2017: un anno in cui rievocare tre tristi anniversari palestinesi

balfourRichard Falk. Middle East Eye.

2017: per i palestinesi ricorrono tre cupi anniversari 

I palestinesi sembrano condannati a divenire sempre più soggetti passivi, o per lo meno cittadini di seconda classe, nella loro stessa terra. L’espansionismo israeliano, il supporto incondizionato degli Stai Uniti e l’impotenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite si sono sommate fin a misurare una squallida prospettiva per la volontà di autodeterminazione del popolo palestinese e per una pace negoziata che sia sensibile verso i diritti e le rimostranze di entrambe le parti.

Commemorare nel 2017 tre anniversari degni di nota potrebbe aiutare a capire meglio come questa angosciante parabola palestinese sia nata ed evoluta nel corso dei passati cent’anni.

Piò darsi che tali ricorrenze possano persino incoraggiare la rettifica di errori passati, spingendo i sempre più flebili e tardivi sforzi a cercare una nuova via. Le iniziative più promettenti sono ora quelle collegate ad un crescente movimento di solidarietà internazionale votato al raggiungimento di una pace meritata per entrambi i popoli.

Per il momento né le Nazioni Unite né la diplomazia tradizionale sembrano aver avuto molta influenza sull’azione socio-politica delle forze che soggiacciono al cuore della lotta palestinese. Solo la resistenza non violenta dei palestinesi contro la lunga prova di occupazione alla quale sono sottoposti, e il coinvolgimento e la militanza fuori dalla Palestina, sembrerebbero aver (avuto) la capacità di influenzare lo status quo e di far rifiorire la speranza.

1917

Il 2 novembre 1917 il segretario per gli Affari Esteri Britannico Arthur Balfour fu persuaso a inviare una lettera al barone Lionel Rothschild, eminente sostenitore della dottrina sionista in Inghilterra, per mezzo della quale esprimeva il proprio aperto sostegno per le aspirazioni del movimento. Seguono le proposizioni più salienti di tale lettera:

“Il Governo di Sua Maestà vede con favore la creazione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, mobilitandosi per facilitare il raggiungimento di tale obiettivo; é stato chiarificato che nulla di ciò che sarà fatto pregiudicherà i diritti civili e religiosi delle esistenti comunità non ebraiche in Palestina, o i diritti e lo status politico di cui godono gli ebrei nelle altre nazioni”.

Un’ovvia osservazione iniziale è perché l’Inghilterra si stesse muovendo in direzione di una tale iniziativa nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale. Una prima spiegazione è che la guerra non stesse andando così bene, coltivando così il desiderio e la speranza dei leader britannici che schierarsi al fianco del movimento sionista avrebbe incoraggiato gli ebrei di tutt’Europa a sostenere la causa degli Alleati, specialmente in Russia e Germania. Una seconda motivazione è legata agli interessi futuri che la Gran Bretagna nutriva in Palestina, interessi che, con Lloyd George divenuto Primo Ministro, aspiravano alla protezione della rotta strategica verso l’India così come alla salvaguardia del Canale di Suez.

La Dichiarazione Balfour fu controversa sin dal giorno in cui venne rilasciata, persino tra alcuni ebrei. Per certi versi una tale esternazione del Governo Britannico fu solamente una pretesa coloniale senza il minimo sforzo di prendere in considerazione i sentimenti della predominante popolazione araba che viveva in Palestina a quel tempo (gli ebrei erano meno del 10 per cento della popolazione nel 1917), senza curarsi minimamente del crescente supporto internazionale verso il diritto all’auto determinazione reclamata dai popoli.

Opposizione ebraica alla Dichiarazione Balfour

Eminenti personalità ebree, guidate da Edward Montagu, allora segretario per lo stato dell’India, si sono opposte alla dichiarazione, temendo che potesse soffiare sul fuoco dell’antisemitismo, specialmente nelle città d’Europa e Nord America. Al di là di questo, gli arabi si sentirono ingannati dall’iniziativa di Balfour vista come traditrice delle promesse prese con la guerra – di indipendenza politica se questi fossero scesi in guerra contro i turchi. La Dichiarazione significò anche la nascita di future problematiche tra la promozione sionista dell’immigrazione ebraica in Palestina e i sommovimenti della popolazione araba indigena.

