40 candele di solidarietà: un compleanno internazionale per Rachel Corrie

MEMO. Di Hossam Shaker. “Buon compleanno, Rachel!” questo è l’augurio che avrebbe sentito nella sua città di origine, Olympia, Washington. La sua famiglia ed i suoi amici si sarebbero riuniti allegramente mentre lei avrebbe spento quaranta candeline, il 10 aprile 2019. Comunque, Rachel Corrie meriterebbe una bella ricorrenza internazionale in questo giorno per dare valore alla sua dedizione nell’esprimere il valore della solidarietà. 

Rachel Corrie, nata da una famiglia americana della classe media il 10 aprile 1979, avrebbe potuto condurre una vita normale nella quale non si sarebbe dovuta preoccupare di quel che le stava accadendo attorno, ma invece lei sapeva di avere la responsabilità di dire la sua opinione e di agire, impostole dalla sua umanità e dai suoi valori. Rachel dimostrava le sue qualità morali fin da bambina, come rivelato dal commovente discorso che pronunciò quando aveva 10 anni, noto come il discorso della quinta elementare. Parlò delle sofferenze dell’infanzia in tutto il mondo e della necessità di agire. “Sono qui per gli altri bambini, sono qui perché mi preoccupo, sono qui perché i bambini dappertutto stanno soffrendo”, disse nel 1990. 

Questa bambina è poi cresciuta con una coscienza umana sempre vigile e, come studentessa universitaria, si unì all’International Solidarity Movement (ISM). Entrò a farne parte nel periodo in cui le forze occupanti israeliane commettevano quotidianamente omicidi e campagne distruttive diffuse in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. 

Durante uno dei suoi viaggi, la ragazza statunitense si recò nella Striscia di Gaza. Vide i bulldozer corazzati dell’esercito israeliano distruggere le case palestinesi e radere al suolo i loro terreni agricoli. 

Il 16 marzo del 2003 Corrie stava tenendo in mano l’altoparlante vicino ad un bulldozer dell’esercito, nel quartiere Al-Salam a Rafah, situato vicino al confine con l’Egitto nella parte meridionale di Gaza. Stava incitando ripetutamente, megafono alla mano, a fermare la distruzione che, nel giro di pochi anni, aveva annientato i servizi di base per migliaia di Palestinesi nella sola Rafah. Alcuni commentatori israeliani stavano descrivendo la distruzione delle abitazioni e di altre strutture civili e lo sradicamento di alberi e terreni agricoli come se si stesse dando alla zona un “zero buzz cut” in quanto rimuoveva qualsiasi cosa al suo passaggio senza nessun rumore. 

Quel giorno Rachel Corrie indossava un gilet arancione ad alta visibilità, obbligatorio per identificarla come volontaria solidale, mentre stava urlando i propri appelli. Ma il bulldozer continuò ad avvicinarsi a lei senza rallentare la corsa fino a schiacciare l’attivista civile statunitense di soli 24 anni. Questa tragedia era l’esempio di come i successivi governi israeliani e le sue forze militari si sono sempre comportate, cioè hanno sempre trascurato gli appelli internazionali con la loro continua occupazione, oppressione, crimini di guerra e innumerevoli violazioni, senza alcun rispetto per nessun tipo di richiesta. 

L’esercito di occupazione israeliano ha usufruito, anche per questo crimine, della sua abituale impunità da qualsiasi responsabilità, aprendo un’inchiesta su ciò che era accaduto ed auto-assolvendosi dall’aver commesso il brutale omicidio di Corrie. Lo ha considerato come un incidente involontario. Questa conclusione è stata rifiutata dalle più note associazioni per i diritti umani del mondo, comprese organizzazioni israeliane e palestinesi. Nel 2012, un tribunale israeliano ha assolto l’esercito occupante ed il conducente del bulldozer da qualsiasi responsabilità per l’accaduto dopo che i genitori di Rachel avevano intentato una causa a questo proposito. Lo ha denunciato anche il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani, Richard Falk. E’ disgustoso che ogni relazione israeliana continui a minimizzare il crimine, a giustificarlo, e addirittura ad incolpare la vittima, anche se l’autista del bulldozer militare ha investito Rachel Corrie ancora viva, mentre urlava con l’altoparlante e mentre indossava il suo gilet arancione, visibile a tutti. 

Ma il tempo non si è fermato quel 16 marzo del 2003, giorno nel quale è avvenuto questo tragico incidente a Rafah. Rachel Corrie ha continuato a vivere nelle coscienze umane ed è divenuta un simbolo di solidarietà nel mondo dopo essere stata seppellita viva quale prezzo della sua solidarietà. Quanto alla sua famiglia, non è più rimasta da sola poiché Rachel è diventata un’icona internazionale di ispirazione. E’ divenuta anche una Palestinese dato il suo attaccamento ad una giusta causa che non può essere cancellata. Il suo nome vive in Palestina nei nomi di molti edifici e strutture pubbliche. 

E’ vero che il presidente Donald Trump non avrà tempo, il giorno del 40° compleanno di Rachel, per commemorare la sua conterranea americana che venne brutalmente schiacciata dall’esercito di occupazione israeliano, mentre le sessioni del congresso eviteranno di menzionare il suo nome in questa occasione. Tuttavia, attraverso questa giovane donna coraggiosa, l’America ha presentato un volto leale nella sua manifestazione internazionale di nobili valori umani, visto che il nome di Rachel Corrie ha ispirato una generazione di attivisti solidali dopo di lei che hanno preso in mano gli altoparlanti per difendere i diritti umani, la giustizia e le libertà dei popoli e per combattere l’ingiustizia, l’aggressione ed i crimini di guerra. 

Il 10 aprile 2019 si terrà una celebrazione internazionale in onore dei sacrifici degli attivisti che hanno dimostrato la solidarietà con la Palestina in tutto il mondo, con quaranta candele per Rachel Corrie.

Traduzione per InfoPal di Aisha Tiziana Bravi