I rifugiati palestinesi in Giordania e il sogno del ritorno

-743736882Amman – PICLa Nakba (la catastrofe del 1948), sessantotto anni dopo, è sempre viva non solo nello spirito dei palestinesi, ma anche nella loro vita di tutti i giorni. Ci sono ancora gli anziani che avevano vissuto gli eventi della Nakba. Ci sono le generazioni successive che subiscono ancora le conseguenze disastrose, concrete e morali, malgrado il tempo trascorso.

Hadja Wasfiya Abed, 76 anni, si mette spesso davanti alla sua abitazione, nel campo di Hittin, dodici chilometri dalla capitale Amman. Confida al corrispondente di PIC le proprie speranze: «Tornerò nella casa della mia famiglia, nel villaggio di al-Falouja, contro la volontà dei sionisti».

Le rughe del suo viso riflettono le sofferenze della Nakba, dell’esodo, dell’esilio, della vita nei campi profughi. «I profughi palestinesi non dimenticano la propria terra; la terra è l’onore. Se noi non possiamo tornarci, saranno i nostri discendenti a farlo».

Hadj Ismaël Nichwan, 89 anni, si ricorda del suo viaggio dell’esodo, cominciato dal villaggio di ad-Dawayma, al sud della città di Hebron: «L’esercito di occupazione invase il mio villaggio nel 1948 e cominciò a compiere massacri contro uomini, donne, bambini. Circa 500 persone hanno perso la vita. Poi, il viaggio del mio esilio è iniziato, verso Hebron, poi verso la Giordania nel 1967».

Conservare la chiave della propria casa

Nachwan risiede attualmente nel quartiere di Nazal, nella capitale giordana Amman. Confessa che conserva sempre la chiave della propria casa, in un villaggio che non dimenticherà mai. La chiave andrà ai suoi figli e ai suoi nipoti affinché il sogno del ritorno diventi realtà.

Anche l’ottantenne hadj Ali al-Khattib, chiamato Abu Salem, sogna di tornare al suo villaggio al-Maliha da cui era stato cacciato tempo fa.

Abu Salem racconta la sua vita dopo la Nakba (la tragedia del 1948), come ne sono usciti dopo gli attacchi degli ebrei. Sono rimasti nelle caverne vicine, per un anno, per poi lasciarle ed andare a  vivere in Giordania. Un esilio che segue un altro.

Un sogno, un’eredità

Hadj al-Khattib conserva molti ricordi del suo villaggio di al-Maliha. Porta sempre la chiave della  casa ereditata da suo padre e la consegnerà a figli e nipoti.

Dal canto suo, Kadim Ayech, presidente dell’associazione giordana per il ritorno e i profughi, dice che il numero di palestinesi ha superato i 12 milioni di persone, di cui più della metà sono profughi. Tali profughi restano legati ai loro diritti, il loro diritto al rientro, il loro diritto ad uno stato con Gerusalemme (al-Quds) come capitale. Restano legati all’intera terra, dal fiume fino al mare, dal sud fino al nord.

Infine, Ayech chiama i profughi palestinesi ad una maggiore unione, un maggior lavoro, un maggior sacrificio, un sacrificio che non conosce confini, né accordi firmati senza consultare il popolo palestinese.

Traduzione di Giovanna Vallone