Adolescente violinista palestinese racconta gli orrori degli abusi della detenzione israeliana

MEE. di Akram al-Wara. Athal al-Azzeh, 14 anni, afferma che le forze israeliane lo hanno torturato e gli hanno negato i diritti fondamentali con una “spaventosa” reclusione di 12 giorni.

Quando Athal al-Azzeh, un giovane violinista palestinese e studente appassionato, è stato arrestato dai soldati israeliani due settimane fa, ha temuto che la sua vita per come la conosceva fosse finita.

“Ero davvero spaventato, non sapevo cosa mi sarebbe successo”, ha detto il quattordicenne a Middle East Eye. “Tutto quello a cui riuscivo a pensare erano la mia famiglia e i miei amici, e se erano tristi e spaventati come me”, ha detto Azzeh, raccontando il momento in cui i soldati israeliani gli hanno teso un’imboscata mentre camminava vicino a una base militare a Betlemme, la sua città natale, nel sud della Cisgiordania occupata.

Azzeh è stato arrestato il 15 aprile mentre si dirigeva a casa di sua nonna nel campo profughi di Beit Jibrin, sulla strada principale di Betlemme. Una jeep militare israeliana gli si è fermata accanto mentre camminava e quattro soldati armati sono saltati fuori e lo hanno afferrato.

“Uno dei soldati mi ha afferrato per il collo, soffocandomi così forte che mi sono sentito svenire e ho iniziato a perdere conoscenza”, ha raccontato Azzeh. “Poi mi hanno portato nella base militare e mi hanno gettato a terra. Una volta che mi hanno liberato il collo ho potuto respirare di nuovo e ho capito dov’ero”.

“Quando mi sono svegliato hanno iniziato a prendermi a pugni sulla schiena, allo stomaco, in faccia, ovunque. Mi urlavano contro. Ero davvero spaventato”, ha detto. “Poi mi hanno ammanettato e portato in prigione”.

Quando Azzeh è arrivato in un centro di interrogatorio e detenzione all’interno dell’insediamento di Atarot, nel nord di Gerusalemme, ha detto di aver visto molti altri ragazzi palestinesi, come lui di età compresa tra i 15 e i 17 anni.

“Quando ho visto gli altri ragazzi, la mia mente ha iniziato a correre in molti posti diversi”, ha detto a MEE.

“Stavo solo pensando a tutte le cose che mi sarei perso. Ho pensato alla mia famiglia e al fatto che non sapessero dove fossi. Ho pensato alla mia scuola, ai miei amici e alle mie lezioni di musica. I sogni stavano finendo”.

“Tattiche di tortura”.

Azzeh è stato rilasciato dopo 12 giorni di detenzione, alle 4 del mattino di mercoledì 27 aprile, dietro cauzione di 4000 shekel israeliani (1200 dollari). Durante la sua reclusione, che a lui “è sembrata di 12 anni”, è stato accusato quattro volte e ogni giorno interrogato dai servizi segreti israeliani e da funzionari militari.

Le autorità israeliane hanno accusato Azzeh di aver lanciato pietre contro la base militare e di aver bruciato pneumatici, accuse che Azzeh ha categoricamente respinto.

Il giorno dell’arresto l’adolescente è stato interrogato per ore mentre era a digiuno e ha riferito che gli ufficiali israeliani gli hanno dato cibo e acqua per interrompere il suo digiuno più di due ore dopo il tramonto.

Prima che iniziassero i suoi interrogatori, il capitano israeliano incaricato di interrogare il ragazzo gli ha permesso di parlare al telefono con il suo avvocato per soli due minuti, ha raccontato Azzeh.

“Hanno messo l’avvocato in vivavoce e lui mi ha detto che non dovevo collaborare con loro e che avevo il diritto di rimanere in silenzio”, ha detto Azzeh. “Quando l’avvocato ha detto questo, il capitano ha riattaccato”.

Durante i 12 giorni, Azzeh è stato interrogato senza la presenza di un avvocato o di un genitore.

“In qualsiasi altro paese democratico un minore che viene arrestato avrebbe un avvocato presente durante qualsiasi tipo di interrogatorio”, ha detto a MEE il padre di Athal, Ahmed al-Azzeh.

