Attivisti di Fb nel mirino del governo israeliano (2a parte)

fBiz-interceptImemc. Pubblichiamo la seconda parte dell’articolo: Attivisti di Fb nel mirino del governo israeliano.

I soldati hanno portato Zahda all’unità antiterrorismo della polizia israeliana, che lo ha trattenuto per il reato di incitamento alla violenza. Ad un certo punto, durante l’interrogatorio, la polizia ha mostrato a Zahda i contenuti della sua pagina Facebook. Tuttavia, Zahda aveva scritto quei post dalla Cisgiordania, cioè da un’area governata non dal codice civile israeliano bensì dalla legge marziale imposta da Israele. L’avvocato di Zahda, Nery Ramati, ha affermato che la polizia non aveva alcuna giurisdizione sul suo assistito. Anziché rilasciarlo, la polizia ha trasferito Zahda in un carcere militare israeliano. Quando è stato chiesto il perché del suo arresto e dell’interrogatorio, i soldati israeliani hanno risposto che “il caso del Sig. Zahda è ancora aperto per cui non siamo in grado di fornire ulteriori spiegazioni”.

La polizia israeliana non ha risposto alle richieste specifiche circa l’interrogatorio.

Il caso di Zahda, ancora sotto esame, fa parte del nuovo campo di battaglia in cui si combatte l’interminabile conflitto israelo-palestinese: da un lato i palestinesi usano i social media quale mezzo per diffondere notizie sulle persone arrestate e su quelle morte per mano israeliana, e dall’altro l’intelligence israeliana e gli agenti delle forze dell’ordine perlustrano il web alla ricerca di indizi sul prossimo accoltellamento o sulla prossima protesta.

Facebook non ha cambiato le principali linee del conflitto ma sicuramente ha avuto l’effetto di catalizzarlo. Una manifestazione contro l’occupazione israeliana può essere organizzata nel giro di poche ore, laddove il monitoraggio dei palestinesi diventa molto più semplice proprio a causa della larga quantità di tracce che essi lasciano utilizzando i propri computer e smartphone. Gli ufficiali israeliani hanno accusato i social media di aver provocato l’ondata di violenti attacchi perpetrati dai palestinesi, iniziata lo scorso ottobre 2015. Da allora, le forze di sicurezza israeliane hanno arrestato circa 400 palestinesi per la loro attività sui social media, stando a quanto riportato dalle associazioni Addameer e Adalah per i diritti dei palestinesi. La maggior parte degli arresti si verifica a seguito di quanto viene pubblicato su Facebook, un social network molto popolare tra i palestinesi. Soltanto nel 2015, il ministro della giustizia israeliano ha aperto 155 indagini su presunti incitamenti avvenuti sui social media. Si tratta di un sensibile aumento rispetto all’anno precedente, come riportato dal quotidiano israeliano Haaretz. Sebbene la legge che condanna gli incitamenti sui social media si applichi a tutti i cittadini e residenti, gran parte dei casi aperti finora sono stati diretti contro gli arabi che vivono in Israele.

L’arresto di palestinesi per via delle loro attività su Facebook apre una finestra sulle pratiche adottate dallo stato di polizia israeliano e rivela il lato oscuro dei social media: ciò che prima veniva considerato un’arma a favore dei poveri, oggi si sta rivelando il posto perfetto per scovare potenziali movimenti di resistenza.

Traduzione per InfoPal di M.D.F.