Gaza, 100 mila ore di isolamento

Gaza residential tower building destroyed by war-criminal israeli air strikes, August 25, 2014 rtA cura dell’Abspp onlus. Gaza, 100 mila ore di isolamento

Dal 2008, Israele ha lanciato tre offensive militari contro la Striscia di Gaza, provocando danni irreversibili alle infrastrutture e aggravando la crisi umanitaria esistente. Tale devastazione si aggiunge a un blocco soffocante che strangola i Palestinesi di Gaza da 11 anni.

Il blocco colpisce la vita quotidiana e i mezzi di sussistenza di circa 2 milioni di cittadini, tra cui 1,3 milioni di rifugiati.

Il blocco, considerato illegale dal diritto internazionale e spesso condannato da organismi internazionali, lascia l’enclave costiera in costante carenza di medicine, acqua, carburante e cibo.

Inoltre, le restrizioni di movimento di merci continuano a impedire la ricostruzione delle migliaia di case, scuole, ospedali, centrali elettriche e reti idriche distrutte durante le offensive israeliane nel 2014.

Durante una conferenza sulla situazione umanitaria nella Striscia di Gaza, nel 2016, il direttore delle operazioni dell’UNRWA a Gaza, Bo Schack, dichiarò: “Rispetto agli ultimi sei mesi, le condizioni umanitarie si sono significativamente deteriorate. Gaza sta vivendo un periodo difficile, con un alto tasso di disoccupazione, carenza idrica, infrastrutture danneggiate, costanti interruzioni di corrente e restrizioni di movimento imposte alla libertà degli individui da e verso Gaza”. 

ISOLAMENTO DELLA STRISCIA DI GAZA

Sin dagli anni ’90, Israele porta avanti politiche di isolamento della Striscia di Gaza, con molte chiusure. Nel settembre 2007, Israele dichiarò Gaza “entità ostile” e decise che sarebbero state aggiunte ulteriori sanzioni contro il governo di Hamas: restrizioni al transito di numerose merci nella Striscia di Gaza; riduzione della fornitura di combustibile ed elettricità; restrizioni al movimento delle persone verso e dalla Striscia di Gaza.
Allo stesso modo, Israele controlla anche il registro della popolazione, le reti di telecomunicazione e molti altri aspetti della vita quotidiana rendendo quasi impossibile per i residenti costruirsi un futuro produttivo.

In base alla legge di diritto umanitario internazionale, Israele rimane un potere occupante e sta infrangendo il “divieto assoluto” della punizione collettiva previsto dal Diritto Internazionale umanitario, penalizzando l’intera popolazione di Gaza.

Inoltre, dal 2008, lo Stato di Israele ha lanciato tre offensive militari contro la Striscia di Gaza, devastando la sua già fragile infrastruttura e peggiorando una crisi umanitaria creata da 11 anni di blocco militare.

OFFENSIVE MILITARI ISRAELIANE

  • Operation Cast Lead (Piombo Fuso, dicembre 2008 – gennaio 2009):

1.436  Palestinesi uccisi e più di 5.400 feriti.

  • Operation Pillar of Cloud (Colonna di Nuvola, 14 novembre 2012 – 21 novembre, 2012):

162 palestinesi uccisi e più di 1.300 feriti.

  • Operation Protective Edge (Margine protettivo, 8 luglio 2014-26 luglio / agosto 2014):

uasi 2.147 palestinesi uccisi e più di 10.741 feriti.

  • Durante le tre operazioni militari lanciate sulla Striscia di Gaza densamente popolata, Israele ha utilizzato più di 24.000 tonnellate di esplosivi.

 10.741 palestinesi sono stati feriti, di cui 3.303 bambini.

 Un terzo dei bambini ha riportato ferite a lungo termine con conseguente disabilità.

 Gli attacchi hanno causato danni senza precedenti alle infrastrutture con conseguente aggravamento della situazione economica, 58.000 case sono state completamente o parzialmente distrutte.

