Affrontare la tempesta globale: perchè la neutralità non è un’opzione per i Palestinesi

Palestinechronicle.com/. Di Ramzy Baroud. La guerra Russia-Ucraina sta ponendo i palestinesi di fronte a una delle loro maggiori sfide di politica estera dal crollo dell’Unione Sovietica. (Da InvictaPalestina.org).

Si sta formando un nuovo gioco geopolitico globale e il Medio Oriente, come spesso accade, ne sarà direttamente influenzato in termini di possibili nuove alleanze e conseguenti modelli di potere. Sebbene sia troppo presto per cogliere appieno l’impatto della guerra Russia-Ucraina in corso sulla regione, è ovvio che alcuni Paesi si trovano in posizioni relativamente solide in termini di sfruttamento delle loro forti economie, posizione strategica e influenza politica. Altri, in particolare attori non statali, come i palestinesi, si trovano in una posizione poco invidiabile.

Nonostante i ripetuti inviti all’Autorità Palestinese da parte dell’amministrazione statunitense e di alcuni Paesi dell’Unione Europea di condannare la Russia in seguito al suo intervento militare in Ucraina il 24 febbraio, l’Autorità Palestinese si è astenuta dal farlo. E’ stato riportato da Axios che l’analista Hani al-Masri ha dichiarato  che la dirigenza palestinese è consapevole che condannare la Russia “significherebbe per i palestinesi perdere un importante alleato e sostenitore delle loro posizioni politiche”. Infatti, entrare a far parte del coro occidentale anti-russo isolerebbe ulteriormente una Palestina già isolata, alla disperata ricerca di alleati in grado di bilanciare l’agenda filo-israeliana presso le istituzioni internazionali controllate dagli Stati Uniti, come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e lo smantellamento del Patto di Varsavia, alla fine degli anni ’80, alla Russia è stato permesso di svolgere un ruolo, per quanto minore, nell’agenda politica degli Stati Uniti in Palestina e Israele. Ha partecipato, come co-promotore, ai colloqui di pace di Madrid nel 1991 e agli accordi di Oslo del 1993. Da allora, un rappresentante russo ha preso parte a tutti i principali accordi relativi al “processo di pace”, tanto che la Russia è stata una delle parti principali del cosiddetto Quartetto per il Medio Oriente che, nel 2016, avrebbe tentato di negoziare una svolta politica  tra il governo israeliano e la dirigenza palestinese.

Nonostante la presenza permanente della Russia al tavolo politico tra Palestina-Israele, Mosca ha svolto una posizione subordinata. È stata Washington a determinare in gran parte lo slancio, il tempo, il luogo e persino i risultati dei “colloqui di pace”. Considerando il forte sostegno di Washington a Tel Aviv, i palestinesi sono rimasti occupati e oppressi, mentre le imprese di insediamento coloniale di Israele sono cresciute esponenzialmente in termini di dimensioni, popolazione e potere economico.

I palestinesi, tuttavia, hanno continuato a vedere Mosca come un alleato. All’interno del Quartetto in gran parte morto e sepolto, che, oltre alla Russia, comprende gli Stati Uniti, l’Unione Europea e le Nazioni Unite, la Russia è l’unica parte coinvolta che, dal punto di vista palestinese, era degna di fiducia. Tuttavia, considerando l’egemonia quasi totale degli Stati Uniti sul processo decisionale internazionale, attraverso i veti alle Nazioni Unite, il massiccio finanziamento dell’esercito israeliano e la pressione incessante sui palestinesi, il ruolo della Russia si è rivelato in definitiva irrilevante, se non simbolico.

Ci sono state eccezioni a questa regola. Negli ultimi anni, la Russia ha cercato di sfidare il suo ruolo tradizionale nel processo di pace come attore politico di supporto, offrendo di mediare non solo tra Israele e l’Autorità Palestinese, ma anche tra i gruppi politici palestinesi, Hamas e Fatah. Utilizzando lo spazio politico che si è presentato in seguito al taglio dei fondi all’Autorità Palestinese da parte dell’amministrazione Trump, nel febbraio 2019, Mosca si è avvicinata ancora di più alla dirigenza palestinese.

Da anni sta prendendo forma una posizione russa più indipendente in Palestina e Israele. Nel febbraio 2017, ad esempio, la Russia ha ospitato una conferenza di dialogo nazionale tra rivali palestinesi. Sebbene la conferenza di Mosca non abbia portato a nulla di concreto, ha permesso alla Russia di sfidare la sua vecchia posizione in Palestina e gli Stati Uniti hanno proclamato il ruolo di “onesto mediatore di pace”.

