2021 in Palestina: finalmente è emersa una nuova generazione

Palestine Chronicle. Di Ramzy Baroud. All’inizio, anche il 2021 sembrava essere un altro anno di incessante occupazione israeliana e di costante sofferenza palestinese. Sebbene la maggior parte di tutto ciò, in verità, è continuato, le dinamiche dell’occupazione israeliana della Palestina sono state messe in discussione da un senso di unità popolare senza precedenti tra i Palestinesi, non solo nella Gerusalemme Est occupata, in Cisgiordania e a Gaza, ma anche tra le comunità palestinesi nella Palestina storica.

Un sentimento diffuso di cauta speranza ha finalmente sostituito il senso di disperazione che si avvertiva negli anni precedenti. Di conseguenza, in tutta la Palestina si è registrata una sensazione di rinnovamento e la volontà di abbracciare nuove idee politiche. Ad esempio, secondo un sondaggio condotto dal Jerusalem Media and Communication Center (JMCC) pubblicato il 22 novembre, in Cisgiordania vi sono più Palestinesi che sostengono la soluzione di un unico stato rispetto a quelli che ancora sostengono la soluzione dei due stati, praticamente defunta, che ha dominato il pensiero palestinese per decenni.

La pandemia si fa sentire.

L’anno, tuttavia, è iniziato con l’attenzione rivolta a qualcosa di completamente diverso: la pandemia di Covid-19. Oltre a devastare i Palestinesi assediati e occupati, soprattutto nella Striscia di Gaza, la pandemia ha iniziato a diffondersi anche tra i prigionieri palestinesi.

A febbraio, l’Autorità palestinese, insieme a gruppi e organizzazioni internazionali per i diritti umani, ha criticato Israele per aver bloccato l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 ai cittadini della Striscia di Gaza assediata. I vaccini Sputnik 5 sono stati donati dalla Russia, primo Paese a contribuire alla lotta alla pandemia in Palestina. Successivamente, le comunità palestinesi hanno lentamente avuto accesso ai vaccini provenienti dal programma COVAX. Tuttavia, la pandemia ha continuato a devastare la Palestina occupata, soprattutto perché le autorità di occupazione israeliane hanno continuato a bloccare le misure di prevenzione messe in atto dai Palestinesi, e a smantellare le strutture improvvisate dedicate al Covid-19 nei Territori occupati. Secondo il sito Worldometer, a causa del Covid-19 sono morti 4.555 Palestinesi, mentre 432.602 sono risultati positivi alla pandemia.

Elezioni annullate.

Come già accaduto durante l’anno precedente, la crisi politica di Israele ha ben presto dominato i titoli dei giornali, poiché la lotta di potere tra l’allora primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ed i suoi rivali è continuata, portando alle quarte elezioni israeliane in due anni. Le elezioni di marzo hanno finalmente cambiato il panorama politico israeliano, grazie ad un’insolita coalizione di governo creata il 13 giugno dal nuovo primo ministro israeliano Naftali Bennett. La coalizione includeva, tra gli altri, il politico arabo Mansour Abbas, il cui partito si è rivelato determinante nella formazione del governo.

Mentre Netanyahu e il suo partito Likud si sono rapidamente ritirati dai banchi dell’opposizione, ponendo fine ad un regno che durava da oltre 12 anni, i Palestinesi hanno anticipato la data delle loro elezioni, annunciate dal presidente dell’ANP Mahmoud Abbas il 15 gennaio.

Le elezioni parlamentari e presidenziali dell’ANP erano previste rispettivamente per il 22 maggio e il 31 luglio. Ai due turni elettorali avrebbe dovuto far seguito un accordo politico per mettere fine alle divisioni tra i diversi  gruppi palestinesi, garantendo eguale rappresentanza per tutti i gruppi politici, tra cui Hamas e il Jihad islamico, all’interno di una rivitalizzata Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP).

