51 anni fa, la Naksa

Cinquantuno anni fa, il 5 giugno del 1967, Israele lanciò una guerra contro i suoi vicini e prese il controllo delle parti della Palestina che non aveva catturato durante la Nakba del 1948.

Era la Naksa palestinese.

Cosa successe?
Il 5 giugno 1967, Israele lanciò uno attacco preventivo contro l’Egitto, la Giordania, l’Iraq e la Siria. Dopo aver eliminato le difese aeree di questi paesi, occupava Gerusalemme Est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, le Alture siriane del Golan e la Penisola egiziana del Sinai. Aveva preso il controllo del 22% di ciò che rimaneva della Palestina storica che non aveva occupato nel 1948.

Quasi 400.000 Palestinesi si aggiunsero alle centinaia di migliaia di profughi sfollati nel 1948 e le loro case e villaggi furono rasi al suolo dagli israeliani. Circa la metà furono dislocati per la seconda volta in meno di 20 anni. La pulizia etnica di Israele della Palestina era in corso (come è ancora oggi).

Crebbe il numero dei rifugiati palestinesi nei campi gestiti dall’Agenzia delle Nazioni Unite per l’aiuto e il soccorso dei profughi (UNRWA) nella Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, in Giordania, in Siria e in Libano.

La Naksa commemora questa tragica “battuta d’arresto” nella lotta palestinese per la libertà e l’autodeterminazione.

Ciò che successe dopo
L’esito della guerra lanciato da Israele era, per molti dei suoi cittadini e sostenitori, l’adempimento della promessa di Dio. Aggiungendo il 44 per cento del territorio assegnato dal Piano di divisione dell’ONU del 1947 per uno Stato palestinese, al 56 per cento destinato a uno stato ebraico, ha segnato un nuovo inizio per Israele e per i Palestinesi senza Stato.

A 20 anni dal riconoscimento come “Stato indipendente”, Israele iniziò un’occupazione che sarebbe diventata la più lunga nella storia moderna. I Palestinesi nei “Territori palestinesi occupati” furono sottoposti ad una brutale occupazione militare israeliana, nonché alle attività dei coloni ebrei armati, per i quali la vittoria di Israele era opera di Dio e una licenza per colonizzare la terra che credevano fosse promessa loro e solo a loro.

Il regime militare già repressivo di Israele sui Palestinesi che vivevano all’interno delle sue frontiere non dichiarate fu trasferito alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza. Fu imposto il controllo e il dominio sulle vite di milioni di Palestinesi sotto l’occupazione israeliana.

Per i Palestinesi, la combinazione della sconfitta araba durante la “Guerra dei Sei Giorni”, il ripetuto fallimento della comunità internazionale nel proteggere i loro diritti umani e la colonizzazione totale di Israele della Palestina, ha portato a una rivalutazione seria della loro situazione. Avendo compreso quanto fosse inutile affidarsi agli altri per porre fine all’indegnità di cui soffrivano per decenni, cominciarono ad organizzarsi politicamente nel tentativo di invertire le perdite del 1948 e di porre fine alla loro miseria.

Negli anni seguenti la Naksa, le comunità palestinesi nei campi profughi e nella diaspora cominciarono ad organizzarsi politicamente e socialmente. Un certo numero di sconfitte dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (PLO) non li dissuase dal continuare. Tali attività della società civile portarono alla formazione del Movimento di resistenza islamica (Hamas) alla fine degli anni Ottanta; alla rivolta popolare conosciuta come I Intifada. Nel frattempo l’OLP sotto il controllo del movimento secolare di Fatah ottenne il riconoscimento da parte di Israele e dei suoi alleati come “unico rappresentante del popolo palestinese”. Questa fase del processo politico finì con la firma degli accordi di Oslo nel 1994, fornendo ai Palestinesi nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza “un’amministrazione ad interim autonoma”.

(Fonte: MEMO)