InfoPal. A cura di Alessandro Barbieri. Anche il processo di Trieste finisce in prescrizione, più vicina la libertà per Georges Abdallah. Intervista a Said Bouamama, che denuncia “un vero affare di Stato”.
Dopo che tribunale francese d’applicazione delle sentenze ha accettato, venerdi 15 novembre, l’11ª domanda di liberazione del militante libanese e pro-palestinese, si attende la decisione sul ricorso presentato dalla procura antiterrorismo, programmata il 19 dicembre, per conoscere il destino del più anziano prigioniero politico d’Europa. In carcere da 40 anni e liberabile dal 1999, potrà uscire dalla prigione di Lannemezan a fine dicembre se i giudici della Corte d’appello di Parigi daranno un parere positivo, a condizione di lasciare il territorio francese e non farci più ritorno. Questa volta, la decisione non è subordinata a un decreto di espulsione del ministro dell’Interno. “È una grande vittoria politica e legale”, ha dichiarato il suo avvocato, Jean-Louis Chalanset.
Nel frattempo, il 26 novembre, è stata accolta la richiesta di prescrizione per il processo di Georges Abdallah presso il tribunale di Trieste, riaperto nel 2023 per fatti accaduti nel 1984.
Said Bouamama, sociologo e ricercatore a Lille e autore del libro “L’affaire Abdallah” ha risposto alle domande di InfoPal.
Sabato 26 ottobre più di 4000 persone hanno manifestato davanti alla prigione di Lannemezan (Pirenei centrali) per chiedere la liberazione di Georges Ibrahim Abdallah, in occasione dei 40 anni dal suo arresto a Lione, nel 1984. Dopo poco più di due settimane il militante libanese, fondatore delle Farl e figura storica della resistenza palestinese, ha ricevuto una risposta positiva alla 11ª richiesta di liberazione. Said Buomama può dirci a che punto siamo in questa vicenda?
“Questa decisione dei giudici è molto importante. Siamo, infatti, in un momento molto particolare, perché, da una parte, cresce in Francia la mobilitazione per la liberazione di Georges Abdallah, che a lungo è stata minoritaria, con la presa di posizione di personalità, associazioni e sindacati, e, allo stesso tempo, si riafferma in verità la volontà dello stato francese di lasciarlo morire in prigione. La maniera in cui è stata trattata la nuova richiesta di liberazione, in particolare con la scandalosa scelta di fissare l’udienza il 7 ottobre, indica che lo stato francese è determinato – su pressione degli Stati Uniti e di Israele – a mantenerlo in carcere, perché è diventato un simbolo della resistenza palestinese. Ora questa sentenza cambia tutto, perché non è più subordinata a un decreto di espulsione del governo, che non ha più il potere di opporsi alla sua scarcerazione.
Due sentenze del tribunale di Pao e di Parigi, nel 2003 e nel 2013, avevano già autorizzato la sua liberazione, ma si erano arenate contro la volontà del governo francese di estradare il militante verso il Libano. 63 deputati dell’Assemblea nazionale avevano firmato una petizione a favore della sua liberazione, aggiungendosi alla richiesta del primo ministro libanese e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dichiarando che “è vietato mantenere in prigione un condannato senza alcuna speranza di uscire”.
Quali sono le ragioni che si opponevano ancora alla sua liberazione?
“Recentemente la scrittrice Annie Ernaux, premio Nobel della letteratura, ha detto che ‘Abdallah è vittima di una giustizia di stato che è un’onta per la Francia’. E’innanzitutto una decisione politica quella di mantenere Abdallah in carcere, visto che la sua liberazione era condizionale a un ordine di espulsione del ministro dell’Interno, che Valls si rifiutò di firmare nel 2013 ed allo stesso modo tutti i suoi successori. Si è visto grazie a documenti pubblicati da wikileaks che ci sono state delle pressioni USA e israeliane sul governo francese per non liberarlo. In particolare l’ex segretario di Stato Hillary Clinton si è rivolta in un messaggio all’allora ministro degli Esteri Laurent Fabius chiedendo che le autorità francesi potessero trovare un modo per contestare la legalità di questa decisione. Siamo di fronte a un vero affare di stato, del livello dell’affaire Zola o dell’affaire Ben Barka. Tutta la storia della procedura giudiziaria mostra che ci sono continue ingerenze politiche. Dal primo processo in cui il suo avvocato Jean-Paul Mazurier era in realtà un agente della DGSE (direzione generale per la sicurezza esterna), a una promessa del governo tradita quando si trattava di scambiare Abdallah con un francese catturato in Libano nel 1985, dalle prove che sono state falsificate durante il secondo processo, come ha dimostrato il suo avvocato storico Jacques Verges, a delle sentenze di liberazione condizionale che rinviano a una decisione di espulsione del ministro dell’Interno. E’ chiara, quindi, l’intenzione da parte dei governi francesi di non liberarlo. Le ragioni di ciò sono, a mio avviso, tre. La prima è il simbolo di resistenza che è diventato Georges Abdallah, che spiega le pressioni USA e israeliane sulla Francia. La seconda ragione è che una sua liberazione rivelerebbe oggi l’ampiezza di questo affare di stato, e il governo non vuole che si ritorni sull’insieme della procedura giudiziaria. Infine la terza ragione è legata al contesto attuale del conflitto palestinese e a cosa significherebbe un suo ritorno in Libano”.