Purtroppo, tutto questo non è avvenuto. Nonostante i risultati positivi dei colloqui per l’unità palestinese, tenutisi al Cairo per alcune settimane, Abbas ha annullato le elezioni già programmate, affermando che la sua decisione era stata presa per protestare contro il rifiuto di Israele di consentire la partecipazione degli elettori palestinesi residenti a Gerusalemme est, ma si è trattato solo di un pretesto.

In cambio del blocco degli sforzi palestinesi volti a garantire una parvenza di democrazia, anche sotto occupazione israeliana, ad Abbas è stato concesso di tornare nella lista degli alleati di Washington. Infatti, ad aprile gli Stati Uniti hanno ripristinato gli aiuti finanziari ai Palestinesi, promettendo di riaprire l’ufficio dell’OLP a Washington, chiuso dall’amministrazione Trump, e impegnandosi anche a riaprire il proprio consolato a Gerusalemme, anch’esso chiuso da Trump nel settembre 2018.

Nonostante questi segnali, che sono serviti solo a legittimare nuovamente l’Autorità Palestinese, dopo quattro anni di completa emarginazione da parte degli Stati Uniti, la nuova amministrazione Biden non ha offerto né una tabella di marcia per un rinnovato processo di pace, né ha esercitato pressioni su Israele affinché metta fine alla sua occupazione o rallenti il ritmo dell’espansione degli insediamenti illegali nella Palestina occupata. In effetti, nel 2021 le costruzione degli insediamenti israeliani sono cresciute in maniera esponenziale, con l’annuncio del piano israeliano di approvare altre migliaia di unità abitative israeliane in Cisgiordania, ad ottobre.

Da Sheikh Jarrah a Gaza.

Le azioni provocatorie di Israele sarebbero passate inosservate da parte della comunità internazionale se non fosse stato per il popolo palestinese che ha mantenuto una posizione collettiva, usando tutte le forme di resistenza, da Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, a Gaza. L’intera vicenda, che a maggio ha portato all’aggressione israeliana contro Gaza, è iniziata con uno dei soliti tentativi israeliani di pulizia etnica dei Palestinesi nei diversi quartieri di Gerusalemme est, tra cui Sheikh Jarrah e Silwan. I gerosolimitani palestinesi in questo caso, però, hanno iniziato ad organizzarsi contro un ordine del tribunale israeliano che li voleva sfrattare dalle loro case per essere poi concesse ai coloni ebrei israeliani, come è ormai consuetudine da molti anni.

La resistenza popolare a Sheikh Jarrah è stata affrontata con estrema violenza da parte israeliana, ed ha coinvolto coloni armati, polizia israeliana e forze di occupazione, portando al ferimento di almeno 178 manifestanti palestinesi il 7 maggio. I Palestinesi di tutti i territori occupati si sono quindi mobilitati in solidarietà con i loro fratelli di Al Quds, fatto che ha portato il 10 maggio all’inizio di un’altra devastante guerra israeliana contro la Striscia di Gaza. Questa guerra ha provocato l’uccisione di oltre 250 Palestinesi, migliaia di feriti e devastazione su vasta scala.

La guerra israeliana aveva lo scopo di distrarre dagli eventi che stavano accadendo a Gerusalemme est. I progetti israeliani, tuttavia, sono completamente falliti poiché i Palestinesi di Ramallah, Nablus, Hebron, Haifa e di molte altre città, villaggi e campi profughi palestinesi hanno marciato in solidarietà con Sheikh Jarrah e Gaza, dando chiaramente vita ad un dialogo politico che, per la prima volta, è stato privo di riferimenti faziosi.

