Trump potrebbe rottamare Netanyahu con gentilezza

trump_adelsonNazareth. Palestine Chronicle. Di Jonathan Cook . Mentre le elezioni presidenziali negli Stati Uniti hanno aspramente contrapposto il pubblico americano, la maggior parte degli israeliani era ottimista nei confronti degli esiti delle consultazioni. Entrambi i candidati – Donald Trump e Hillary Clinton – erano desiderosi di porre fine agli otto anni di diffidenza tra Barack Obama, il presidente uscente, e Benjamin Netanyahu.
Il primo ministro israeliano dovrebbe – almeno sulla carta – rallegrarsi per Trump.
Netanyahu, eletto per quattro volte, ha sempre avuto scontri con gli esponenti democratici. Ora, invece, si trova innanzi non solo un Presidente repubblicano, ma anche  un Congresso dominato dai Repubblicani stessi.
A guardia delle relazioni diplomatiche tra USA ed Israele sarà Sheldon Adelson, magnate americano padrone di un casinò, che è  un forte sostenitore di Netanyahu. Non sarà certo sfuggito a Trump che il miliardario è uno dei principali finanziatori del partito repubblicano.
Netanyahu è stato tra i primi a congratularsi con Trump al telefono. Il nuovo Presidente degli Stati Uniti  ha ricambiato invitandolo per dei colloqui “alla prima occasione”. Eppure, si dice che  Netanyahu sia in ansia per Trump alla Casa Bianca. Perché?

La causa non sta certo nelle dichiarazioni politiche di Trump sul conflitto israelo-palestinese.
Egli sostiene infatti l’iniziativa di spostare l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme – mossa che, se attuata, renderebbe gli Stati Uniti il primo stato occidentale a riconoscere la città come capitale di Israele. Sarebbe, altresì, un sigillo sull’annessione illegale israeliana di Gerusalemme Est, la capitale di un eventuale stato palestinese.
In precedenza, altri candidati repubblicani avevano fatto la stessa promessa, ma Trump si presenta come il primo che potrebbe portarla seriamente a termine. La leadership palestinese, preoccupata, ha affermato che gli renderebbe la vita difficile, se questo avvenisse.

Inoltre, una dichiarazione, rilasciata Trump poco prima delle elezioni, avrebbe potuto essere scritta da Netanyahu stesso. Egli ha respinto una soluzione a due stati, definendola “impossibile”, ed accusando la dirigenza palestinese di incentivare  il terrorismo ed educare i figli nell’”odio verso Israele e gli ebrei”. La dichiarazione ha anche lasciato intendere che Israele avrebbe mano libera ad espandere gli insediamenti.
Ci sono stati accenni anche che gli aiuti militari statunitensi potrebbero essere aumentati al di sopra del record di $38 miliardi nell’arco di 10 anni recentemente promessi da Obama.  Tale dichiarazione ha anche proposto un giro di vite su tutte le attività di boicottaggio, anche quelle verso gli insediamenti. “La falsa idea che Israele è un occupante dovrebbe essere respinta”, ha concluso.
Allora, perchè Tel Aviv si preoccupa?
Per quanto Netanyahu appaia un falco a chi lo osservi da fuori, è relativamente moderato rispetto al resto del suo partito Likud ed ai suoi partner nella coalizione di governo.
Il primo ministro ha ottenuto il consenso in patria presentando se stesso come un leader assediato, ma  anche come quello più idoneo a salvaguardare gli interessi di Israele contro una Casa Bianca ostile. Ora, sgomberato il campo di battaglia, l’armatura di Netanyahu rischia di renderlo goffo e di risultare sproporzionata rispetto alle esigenze reali

C’è anche un altro pericolo. I consiglieri di Trump sul conflitto israelo-palestinese sono più vicini alle posizioni del leader dei coloni Naftali Bennett, il ministro dell’Istruzione, che a quelle di Netanyahu. Dopo la vittoria di Trump, Bennett ha proclamato con gioia: “L’era per uno Stato palestinese è finita”.

Il primo ministro israeliano potrebbe essere messo realisticamente all’angolo da Bennett, se l’amministrazione Trump approvasse le richieste dei coloni di annettere la maggior parte della Cisgiordania, se non tutto il suo territorio.
A quel punto, la realizzazione del sogno di Netanyahu di una ‘Grande Israele’ potrebbe rivelarsi una vittoria di Pirro.
Infatti, l’acquisizione completa della Cisgiordania da parte di Israele potrebbe innescare una crisi irreversibile con l’Europa; il crollo dell’Autorità palestinese, che riporterebbe su Israele l’onere militare e finanziario dell’occupazione; nonché una intifada in piena regola da parte dei palestinesi, che metterebbe a dura prova le misure di sicurezza di Netanyahu.
La creazione di una Grande Israele potrebbe anche danneggiare Israele stessa, portando i Palestinesi a riformulare la propria lotta come una battaglia per la parità dei diritti in un unico Stato. Il paragone con le lotte precedenti in nome di tali diritti (basti pensare a quella contro l’Apartheid sudafricano ed a quella di Jim Crow nel profondo sud degli Stati Uniti) sarebbe difficile da gestire.

Ma Netanyahu ha un ulteriore motivo per temere un imminente presidenza Trump.
Il primo ministro conosceva bene Hillary Clinton, le sue posizioni politiche in Medioriente, ed aveva frequentato per anni i suoi più stretti consiglieri.
Trump, al contrario, non è solo un enigma in materia di politica estera, ma è anche notoriamente mercuriale. I suoi impulsi isolazionisti, spesso dichiarati, ed il suo apparente desiderio di ricucire le relazioni diplomatiche con il russo Vladimir Putin potrebbero avere implicazioni imprevedibili per il Medio Oriente e Israele.

Potrebbe arrivare a dichiarare nullo l’accordo nucleare dello scorso anno con l’Iran, come spera Netanyahu, ma potrebbe altrettanto ugualmente disimpegnarsi dalla regione, dando più margine di manovra allo stesso  Iran ed alla Russia. L’effetto sul regime di ispezioni internazionali sul nucleare in Iran o le guerre per procura infurierebbero a quel punto nel cortile di Israele (in Siria e altrove), e sarebbe difficili da prevedere.

Riassumendo, Trump potrebbe rottamare Netanyahu con gentilezza, trasformare Israele in uno ‘Stato paria’ tra le potenze occidentali e lasciarlo esposto strategicamente.
Inoltre, diventando icona di una presidenza controversa  e, forse, di breve durata, Trump potrebbe rapidamente trasformare Israele in pomo della discordia in materia di politica interna.

L’adagio –  Sta’ attento a ciò che desideri – potrebbe perseguitare Netanyahu.

Traduzione di Maddalena Iaria