La Striscia di Gaza è considerata una delle aree più densamente popolate del Pianeta, ed è ermeticamente sigillata alle sue due frontiere, israeliana e egiziana.

Le operazioni militari israeliane, condotte tra il 2008 e il 2014, sono costate la vita di 3.745 palestinesi e il ferimento di 17.441.

 RIFUGIATI INTERNI

  • 65.000 persone sfollate
  • Fondi per la ricostruzione: sono arrivati solo il 33% dei fondi necessari.
  • Soltanto il 46% dei fondi per la ricostruzione sono stati utilizzati per la ricostruzione

Durante l’attacco di 50 giorni del 2014, Israele ha condotto circa 60.664 raid aerei, terrestri e marittimi, distruggendo o gravemente danneggiando 18.000 unità abitatative che richiedono riparazione e materiale da costruzione non disponibile nel mercato locale.

Per alleviare la situazione degli sfollati che vivono in rifugi a seguito della distruzione causata dall’attacco, nel mese di ottobre 2014 si tenne al Cairo una “conferenza dei donatori per la ricostruzione di Gaza”: in tale occasione, la comunità internazionale si impegnò a fornire 5,4 miliardi di dollari per ricostruire l’enclave costiera. Ad oggi sono stati erogati soltanto 300 milioni di dollari.

Nel settembre del 2016, il direttore dell’Ufficio della Banca mondiale in Cisgiordania e Gaza, Marina Louis, ha dichiarato: “Più di 70 mila persone in Gaza soffrono a causa dei dislocamenti interni. La situazione a Gaza è fonte di profonda preoccupazione e le condizioni necessarie per una crescita economica sostenibile non sono ancora disponibili”.

RIFUGIATI INTERNI E AIUTI UNRWA

L’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e Affari dei Rifugiati Palestinesi (UNRWA) gestisce programmi di aiuto, fornendo cibo e sostegno finanziario a più di 1.340.000 rifugiati a Gaza, tuttavia, la maggioranza vive ancora in situazione di insicurezza e instabilità.

Nel 2014, un’indagine condotta da UNRWA mostrò che il 46,7% dei Gazawi, circa 900.000 persone, soffriva di insicurezza alimentare.

Quasi tutti i rifugiati soffrono per la carenza di cibo, acqua, elettricità, assistenza sanitaria, educazione o riparo. Sentimenti di insicurezza e ansia continuano a colpire questi rifugiati a seguito degli attacchi ripetuti e l’assedio soffocante dell’ultimo decennio.

Il numero di rifugiati aumenta ogni anno.

Nel 2016, il numero di rifugiati è salito a 1,34 milioni e dovrebbe raggiungere 1,6 milioni entro il 2020.

LIBERTÀ DI MOVIMENTO NEGATA

Il diritto di spostamento è un diritto umano fondamentale, previsto non solo dal Diritto internazionale umanitario, ma anche a norma dell’articolo 12 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966), che stabilisce che a tutti le persone sia garantita la libertà di movimento e scelta di residenza: “Tutti saranno liberi di lasciare qualsiasi paese, compreso il proprio”, e “Nessuno può essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio Paese”.

L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli umanitari Affari (OCHA) considera le restrizioni di Israele sulla libertà di movimento di persone e beni tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania come “parte della politica di separazione”, la stessa politica che nega ai palestinesi l’accesso al trattamento medico, l’istruzione o lavoro in Cisgiordania e Gerusalemme Est.

La libertà di movimento nella Striscia di Gaza rimane un grosso problema che ogni palestinese deve affrontare se vuole lasciare la Striscia o farvi ritorno.

Il valico di Erez è diventato il passaggio alternativo per le persone che vivono a Gaza.