Per sedare la ribellione palestinese, Israele ha inviato, nei territori occupati e nello stesso Israele, migliaia di soldati e polizia, insieme a coloni e milizie ebraiche armate. Molti Palestinesi sono stati uccisi negli scontri e attacchi che sono seguiti. Gli eventi di maggio, però, hanno messo in luce non solo l’unità esistente tra i Palestinesi, ma anche il profondo razzismo che affligge tutti i settori della società israeliana. L’idea che i Palestinesi della Palestina storica si siano integrati nella nuova realtà e non facciano più parte di un corpo politico palestinese più ampio, si è rivelata completamente falsa.

Boicottaggi, Disinvestimenti e CPI (Corte Penale Internazionale).

La resistenza palestinese interna ha nuovamente mobilitato la società civile in tutto il mondo. Organizzazioni per i diritti come Human Rights Watch e la stessa B’tselem di Israele sono arrivati alla conclusione che Israele è uno stato di apartheid.

Il movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) si è rafforzato durante tutto il corso dell’anno poiché aziende, come ad esempio il colosso del gelato Ben & Jerry’s, hanno deciso di disinvestire dai territori occupati, mentre la multinazionale dello sport Nike ha deciso di cessare definitivamente le sue attività in Israele, anche se non ha motivato la sua decisione su basi politiche.

Inoltre, il più grande fondo pensione norvegese (KLP) il 5 luglio ha dichiarato che non investirà più in aziende legate agli insediamenti israeliani. Quindi, nei mesi successivi, la famosa scrittrice irlandese Sally Rooney si è rifiutata di far pubblicare il suo best-seller Beautiful World, Where Are You da una società israeliana.

Nel frattempo, sono proseguiti senza sosta gli sforzi per far riconoscere le responsabilità dei crimini di guerra israeliani presso la Corte penale internazionale (CPI). A marzo, l’allora procuratore capo della CPI, Fatou Bensouda, ha annunciato l’apertura di un’indagine formale su presunti crimini di guerra nei territori palestinesi occupati. Nonostante Bensouda non sia più alla CPI, il caso palestinese resta attivo, con la speranza che la giustizia internazionale possa finalmente prevalere.

Nonostante le numerose difficoltà, lo spirito di tutti i Palestinesi si è risollevato, ancora una volta, quando la delegazione olimpica palestinese è entrata nello stadio di Tokyo a luglio, portando una bandiera palestinese. La piccola delegazione comprendeva Palestinesi di varie regioni, cementando in questo modo l’unità palestinese anche nella cultura e nello sport.

Resistere alla fame.

Nel frattempo, i detenuti palestinesi hanno continuato la loro resistenza anche all’interno delle carceri israeliane, dove prigionieri come Kayed Fasfous e Meqdad Al-Qawasmi hanno condotto scioperi della fame rispettivamente per 131 e 113 giorni, rischiando di morire. In una dimostrazione ulteriore di sfida, sei prigionieri palestinesi sono fuggiti dalla prigione di Gilboa il 6 settembre. Sebbene siano stati tutti catturati e, secondo quanto riferito, torturati dopo il loro riarresto, la notizia ha entusiasmato tutti i Palestinesi che si sono sentiti rafforzati da quella che hanno percepito come un’eroica ricerca della libertà.

Tuttavia, molti prigionieri palestinesi hanno anche sofferto per mano della stessa AP che ha continuato la sua pratica di detenzione illegale e tortura di attivisti palestinesi dissenzienti. La morte di Nizar Banat, per mano delle forze di sicurezza dell’AP il 24 giugno, ha provocato proteste palestinesi di massa durante le quali migliaia di persone hanno chiesto responsabilità e giustizia per il critico dell’AP che è stato picchiato fino alla morte.

Il 2021 è stato un anno di guerre, sconfitte e distruzione per i Palestinesi. Tuttavia, è stato anche un anno di unità, successi culturali e speranza, poiché una nuova generazione sta finalmente conquistando il centro della scena, affermando la sua identità e la sua centralità per il futuro della sua terra d’origine.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi

(Foto: palestinesi prendono parte a una protesta contro l’occupazione israeliana. ActiveStills.org, file).