“Il capitano mi ha lasciato parlare con lui per 30 secondi al telefono solo per chiedergli come stava, dopo di che non abbiamo saputo più nulla di ciò che stesse succedendo. Non gli era permesso chiamarci o comunicare con noi. Eravamo solo in grado di sapere cosa stava succedendo attraverso l’avvocato”, ha detto Ahmed.

“Il primo giorno del mio arresto mi hanno portato in una stanza degli interrogatori e hanno iniziato a urlarmi contro, chiedendomi di confessare di aver lanciato pietre e bruciato pneumatici”, ha detto Athal. “Quando ho detto che non avevo fatto quelle cose, l’inquisitore si è arrabbiato e ha iniziato a urlare più forte e a picchiarmi allo stomaco, alla schiena e al collo”.

Secondo l’adolescente il personale addetto agli interrogatori gli ha mostrato foto di ragazzi mascherati che rotolavano pneumatici e lanciavano pietre contro la base militare di Betlemme, dove era detenuto.

“Mi hanno detto che sapevano che ero io, che avevano mostrato le stesse foto ai miei genitori e che i miei genitori avevano ammesso che ero io e che non avevo altra scelta che confessare”, ha detto.

Ahmed ha confermato che gli agenti avevano chiamato sua moglie per l’interrogatorio e le avevano mostrato le stesse foto a cui si riferiva suo figlio, tentando di convincerla a coinvolgerlo.

“Ovviamente lei si è rifiutata e non ha ceduto ai loro tentativi di incastrare nostro figlio”, ha detto Ahmed a MEE.

Athal, fiducioso che i suoi genitori non lo avrebbero mai coinvolto in un crimine che non aveva commesso, ha continuato a rifiutarsi di rilasciare una confessione forzata.

“Sentivo che volevano che dessi loro una risposta e che confessassi. E quando non davo loro quello che volevano, si arrabbiavano”.

“Questi agenti hanno usato diverse tattiche di tortura e minacce contro di lui e gli hanno detto che avrebbero arrestato me e sua madre se non avesse confessato”, ha detto Ahmed a MEE. “Hanno usato tutte le tattiche di cui dispongono contro un bambino di 14 anni, nel tentativo di costringerlo a una falsa confessione”.

“Sono molto orgoglioso di mio figlio che si è dimostrato forte nonostante le loro intimidazioni e si è rifiutato di arrendersi”, ha detto Ahmed, riconoscendo che non è stata un’impresa da poco per suo figlio non cedere sotto la pressione di inquisitori professionisti.

Middle East Eye ha chiesto all’esercito israeliano di commentare le accuse mosse loro dalla famiglia Azzeh, ma non ha ricevuto risposta al momento della pubblicazione.

“Tentativo grossolano di giustificare la reclusione minorile”.

Il caso di Athal è arrivato sulla scena internazionale dalla top model palestinese-olandese Bella Hadid, che ha condiviso un post su Instagram chiedendo la sua liberazione.

Il post condiviso da Hadid è stato inizialmente pubblicato dall’attivista israeliano Yahav Erez e conteneva una foto di Athal che suonava il violino. Il post richiedeva l’immediato rilascio del ragazzo e affermava che era “tenuto in ostaggio dall’Israele dell’apartheid”.

https://www.instagram.com/p/CckqQxptcac/?utm_source=ig_embed&ig_rid=f66e9f59-8ade-4fa8-8b7c-a8b3ecb10583

Il post di Hadid ha suscitato le ire dei funzionari israeliani, in particolare del primo, nuovo “inviato speciale di Israele per la lotta all’antisemitismo e alla delegittimazione di Israele”, l’attrice israeliana Noa Tishby.

In un video di Instagram, Tishby ha accusato Hadid di “mentire e demonizzare Israele” e di “folgorante antisemitismo”. Nel video, che è ancora visibile sulla pagina Twitter di Tishby, lei condivide informazioni di sicurezza apparentemente riservate sul caso di Athal, comprese le foto che sono state mostrate all’adolescente e a sua madre durante le rispettive sessioni di interrogatorio.