Nel suo libro racconta come si è arrivati da un arresto per falsi documenti a una condanna all’ergastolo, a causa delle continue intromissioni nel suo processo. Ci può riassumere questi passaggi?
“Durante il primo processo del 1984, Georges Abdallah è stato accusato solamente di falsificazione di documenti e detenzione d’armi, reati che non possono portare a condanne più lunghe di qualche anno. Il giorno stesso, però, in cui avrebbero dovuto liberarlo in cambio di Gilles Sidney Peyrolles, allora direttore del centro culturale di Tripoli in Libano ostaggio delle Farl, gli ispettori scoprono per caso le armi utilizzate nell’assassinio del militare americano Charles Ray e del diplomatico israeliano Yacov Barsimentov, in un appartamento a Parigi occupato per un periodo da Abdallah. Si passa, perciò, a un secondo processo in cui viene accusato di complicità in questi omicidi. La cosa particolarmente sorprendente, tuttavia, è che il processo si svolge sotto la forte pressione di una campagna stampa volta ad incolpare George Abdallah degli attentati in Francia nel 1986, che oggi sappiamo sono stati commessi dagli iraniani. Fatto raro, inoltre, è che gli Stati Uniti si costituiscono parte civile. Gli sforzi si moltiplicano per influenzare i giudici a non liberarlo. Infine, tra la requisitoria del pubblico ministero e la sentenza della giuria si passa da qualche anno di prigione a l’ergastolo. E’ ben evidente che ci sono state delle ingerenze politiche, oggi dimostrate da documenti de-classificati e pubblicati che mostrano le richieste statunitensi per condannare Abdallah. Nel ‘87, infatti, Alvin Adams, numero 2 dell’ufficio antiterrorismo del dipartimento di Stato a Washington si reca a Parigi per fare il giro dei ministeri minacciando che ‘se il governo francese cerca di proteggere Abdallah da una sentenza troppo pesante, le relazioni franco-americane ne soffriranno'”.
Nel giugno 2023 in Italia era ripartito un processo in cui Abdallah era accusato di importazione di armi da guerra e materiale esplosivo con finalità terroristiche, in una vicenda verificatasi a Trieste nell’84 e in cui già la Corte di Assise di Roma aveva dichiarato prescritti una serie di fatti. Il tribunale di Trieste, presieduto da Giorgio Nicoli, ha deciso di accogliere la richiesta di prescrizione, presentata dai legali di Abdallah. Che cosa vuole dire a proposito?
“É evidente che le tempistiche del processo riaperto dopo 40 anni dai fatti, ora che si profila la liberazione di Abdallah, con un mandato di arresto e una domanda di estradizione in Italia ancora in corso fino all’altro ieri, ci pongono delle domande sulla giustizia italiana e ci fa chiedere se questo non offrisse una porta d’uscita alla Francia sul problema Abdallah. Il governo francese è davanti a una contraddizione, da una parte la sua determinazione a non liberarlo e dall’altra una mobilitazione crescente, con diversi deputati che si sono espressi a suo favore e il sostegno diverse associazioni e sindacati. Trasmettere il caso all’Italia sarebbe stato un modo di sbarazzarsi di questo sporco lavoro, ora che Georges Abdallah è divenuto il più anziano prigioniero politico d’Europa e la Francia comincia a essere accusata del mancato rispetto dei diritti umani. Questo avrebbe permesso di mantenerlo in prigione senza portarne la responsabilità. É una buona notizia quindi che i giudici abbiano dichiarato prescritti tali fatti”.