Abbas contro Dahlan

Pal.info. Di Khalid Amayreh. È interessante vedere il leader dell’Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, e l’ex uomo forte di Fatah a Gaza, Mohammed Dahlan, affrontarsi in pubblico, com’è successo recentemente.
In fondo, nessuno di loro due è un santo, per usare un eufemismo.
Per quanto riguarda Abbas, egli non è il tipo di leader che dimostri particolare apprezzamento per la verità e per la trasparenza.
Inoltre, è molto probabile che la sua “presidenza” sia coinvolta in modo significativo in corruzione, nepotismo e favoritismi.
Le enormi ricchezze che si attribuiscono ai suoi figli dal momento in cui Abbas divenne presidente, in seguito alla morte di Yasser ‘Arafat nel 2004, sollevano urgenti interrogativi sulla corruzione sfrenata all’interno delle istituzioni dell’Autorità palestinese.
Il minimo che si possa dire è che il principio delle pari opportunità non è stato sempre preso in considerazione quando i suoi figli hanno partecipato a gare e contratti commerciali emessi dal governo dell’Autorità palestinese.
Dal punto di vista della politica, ci sono poi prove convincenti che Mahmoud Abbas non è il leader nazionalista ideale, pronto a tutto pur di non compromettere i diritti inalienabili dei palestinesi, soprattutto il fondamentale diritto al ritorno per i milioni di palestinesi espulsi dalla loro patria ancestrale nel 1948, per mano degli invasori ebrei dell’Europa dell’est.
L’osservazione espressa da Abbas lo scorso anno, relativamente alla mancanza di desiderio di tornare alla propria città di Safad, ha trovato una decisa disapprovazione nazionale da parte dei palestinesi, ed ha ulteriormente incoraggiato Israele nel rifiuto di voler accordare il rimpatrio ai rifugiati.
Detto questo, ritengo che Abbas non è il sommo malvagio che Mohammed Dahlan vorrebbe convincerci egli sia.
La settimana scorsa Abbas ha dichiarato al Consiglio rivoluzionario di Fatah che egli non vorrebbe terminare la propria vita tradendo la causa nazionale palestinese – probabilmente la miglior cosa che egli abbia mai detto.
Vorremmo tanto vedere il leader dell’Autorità palestinese attenersi alle sue parole, perché se non lo fa, tutti noi, e lo stesso Abbas, ne soffriremo, e il nostro nemico, Israele, sarà il vincitore finale.
Infine, dobbiamo essere onesti e riconoscere ad Abbas il merito di essere riuscito a evitare che la spaccatura tra Fatah e Hamas non sia degenerata in una guerra civile intestina come quelle sviluppatesi in Siria e in Egitto. Se Abbas si fosse comportato come Bashar al-Assad o come ‘Abdul Fattah as-Sissi, avremmo visto le strade di Gaza e della Cisgiordania inondate di sangue palestinese.
È vero, questo merito andrebbe dato a molte persone, e a Hamas. Ma anche Abbas va lodato, per il suo approccio non convulsivo verso Hamas.
A lui va poi il merito di aver saputo reprimere il fanatismo dei leader di Fatah, in particolare di Dahlan, che avrebbero voluto alimentare il fuoco della guerra civile “sia quel che sia”.
Inutile dire che se Abbas avesse permesso a Dahlan di agire a modo suo, forse una nuova nakba avrebbe colpito il popolo palestinese.
Dahlan: il delinquente incorreggibile
Non nutro alcun dubbio sul fatto che Mohammed Dahlan sia una agente-chiave di Israele nella scena palestinese. Almeno, così egli ha sempre agito.
La sua missione è sempre stata quella di combattere gli islamisti e di destabilizzare la vita politica nei Territori occupati, tutto a beneficio di Israele.
Diversi anni fa scrissi quanto segue sul ruolo di Dahlan nel sabotare la nascente democrazia palestinese, soprattutto dopo la sconfitta di Fatah, da parte di Hamas, nelle elezioni del 2006.