Tishby ha tentato di negare l’affermazione che il ragazzo era stato “rapito e tenuto in ostaggio”, dicendo che era stato “incriminato due volte” e aveva una data di rilascio fissata per il 24 aprile, che si è rivelata falsa, poiché è stato rilasciato solo tre giorni dopo.

“Athal è stato arrestato per aver lanciato sassi e bruciato pneumatici, cosa per cui sarebbe stato arrestato negli Stati Uniti o in qualsiasi altro paese del mondo rispettoso della legge”, ha detto Tishby.

Ha continuato dicendo “dovrebbe concentrarsi maggiormente sul suo violino piuttosto che sulla violenza contro gli ebrei”.

Il padre di Athal, Ahmed, commentando il video di Tishby, ha detto di essersi “infuriato, indignato e sbalordito” quando lo ha visto.

L’ha definita una “sfacciata bugia e un disgustoso tentativo di giustificare l’arresto e l’incarcerazione di un bambino”.

“Quello che ha fatto il ministero degli Esteri israeliano tramite il suo procuratore è stato ridicolo. Hanno cercato di giustificare l’arresto di un bambino di 14 anni, dicendo che stava lanciando pietre. Arrestare qualsiasi bambino è un crimine, e usare il pretesto che stesse lanciando pietre contro un esercito di occupazione è una scusa terribile”, ha aggiunto.

“L’arresto da parte di Israele di bambini palestinesi in tutta la Cisgiordania è criminale. Questo è territorio occupato, non c’è alcuna giustificazione per l’imprigionamento dei nostri bambini”.

Traumi di lunga durata.

Giovedì, quando Athal è potuto ritornare nella sua casa e tra le braccia amorevoli dei suoi genitori, ha detto di provare emozioni contrastanti.

“Mi sento tanto felice ora per essere tornato a casa. Voglio tornare alla mia vita normale, suonare il violino, studiare e uscire con i miei amici e la mia famiglia”, ha detto. “Ma sono ancora triste per quello che è successo e la mia mente è ora confusa tra la prigione e il mondo libero”.

“Quando mi hanno detto che potevo tornare a casa ero così felice, ma stavo anche pensando agli altri ragazzi che erano in prigione con me. Mi dispiace molto per loro, perché alcuni di loro potrebbero dover affrontare molti mesi o anni di carcere “, si è lamentato Athal.

Secondo Defence for Children International – Palestine (DCIP), ogni anno circa 500-700 bambini palestinesi, alcuni di appena 12 anni, vengono detenuti e perseguiti nei tribunali militari israeliani.

La ONG afferma che molti soffrono di disagio psicologico a lungo termine causato dalle loro detenzioni, con sintomi quali enuresi notturna, disturbi del sonno e movimento autolimitante.

Attualmente ci sono circa 160 minori nelle carceri israeliane, secondo i dati raccolti da Addameer, una ONG che difende i diritti dei prigionieri politici palestinesi.

Il padre di Athal spera che suo figlio non debba risentire troppo, dal punto di vista emotivo o psicologico, a lungo termine, per il suo arresto, ed è consapevole che la famiglia ha una strada difficile da percorrere.

“Athal è stato rilasciato su cauzione, ma è ancora sotto processo in questo sistema giudiziario falso”, ha detto, riferendosi ai tribunali militari israeliani, che dimostrano un tasso di condanna del 99%.

Questi tribunali militari sono una farsa. Sono progettati per opprimere i nostri figli. È impossibile ottenere un processo equo quando il tribunale stesso fa parte del sistema di occupazione”, ha affermato.

“Ai capitani israeliani che hanno interrogato Athal e tutti i bambini palestinesi: anche voi avete dei bambini nelle vostre case. Immaginate che un giorno si trovassero nella situazione di Athal. Cosa fareste?” ha chiesto Ahmed.

“Pensate di proteggere o salvare il vostro paese, ma arrestare e torturare i nostri bambini, creare più posti di blocco e rendere tristi le nostre vite non è il modo in cui libererete il vostro paese”, ha continuato.”Ci opprimete ogni giorno e alla fine vi chiedete perché i ragazzi palestinesi lanciano pietre?”.

Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice