20.000 appartamenti coloniali costruiti durante il mandato di Netanyahu

Ramallah – PIC. Il movimento israeliano anti-colonizzazione, “Peace now”, ha dichiarato che, dall’inizio del mandato del primo ministro Benjamin Netanyahu, nel 2009, sono state costruite 20.000 nuove abitazioni nella Cisgiordania occupata.

In un rapporto, il movimento ha spiegato che, dal 2009 – data nella quale Netanyahu ha iniziato il suo secondo mandato, fino alla fine del 2018sono stati costruiti 19.346 appartamenti.

Ha sottolineato che circa 630.000 coloni risiedono nelle colonie in Cisgiordania e nella Gerusalemme Est occupata.

L’Associated Press ha riferito di aver ottenuto dei documenti ufficiali israeliani che svelano l’incremento delle spese del governo israeliano per la costruzione di insediamenti in Cisgiordania occupata, dall’elezione del presidente americano Donald Trump.

Secondo il rapporto di “Peace now”, l’approccio di Trump favorevole alle colonie ha portato alla costruzione di nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata.

Secondo i dati del governo israeliano, le spese destinate alle strade, alle scuole e agli edifici pubblici sono aumentate del 39% nel 2017 in tutte le colonie della Cisgiordania occupata.

Secondo le statistiche pubbliche dal ministero israeliano delle Finanze, le spese in Cisgiordania sono passate da 1,19 miliardi di shekels (426 milioni di dollari), nel 2016, a 1,65 miliardi di shekels (459,8 milioni di dollari) nel 2017, primo anno di Trump al potere.

Le cifre includono soltanto le spese del governo, escluse la costruzione e l’acquisto di case per le persone, le spese in materia di polizia, educazione, salute e le spese militari, ha indicato il rapporto.

Ha inoltre sottolineato che il governo israeliano ha dichiarato fornire tali servizi a tutti gli israeliani, senza considerare la loro residenza.

Le cifre non includono le spese nella Gerusalemme-Est occupata.

“È chiaro che l’elezione di Trump ha incoraggiato il governo israeliano a estendere le sue colonie. Non hanno vergogna di ciò che fanno e si sentono liberi di fare ciò che vogliono”, ha dichiarato Hagit Ofran, di Peace Now.

Traduzione per InfoPal di Chiara Parisi