(Da confidente di Yasser ‘Arafat, Dahlan è stato incaricato del compito delicato di orientare, o di indebolire, Hamas nella Striscia di Gaza: compito che egli ha eseguito al meglio, con l’aiuto del suo vice, Rashid Abu Shbak. Si ritiene generalmente che gli uomini di Dahlan si siano avvalsi di metodi di tortura estremamente crudeli, “da far rizzare i capelli”, contro i leader islamici, tra i quali Mahmoud az-Zahhar e il compianto ‘Abdel’Aziz ar-Rantissi.
Quando Hamas vinse inaspettatamente le elezioni legislative nel 2006, Dahlan, allora all’apice del potere, mise in guardia i suoi colleghi legislatori di Fatah sul fatto di voler “affrontare duramente chiunque scelga di collaborare con Hamas”. Egli promise anche di voler fare “mangiare merda” ad Hamas, sostenendo che il movimento islamico avrebbe dovuto capire che “una cosa è predicare nelle moschee, un’altra gestire un Paese”.)
Nel 2008 la rivista statunitense Vanity Fair pubblicò una rivelazione a quanto parve estremamente accurata che dimostrava la cospirazione attivamente orchestrata da Dahlan con l’amministrazione Bush al fine di rovesciare il governo di Hamas, democraticamente eletto nei Territori occupati. Il lungo articolo, basato su documenti riservati confermati da fonti di intelligence, parlava di un’operazione segreta degli Stati Uniti, approvata dal presidente George W. Bush e attuata dal segretario di Stato Condoleeza Rice, atta a provocare una guerra civile palestinese.
Per mezzo di documenti riservati, confermati da ex e da attuali funzionari indignati degli Stati Uniti, David Rose rivela come il presidente Bush, Condoleeza Rice e il vice-consigliere alla Sicurezza nazionale Elliot Abrams abbiano supportato un’operazione di forza militare comandata dall’uomo forte di Fatah, Mohammed Dahlan, per provocare una sanguinosa guerra civile a Gaza e rendere Hamas più forte che mai.
Dahlan ha lavorato a stretto contatto con l’Fbi e la Cia, ed ha sviluppato contatti amichevoli con il direttore della Cia George Tenet, nominato da Clinton e rimasto in carica fino al 2004, durante la presidenza Bush”.
Nel 2001 il presidente Bush disse, come ci si ricorderà, di aver guardato il presidente russo Vladimir Putin negli occhi, di aver percepito “la sua anima” e di averlo trovato “affidabile”. Secondo tre funzionari Usa citati da Vanity Fair, Bush emise un giudizio simile nei confronti di Dahlan, quando lo incontrò per la prima volta nel 2003. Tutti e tre gli ufficiali ricordano di aver sentito Bush dire: “È il nostro uomo”.
Dahlan ha sostenuto ripetutamente che i suoi rapporti con la Cia e con neoconservatori quali Abrams non erano un segreto, e che avvenivano in stretto coordinamento con Abbas. La gente di Abbas conferma, almeno in parte, ma insiste a dire che Dahlan non avrebbe avuto limiti pur di soddisfare il proprio ego smisurato e le sue ambizioni illimitate.
Dahlan, che un volta definì se stesso akroot, ovvero survivalista, o delinquente, ha spesso accusato i suoi detrattori di ipocrisia e di doppiezza morale. “Pensate davvero che chi ha sottratto un centinaio di milioni di dollari abbia la qualifica per giudicare dei ladruncoli che se ne sarebbero impossessati di poche centinaia”?
Oggi Dahlan continua con i suoi giochi sporchi, non solo contro il popolo palestinese ma anche contro l’Egitto e le forze rivoluzionarie del mondo arabo.
La sua denigrazione spudorata dei Fratelli musulmani e il suo servilismo umiliante nei confronti delle autorità sanguinarie responsabili del colpo di stato al Cairo, descrivono un uomo dal carattere scadente e dalla moralità limitata, virtualmente privo di coscienza e rettitudine. Un uomo simile è un disastro, per se stesso e per il suo popolo.
Traduzione di Stefano Di Felice