Se i ragazzi fossero condannati, questo caso costituirebbe un precedente legale che permetterebbe a Israele di condannare qualsiasi bambino o ragazzo per tentato omicidio in casi di lancio di sassi”.

A settembre, il Primo Ministro israeliano,Benjamin Netanyahu, ha dichiarato una “guerra al lancio di sassi”, stabilendo una pena detentiva minima per adulti che lanciano sassi e permettendo alle forze israeliane di usare il fuoco dei cecchini contro lanciatori di sassi in casi di pericolo mortale.

Il Primo Ministro ha affermato, altresì, che ci sarebbero state “sanzioni significative” per i minori responsabili di tali crimini, così come per i loro genitori.

A luglio, la Knesset ha già approvato una nuova legge che inasprisce le pene per il lancio di sassi e che prevede per i responsabili una condanna detentiva di 20 anni laddove fosse provato l’intento di arrecare danno e 10 anni in caso contrario.

Al momento dell’approvazione del progetto di legge, il palestinese MK Jamal Zahalka ha dichiarato: “Chi manderà in prigione il giudice? Colui che ha distrutto case, confiscato terre, ucciso fratelli o il ragazzino che ha lanciato un sasso?”

Traduzione di Patrizia Stellato