Diffidente nei confronti della violazione da parte della Russia del suo territorio politico in Medio Oriente, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si è affrettato a ripristinare i finanziamenti del suo governo all’Autorità Palestinese nell’aprile 2021. Il presidente americano, tuttavia, non ha annullato alcune delle principali concessioni statunitensi a Israele fatte dall’amministrazione Trump, compreso il riconoscimento di Gerusalemme, contrariamente al diritto internazionale, come capitale di Israele. Inoltre, sotto la pressione israeliana, gli Stati Uniti devono ancora riaprire il loro Consolato a Gerusalemme Est, che è stato chiuso da Trump nel 2019. Il Consolato ha svolto il ruolo di missione diplomatica di Washington in Palestina.

L’importanza di Washington per i palestinesi, al momento, si limita al sostegno finanziario. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti continuano a svolgere il ruolo di principale benefattore di Israele dal punto di vista finanziario, militare, politico e diplomatico.

Nonostante  i gruppi palestinesi, siano essi islamisti o socialisti, abbiano ripetutamente invitato l’Autorità Palestinese a liberarsi dalla sua quasi totale dipendenza da Washington, la dirigenza palestinese ha rifiutato. Per l’Autorità Palestinese sfidare gli Stati Uniti nell’attuale ordine geopolitico è una forma di suicidio politico.

Ma il Medio Oriente sta cambiando rapidamente. Il disimpegno politico degli Stati Uniti dalla regione, negli ultimi anni, ha consentito ad altri attori politici, come Cina e Russia, di proporsi lentamente come alternative e alleati politici, militari ed economici.

L’influenza russa e cinese ora si fa sentire in tutto il Medio Oriente. Tuttavia, il suo impatto sugli equilibri di potere nella questione israelo-palestinese, in particolare, rimane in gran parte minimo. Nonostante il suo “strategico snodo verso l’Asia” nel 2012, Washington è rimasta trincerata dietro Israele, perché il sostegno americano a Israele non è più una questione di priorità di politica estera, ma una questione interna americana che coinvolge entrambe i partiti, potenti gruppi di interesse filo-israeliani, la casta sionista e un enorme collegio elettorale cristiano di destra negli Stati Uniti.

I palestinesi, popolo, dirigenza e partiti politici, hanno poca fiducia o fede in Washington. Infatti, gran parte della discordia politica tra i palestinesi è direttamente legata a questa stessa questione. Purtroppo, allontanarsi dal campo statunitense richiede una forte volontà politica che l’Autorità Palestinese non possiede.

Dall’ascesa degli Stati Uniti come unica superpotenza mondiale, oltre tre decenni fa, la dirigenza palestinese si è completamente ri-orientata per far parte del “nuovo ordine mondiale”. Il popolo palestinese, tuttavia, ha guadagnato poco dalla scelta strategica della sua guida politica. Al contrario, da allora la causa palestinese ha subito numerose perdite: settarismo e disunione in Patria, e una visione politica regionale e internazionale confusa, da qui l’allontanamento degli storici alleati della Palestina, inclusi molti Paesi africani, asiatici e sudamericani.

La guerra Russia-Ucraina, tuttavia, sta ponendo i palestinesi di fronte a una delle loro maggiori sfide di politica estera dal crollo dell’Unione Sovietica. Per i palestinesi, la neutralità non è un’opzione in quanto quest’ultima è un privilegio che può essere ottenuto solo da coloro che possono muoversi nella polarizzazione globale usando la propria influenza politica. La dirigenza palestinese, a causa delle sue scelte egoistiche e alla mancanza di una strategia collettiva, non ha tale influenza.

Il buon senso impone che i palestinesi debbano sviluppare un fronte unificato per far fronte ai massicci cambiamenti in atto nel mondo, cambiamenti che alla fine produrranno una realtà geopolitica completamente nuova.

I palestinesi non possono permettersi di farsi da parte e fingere di essere magicamente in grado di resistere alla tempesta.

Ramzy Baroud è giornalista ed editore di The Palestine Chronicle. È autore di cinque libri. Il suo ultimo è “Queste catene saranno spezzate: storie palestinesi di lotta e sfida nelle carceri israeliane” (Clarity Press, Atlanta). Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), Università Zaim di Istanbul (IZU).

Traduzione di Beniamino Rocchetto per Invictapalestina.org

(Foto: Kremlin, via Wikimedia Commons).