Va riconosciuto che persino tra i leader sionisti non tutti furono d’accordo con la Dichiarazione Balfour. Vi erano nascoste deliberate ambiguità nel linguaggio. Per esempio i sionisti avrebbero preferito “il” determinativo, invece di “un” focolare nazionale. In aggiunta l’impegno preso nella protezione dei non ebrei veniva visto come precario per una situazione di stabilità futura, sebbene, come rivelatosi, questa supposta responsabilità coloniale non fu mai esercitata. Infine, i sionisti ricevettero supporto per la costituzione di un focolare nazionale, non di uno stato sovrano, sebbene dietro le quinte della politica britannica si era convenuto su questa possibilità, ma solo dopo che gli ebrei fossero divenuti maggioranza in Palestina.

Vale la pena avventurarsi fino alla Dichiarazione Balfour per rendersi conto di come l’ambizione coloniale si sia evoluta e trasformata in colpa liberale e umana empatia per la condizione degli ebrei dopo la Seconda Guerra Mondiale, creando un incubo di delusioni e oppressioni senza fine per la popolazione palestinese.

1947

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, con il conflitto in Palestina che stava raggiungendo alti livelli di intensità e l’Impero Britannico in aperto declino, la Gran Bretagna rinunciò al suo ruolo mandatario sulla Palestina, rimettendo alle nascenti Nazioni Unite il compito di decidere come procedere. Le Nazioni Unite costituirono un gruppo specifico per elaborare una proposta, che risultò essere una serie di raccomandazioni caratterizzate dalla spartizione della Palestina in due comunità, una araba e una ebraica. Gerusalemme venne posta sotto giurisdizione internazionale, quindi dove nessuna delle due comunità poteva esercitarvi autorità, né il diritto di rivendicare la città come facente parte della propria identità nazionale. La risoluzione ONU, 181, venne adottata come proposta ufficiale dall’Assemblea Generale.

Il movimento sionista accettò la Risoluzione 181 mentre gli Stati arabi e i rappresentati del popolo palestinese la rifiutarono, sostenendo che avrebbe invalidato il diritto di autodeterminazione, essendo estremamente parziale. Al tempo gli ebrei costituivano meno del 35 per cento della popolazione ma nonostante questo gli venne assegnata più del 55 per cento della terra.

Ne seguì una guerra, con gli eserciti degli Stati Arabi entrati in Palestina e successivamente sconfitti dalle ben addestrate ed equipaggiate milizie sioniste. Israele vinse la guerra, ottenendo il 78 per cento della terra quando venne stipulato l’armistizio, terra espropriata da più di 700,000 palestinesi e che causò la distruzione di centinaia di villaggi. Questo avvenimento é tristemente commemorato dal popolo palestinese con il nome di Nakba, catastrofe.

1967

La terza commemorazione del 2017 é quella relativa alla guerra del 1967, che portò ad un’ulteriore sconfitta degli Stati arabi confinanti e all’occupazione dell’intera Palestina, inclusa tutta la città di Gerusalemme e la Striscia di Gaza.

La strategica complicità degli Stati Uniti

La vittoria israeliana cambiò drasticamente l’equazione. Israele, visto in precedenza dagli Stati Uniti come entità di confine strategico divenne apprezzato anche come partner militare, e venne visto riconoscersi un supporto geopolitico incondizionato. Nella famosa Risoluzione 242 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 22 novembre 1967 decise all’unanimità che il ritiro delle forze israeliane avrebbe dovuto essere negoziato, con alcune modifiche di confine concordate, per raggiungere un accordo di pace che prevedesse un’equa risoluzione della disputa relativa ai profughi palestinesi che vivevano nella regione. Nel corso dei successivi cinquant’anni fu chiaro che la Risoluzione 242 non sarebbe stata implementata. Al contrario Israele ha ulteriormente invaso la Palestina occupata attraverso la sua rete di insediamenti e infrastrutture, fino a raggiungere un punto in cui pochi credono che uno Stato Palestinese indipendente che coesista con Israele sia fattibile o addirittura auspicabile.

Questi anniversari rivelano tre fasi della situazione palestinese in costante peggioramento. Rivelano anche l’incapacità delle Nazioni Unite o della diplomazia internazionale di risolvere il problema di come ebrei e palestinesi dovrebbero dividere la terra.

Ora è troppo tardi per invertire questi avvenimenti storici, ma la sfida per trovare una soluzione che permetta in qualche modo a questi due popoli di vivere insieme o in comunità politiche separate resta spinosa.

Speriamo vivamente che una soluzione soddisfacente venga trovata prima che altre ricorrenze necessitino della nostra attenzione.

Richard Falk é un giurista e studioso delle relazioni internazionali che ha insegnato all’Università di Princeton per quarant’anni. Nel 2008 é stato nominato dalle Nazioni Unite per ricoprire un mandato di sei anni in qualità di relatore speciale sui diritti umani dei palestinesi. Questo articolo é stato pubblicato sul sito Middle East Eye.

Traduzione di Marta Bettenzoli