Genova-Milano-API e InfoPal. Come ogni 29 novembre, anche oggi, in tutto il mondo, si celebra la Giornata delle Nazioni Unite per la solidarietà con il popolo palestinese, a ricordo della risoluzione 181, emanata il 29 novembre del 1947 dall’Onu, che sancì la spartizione della Palestina storica, ponendo le basi per la creazione dello Stato israeliano e per la Nakba, la tragedia e pulizia etnica della popolazione palestinese ad opera degli squadroni del terrorismo sionista prima, e delle forze militari israeliane dopo.
Nel 1977, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituì per il 29 novembre la Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese (risoluzione 32/40 B). Nella risoluzione 60/37 del 1° dicembre 2005, l’Assemblea generale chiese al Comitato per l’Esercizio degli inalienabili diritti del popolo palestinese e alla Divisione per i diritti palestinesi, in quanto parti per l’osservanza della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, stabilita il 29 novembre, di continuare a organizzare celebrazioni ed eventi annuali sui diritti palestinesi, in collaborazione con la “Permanent Observer Mission of Palestine” dell’Onu.
La spartizione della Palestina: cenni storici. La Gran Bretagna si ritira. Subentrano ONU e Usa. Un Comitato anglo-americano, riunito nel 1946 per esaminare la situazione che si era così venuta a creare, rilevò come gli ebrei avessero fondato una serie di strutture socio-economiche, oltre che militari, che rendevano loro inaccettabile una tale restrizione dei diritti economici e politici quale si era avuta col White Paper e le Land Transfer Regulations. Si raccomandava quindi di abolire queste ultime, e di rilasciare 100.000 nuovi permessi per l’arrivo in Palestina di rifugiati dai paesi europei dove era in atto il Genocidio degli ebrei. Il governo del Mandato rifiutò di seguire tali raccomandazioni per non peggiorare ulteriormente la situazione nell’area: il sostegno alla causa sionista si stava lentamente spostando oltreoceano, in direzione americana. Una nuova conferenza di Londra si riunì a cavallo tra il 1946 e il 1947, alla quale però parteciparono solo gli stati appartenenti alla Lega Araba, mentre entrambi i popoli protagonisti rifiutarono di presentarsi. Così, alla proposta araba di uno stato indipendente palestinese— all’interno del quale si salvaguardassero, da una parte, i diritti degli ebrei, con misure quali la garanzia di un numero minimo di rappresentanti in Parlamento, si moderassero dall’altra i flussi migratori ed i trasferimenti di terre—, il Congresso Sionista rispose da Basilea, mantenendosi fermo sulle proprie posizioni intransigenti. Entrambe le parti avevano ormai compreso come il Mandato britannico non potesse in alcun modo rispondere alle rispettive esigenze, e rifiutavano ogni dialogo. Fu a questo punto che il Regno Unito dichiarò all’ONU, appena costituita, che si sarebbe ritirato dalla Palestina. L’ONU costituì subito un Comitato (UNSCOP) che chiese la spartizione della Palestina. La Risoluzione 181. La sostituzione della “cabina di pilotaggio” risultò nettamente favorevole alla parte ebraica. Il risultato del passaggio alle Nazioni Unite del difficile incarico di stabilire quale dovesse essere il destino della terra contesa tra i due popoli, arabo ed ebraico, fu una risoluzione, emanata il 29 novembre del 1947 che, tenendo conto delle percentuali demografiche nell’area, si mostrava decisamente sbilanciata a favore dei sionisti. Essi infatti si vedevano assegnare il 56% del territorio palestinese allo scopo di creare uno stato ebraico; il restante 44% rimaneva a disposizione degli arabi per la creazione del loro stato indipendente. Una piccola parte veniva dichiarata “zona internazionale” e consisteva in una serie di enclave, tra cui la città di Gerusalemme. I palestinesi, chiamati a discutere su tale decisione, si trovarono costretti a ritirarsi, vista l’impossibilità di raggiungere un accordo sulla base delle loro esigenze, e, com’è ovvio, rifiutarono la Risoluzione 181. Il risultato che si ottenne fu allora quello di una polveriera. All’interno di quel 56% che veniva affidato allo stato sionista, i dati parlavano tutt’altro che a favore di un pieno dominio ebraico: ben il 45% della popolazione all’interno dei confini di quello stato era formata da arabi, e l’80% delle terre erano in mano a famiglie arabe. Per i palestinesi, si trattava dell’usurpazione ingiustificata di una porzione del territorio che abitavano da tempo immemorabile, una porzione che superava la metà della superficie palestinese e che, oltretutto, ospitava al suo interno più di 400.000 arabi. Per i sionisti, si trattava di una minaccia costante alla realizzazione dei loro piani, che prevedevano uno stato a maggioranza ebraica. In aggiunta a questo, non bisognava dimenticare la costante minaccia di rappresaglie da parte araba, in reazione all’occupazione ebraica di un territorio che di ebraico aveva ben poco. Gli ebrei, pienamente favoriti a livello internazionale da concessioni dalla dubbia legittimità, sentivano che la soddisfazione delle loro ambizioni era ancora in pericolo; inoltre, dovevano affrontare il problema più importante: non erano abbastanza. I sionisti, infatti, fin dal 1897, volevano essere da soli nel “loro” paese…. (Da “Nakba, la tragedia del 1948”, edizioni al Hikma, pag. 40-43).