A Istanbul, II Conferenza dei Palestinesi all’Estero. Focus su Gerusalemme

Istanbul-InfoPal. Venerdì, a Istanbul, in Turchia, ha preso il via la II Conferenza Popolare dei Palestinesi all’Estero, con la partecipazione di oltre 1.100 palestinesi provenienti da 52 paesi del mondo. I lavori proseguiranno fino a domenica 27 febbraio.
La conferenza ha l’obiettivo – secondo i suoi organizzatori – di “unire il popolo palestinese, rivitalizzare l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina sulla base di elezioni a cui partecipino tutti i palestinesi, preservare l’identità nazionale palestinese e prevenirne lo scioglimento nelle comunità di rifugiati”.

Nell’ambito della Conferenza è stato organizzato un seminario sull’apartheid a Gerusalemme e sulle politiche razziste e di pulizia etnica israeliane contro i gerosolimitani, con la partecipazione di un gruppo di ricercatori e specialisti in tematiche gerosolimitane. Ha moderato Wafaa Hani, direttrice del Media Center “Cupola della Roccia”.

Khaled al-Owaisi, specialista in studi su Gerusalemme, ha affermato: “Dall’inizio dell’occupazione britannica della Palestina, la geografia e la demografia palestinese sono state colpite; il conflitto con l’occupante è iniziato prima della Nakba palestinese.

“I gerosolimitani sono stati in grado di contrastare i piani dei sionisti, in generale, in particolare a livello demografico. Da parte loro, le autorità di occupazione hanno cercato di ebraicizzare la città aumentando la popolazione ebraica”.

Osama Al-Ashqar, un ricercatore e storico palestinese, ha parlato dei tentativi dell’occupazione, nel corso della storia, di falsificare antichità, monumenti storici e nomi di città e paesi palestinesi.

Ha sottolineato l’importanza di concentrarsi sull’aspetto culturale di fronte alla politica israeliana di ebraizzazione, chiedendo la mobilitazione di accademici al fine di diffondere la consapevolezza della Questione di Gerusalemme tra le nuove generazioni; ha evidenziato come nelle piattaforme dei media digitali non si parli di tale questione e delle difficoltà della lotta contro la narrazione israeliana che falsifica i fatti sui luoghi santi islamici e cristiani.

Da parte sua, Muhammad Hannoun, presidente dell’Organizzazione Europei per Gerusalemme, ha elogiato la fermezza dei residenti di Gerusalemme e del quartiere di Sheikh Jarrah di fronte ai continui attacchi israeliani, e ha sottolineato la necessità di sostenere i gerosolimitani attraverso progetti umanitari che rafforzino la determinazione nell’affrontare l’ebraizzazione israeliana.

Pubblichiamo di seguito una sintesi di alcuni interventi nella giornata del 25 febbraio. Di Jinan Hannoun.

Intervento di Aroub al-Abed, “Cosa ha spinto i palestinesi fuori dalla Palestina storica”: “Quando ricordiamo i palestinesi, dobbiamo ricordare le loro case e famiglie rimaste lontane da loro e il fatto che prima o poi torneremo nella nostra terra. Noi non lo pensiamo e basta, noi ne siamo sicuri. I profughi palestinesi della Siria, dell’Iraq e Libano, insieme a tutti gli altri, da chi vengono ricordati? Non bastano solo quelli in Palestina che ogni giorno soffrono nonostante siano nelle proprie case, e nella propria terra. Ma noi possiamo ricordarli attraverso diversi libri, ma soprattutto attraverso i social media, che ogni giorno postano sulla Palestina. Un altro esempio può essere il BDS, che fa la propria parte con l’azione contro il sionismo israeliano”.

Mohsen Saleh: “In conferenze come queste dobbiamo ricordare il nostro sostegno verso la Palestina, e anche che lottare per la nostra terra è nostro diritto; non è solo un diritto dal nostro punto di vista, ma anche un dovere, è il nostro dovere lottare per la nostra terra. Abbiamo due problemi principali in Palestina: la mancanza dell’ordine politico e la mancanza della sanità in Palestina. Un altro caso è quello della polizia della Palestina, che in parte viene dagli israeliani stessi. Questi e molti altri problemi, hanno creato un’aggiunta di confusione nelle menti dei palestinesi. Dobbiamo ricordare che la Palestina è il luogo dove nasce il coraggio e dove nascono i veri uomini, coloro che non si arrenderanno mai e mai lasceranno ai sionisti la libertà di rubare la loro terra, le loro case e i loro diritti.

Tareq Sami Khouri, deputato giordano: “La resistenza è uno dei diritti e doveri che ogni palestinese ha per veder restituita la sua terra. La cosa che ci tiene uniti è appunto la resistenza, per questo è importante per noi palestinesi, e non solo in Palestina, ma in tutto il mondo. Questi palestinesi di cui stiamo parlando non sono solo migliaia o milioni, non abbiamo un numero preciso perché non siamo noi che abbiamo deciso di essere cacciati. Ma vedete comunque come da ogni angolo del mondo siamo sempre uniti e pronti per combattere per la nostra patria e per i nostri diritti, anche se non siamo fisicamente in Palestina, ma attraverso le piattaforme social e le attività come BDS, che da ogni parte del mondo si fanno sentire con il massimo che possono. E la lotta per la liberazione non è solamente da parte dei palestinesi, ma anche da parte di tutti i paesi, arabi e musulmani e non soltanto quelli. Ciò ci ricorda che non è necessario essere palestinese per lottare per la causa, basta anche solo essere un essere umano e sentire la sofferenza di ogni persona o popolo, indipendentemente da religione, etnia o provenienza geografica”.

Ahmad al-Atawne. “Chiedo: se sono di Londra, come faccio a fare resistenza? La resistenza non è solo attraverso la lotta, ma anche insegnando ai figli l’importanza di stare attaccati ai propri diritti e doveri da palestinesi, ovviamente dà più risultato il fatto di lottare con quel che si può. Insegniamo e facciamo prendere consapevolezza a coloro che ci stanno intorno ovunque, noi stiamo, che in Europa o all’estero, la questione palestinese non è un punto di vista, ma che bisogna aver un cuore e far funzionare la mente, per riconoscere l’oppresso dall’oppressore, rispondendo alle domande di coloro che sono confusi sulla nostra causa, in modo che la confusione si trasformi in comprensione della differenza tra vittima e carnefice. Noi palestinesi dobbiamo agire come comunità, qualunque sia la nostra professione; come palestinesi dell’estero, abbiamo tantissime opportunità di mostrare la nostra solidarietà; abbiamo la possibilità di insegnare alle generazioni che verranno dopo di noi, ma soprattutto, di diffondere solidarietà verso la Palestina a tutti coloro che ci stanno intorno e che non hanno nemmeno provenienze palestinesi o arabe.