Zingaro e palestinese, doppia discriminazione.

A Gerusalemme, dove l’identità è molto importante, circa 170 famiglie coniugano le loro radici zingare con la condizione palestinese, in un esercizio di equilibrismo che spesso non porta da nessuna parte.
Le autorità israeliane le trattano come arabi qualunque, mentre i palestinesi le definisco con i soliti stereotipi usati nei confronti dei zingari.
Serve come esempio il termine arabo per zingaro “ nawar”,  e dispregiativo , e spesso viene accompagnato da una sputata per terra.

Gli zingari del Est del Mediterraneo e del Medio Oriente si autodenominano domari (da “dom” che significa maschio in lingua nativa), e sono per la maggior parte musulmani, a differenza dei Rom, che si sono stabiliti in Europa e professano il cristianesimo.

La loro presenza a Gerusalemme è documentata già nel XIX secolo, dove oggi si dividono tra i borghi BAB Hutta, un’umile borgata all’interno delle mura della città vecchia, e Ras Al-Amud Osilwan.

A prima vista niente li distingue dai suoi vicini: parlano arabo, vivono nella parte palestinese della città, e neanche sono stati poupati dal esilio e dal conflitto bellico scatenato da Israele.

Nella guerra dei sei Giorni del 1967, furanno in Giordania niente meno che 34.000 dei 35.000 zingari residenti in Gerusalemme.
Il Centro di Documentazioni Domari  riconosce le difficoltà di contare il numero esatto degli zingari residenti nei territori palestinesi, perché spesso questi si rifiutano di definirsi tali.

Si calcola che tra Israele e i territori palestinesi oggi vivono 7.000 zingari, concentrati per la maggior parte nella striscia di gaza, dove storicamente hanno mantenuto contatto coi loro compaesani di origine e di diaspora egiziani.
“I domari soffrono gli stessi problemi del resto dei palestinesi: l’occupazione israeliana”, sentenzia Abdelhakim Sakim, il mujtar (specie di notabile) di questa comunità a Gerusalemme.
Non è tutto così. Gli zingari affrontano barriere sociali specifiche, che vanno più in là degli arresti: perquisizioni notturne e blocchi alla libertà di movimento, alle quali si riferisce il mujatar.
Per peggiorare la situazione, i domari della città santa vivono con una media di 450 euro per nucleo di 8 persone.

E ancora patiscono un indice di analfabetismo (circa il 40%) e assenteismo scolastico molto superiore alla media palestinese, uno dei popoli più istruiti del medio Oriente.

Le droghe sono anche un problema tra i giovani: si suppone che riguardi circa il 75% degli zingari palestinesi che vivono a Gerusalemme, spiega Imad Jauny, direttore esecutivo di Burj Al Luq luq, un’istituzione che cerca di evitare che i ragazzi che non frequentano la scuola stiano tutto il giorno in mezzo alla strada.
 “La loro autostima come gruppo è sta molto afetatta. Lo vediamo tutti i giorni con la gente con cui lavoriamo”, aggiunge Jauny, prima di indicare che il 90% dei frequentatori del suo centro sociale sono zingari.

Per cambiare questo ordine di cose, Amum salim ha creato nel 1999 il Centro Domari, cercando di migliorare il livello di vita della popolazione gitana e di frenare la progressiva scomparsa di questa cultura.

Salim teme che la stirpe domari muoia schiacciata tra “l’indifferenza dell’autorità israeliana, che si rifiuta di considerali una minoranza”, in una città già piena di minoranze, e l’assimilazione completa ai palestinesi.

Tutto questo con il tempo conta, perché solo pochi anziani sono ancora in grado di esprimersi in domari, mentre i balli e i vestiti tradizionali si sono persi nel tempo.

 “Io mi considero palestinese. Io non mi vergogno di definirmi gitana di Gerusalemme.Viviamo qua da più di duecento anni, e adesso stiamo perdendo le nostre tradizioni”, si lamenta la fondatrice dell’istituzione, che l’anno scorso ha visitato lo scrittore israeliano e premio Principe de Asturias de las Letras Amos oz.
Questo è uno dei tanti casi di gruppi etnici discriminati doppiamente, in quanto zingari e in quanto palestinesi, che cercano un incastro come minoranza dentro la minoranza.

efe

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