A seguito dell’operazione Protective Edge nel 2014, il numero di cittadini che entrano da Erez è aumentato; tuttavia, tale aumento è insufficiente a soddisfare le esigenze di transito della popolazione della Striscia di Gaza. Infatti, il numero di passeggeri cui è stato permesso il passaggio ammonta soltanto al 2%.

Le politiche delle autorità israeliane hanno aggravato il problema del movimento dei residenti della Striscia di Gaza.

Nel 2016, a migliaia di persone fu impedito il transito senza motivazioni valide.

Sempre più passeggeri sono soggetti a interrogatori e al rifiuto del permesso di transito al valico di Erez.

Il rifiuto dei permessi di circolazione ha impedito alla popolazione di beneficiare delle opportunità di sviluppo professionale all’estero e agli studenti l’accesso a vari programmi educativi in tutto il mondo.

Gruppi colpiti dall’imposizione del divieto di sicurezza 

  1. Commercianti e imprenditori

Nel 2016, a molti commercianti palestinesi e uomini d’affari della Striscia di Gaza, con relazioni commerciali a lungo termine all’interno di Israele, in Cisgiordania e all’estero, e con permessi di transito dal valico di  Erez , è stato negato il passaggio con giustificazioni riguardanti misure di sicurezza. Il divieto loro imposto di circolare e commerciare può arrivare fino ad un anno.

  1. Pazienti che necessitano di cure mediche

I permessi necessari per spostarsi e raggiungere strutture mediche per le cure necessarie sono diminuiti, causando ulteriori sofferenze che a volte si trasformano in decessi.

Nel 2016, Physicians for Human Rights (PHR) segnalarono l’aumento del numero di pazienti affetti da tumore che denunciavano all’organizzazione il rifiuto della loro richiesta di transito per cure e trattamenti all’estero da parte di Israele.

Nel 2015, dei 242 pazienti che si erano rivolti a PHR, a 150 era stato applicato il Security Ban e si erano visti negare le cure.

Secondo una relazione dell’OMS pubblicata nel 2016, la percentuale delle autorizzazioni approvate per il trattamento medico al di fuori della Striscia di Gaza è scesa dal 92,5% nel 2012 al 77,5% nel 2015 per poi calare nettamente al 44% nell’ottobre 2016.

  1. operatori umanitari di organizzazioni

L’OCHA riferisce che il tasso di rifiuto delle autorizzazioni per gli operatori umanitari internazionali è salito al 49%. Nell’ottobre 2016, il tasso era del 52%: più di 100 permessi sono stati respinti, tra cui quelli di 40 operatori affiliati all’ONU e ad altri organismi internazionali.

ASSISTENZA SANITARIA VIOLATA

  • E’ stato vietato l’accesso a Gaza al 70% degli aiuti medici e del combustibile destinato ai generatori per alimentare gli ospedali
  • Negli ospedali di Gaza , 300 dispositivi medici sono fuori uso e richiedono la sostituzione
  • Durante il 2016, l’impiego di nuovo personale è stato congelato.

Il sistema sanitario di Gaza, già vulnerabile, è stato profondamente colpito dalle restrizioni imposte da Israele sia all’accesso alle forniture mediche essenziali sia al movimento dei pazienti dentro e fuori dalla Striscia di Gaza.

Il sistema sanitario pubblico a Gaza è stato notevolmente influenzato dal blocco israeliano: gravi carenze di farmaci essenziali e apparecchiature mediche, instabilità costante nell’alimentazione elettrica, critica mancanza di carburante per generatori e manutenzione insufficiente hanno aggravato il deterioramento della qualità dei servizi sanitari. A ciò si deve aggiungere la mancanza di possibilità di formazione e di aggiornamento dei medici specialisti, che non posa cui è impedito di viaggiare a causa delle restrizioni di Israele sulle licenze e sui permessi di movimento.

L’ACQUA: TRA BLOCCHI E INQUINAMENTO 

Secondo l’Autorità Palestinese per le Acque, circa il 95% dell’acqua a Gaza non è a norma con gli standard previsti dall’Organizzazione Mondiale della Salute.

La grave carenza idrica aumenterà e supererà la soglia limite, se la situazione attuale non sarà migliorata entro il 2020.

I black-out energetici peggiorarno la situazione idrica nella Striscia di Gaza.

Con 24 servizi idrici fortemente dipendenti dalla disponibilità di energia elettrica, il 30% della popolazione oggi non ha accesso immediato all’acqua, mentre l’80% deve acquistare acqua potabile per uso quotidiano in quanto quella del rubinetto non è disponibile.

L’EDUCAZIONE

La chiusura costante dei valichi porta ad una carenza di materiali da costruzione necessari per lo sviluppo delle infrastrutture. Per far fronte a tale problema, le scuole hanno classi sovraffollate, il che significa una riduzione nella qualità dell’insegnamento.

In secondo luogo, il 90% delle 252 scuole dell’UNRWA di Gaza operano in due o, a volte, tre turni per essere in grado di accogliere il gran numero di studenti e ciò ha conseguenze sull’efficienza dell’insegnamento.

CARBURANTE ED ENERGIA ELETTRICA

Sopravvivere a periodi di black-out ripetitivi e lunghi fino a 12-16 ore

Alla fine di luglio 2013, l’esercito egiziano ha distrutto la maggioranza delle gallerie tra Egitto e Gaza.

Nel maggio 2015, l’Egitto annunciò la distruzione di circa l’80% delle gallerie della Striscia: ciò portò alla sospensione completa dell’introduzione del combustibile attraverso i tunnel.

Come risultato, i palestinesi stanno soffrendo per le gravi restrizioni sull’ingresso di carburante e il conseguente aumento del suo prezzo.

L’unica centrale elettrica a Gaza funziona ad appena il 46% della sua capacità e, frequentemente, smette di funzionare a causa dell’esaurimento del combustibile.

Le ragioni reali dietro la crisi energetica nella Striscia di Gaza sono i tagli, la rapida crescita della domanda di energia elettrica e l’accumulo di debiti verso la società erogatrice. I debiti sono saliti a 3,5 miliardi dal 2012.

La popolazione non può pagare tale ingente somma a causa della situazione finanziaria ormai deteriorata come conseguenza di blocco e assedio alla Striscia di Gaza e dei redditi drammaticamente bassi della maggior parte delle famiglie. 

ASPETTI LEGALI

Le autorità israeliane hanno applicato una politica di chiusura continua e di assedio sulla Striscia di Gaza ormai da 11 anni. Esse mantengono uno stretto controllo dei terreni commerciali e non e  del transito navali, impedendo ai residenti di Gaza di viaggiare, ai pescatori di lavorare, e vietando l’ingresso di diversi tipi di merci, medicinali e attrezzature mediche vitali, violando in toto obblighi derivanti dal diritto internazionale e dalla IV Convenzione di Ginevra del 1949.

Secondo gli articoli 55-56 della IV Convenzione di Ginevra, è infatti dovere dell’occupante fornire cibo e assistenza medica agli occupati.

Secondo l’articolo 54 del I Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Ginevra (1977), è fatto divieto affamare i civili.

Inoltre costituisce un crimine di guerra, come classificato dalla Carta della Corte Penale Internazionale, “usare intenzionalmente la fame come mezzo di guerra, privando i civili di beni indispensabili alla loro sopravvivenza”.

Le conseguenze delle violazioni di Israele si estendono dalla fame alla devastazione delle infrastrutture civili, degli impianti industriali, di comunicazione, delle centrali elettriche, delle reti di trasporto e dei terreni agricoli.

Nonostante la sua responsabilità legale, Israele continua a negare l’ingresso ai materiali edili necessari per ricostruire ciò che ha distrutto con le sue offensive sulla popolosa Striscia di Gaza.

(Fonte dei dati: Euro-Med Monitor for human rights)