Al Manar a Roma: ‘Non ci saranno raid israeliani contro l’Iran’

«Raid contro l’Iran? Obama dirà di no»

di Luigi Spinola

Abdallah Kassir.  Il presidente di “Al Manar”, la tv degli Hezbollah, spiega al “Riformista” perché non crede a un raid di Tsahal. Nel caso ci fosse però, non esclude un coinvolgimento del “Partito di Dio”. Esalta la primavera araba, ma difende il regime di Damasco. Critica “Al Jazeera”. Accusa i Paesi che oscurano la sua emittente di piegarsi ai sionisti. Ma non rinnega la messa in onda di una serie tv ispirata ai “Protocolli dei Savi di Sion”

«L’attacco all’Iran? Israele è come un bambino che vuole mettere la mano sul fuoco» dice Abdallah Kassir. «Ci penseranno gli americani a fermarli, per evitare che si brucino» assicura il presidente di Al-Manar, la televisione degli Hezbollah libanesi catalogata da Washington come «entità terroristica globale», bombardata dagli israeliani durante la guerra del 2006 e oscurata da francesi e tedeschi.
Incontriamo Kassir a Roma, nei pressi di Piazza del Popolo. E al Riformista spiega perché secondo lui, a differenza di Al Jazeera, il «canale della resistenza» racconta in modo obiettivo la rivolta araba.
Abdallah Kassir è stato invitato a Roma dal Centro Italo-Arabo. È qui nella veste di presidente della Lega Interparlamentare per la Palestina, «per spiegare all’Europa, tramite l’Italia, cosa sta realmente accadendo. Ci sono ventuno deputati palestinesi in galera, senza processo e senza un’accusa formale». Kassir è venuto a raccontarlo a «diverse commissioni parlamentari» e in modo più informale in una serie di incontri organizzati dal nuovo portale grandemedioriente.it. Parla di tutto, ma i suoi ragionamenti girano sempre attorno alla “resistenza”, che nell’esperienza di Hezbollah è rigorosamente armata.
Cosa pensa della sfida politico-diplomatica lanciata da Abu Mazen, con la richiesta di riconoscimento dello Stato palestinese all’Onu?
In più di sessant’anni di conflitto, ci sono stati decine di tentativi di avviare un percorso negoziale di pace e Israele li ha tutti ostacolati. E lo ha fatto con l’incoraggiamento degli Stati Uniti, che ha esercitato il suo potere di veto per affondare ogni speranza. Noi consideriamo questa iniziativa molto positiva, ma è arrivata subito la rappresaglia americana, che ha tagliato i fondi all’Unesco, colpevole di aver accettato la Palestina tra i suoi membri. E le ritorsioni israeliane sono già iniziate. Qui a Roma, ad esempio, doveva venire con noi il vicepresidente del Consiglio Nazionale Palestinese, ma è stato fermato e maltrattato al valico con la Giordania. Il popolo palestinese deve pagare per ogni passo positivo che ottiene dalla comunità internazionale.
Il governo israeliano in questi giorni però sembra impegnato su un altro fronte: discute una possibile incursione contro le strutture nucleari dell’Iran. Crede che l’intervento militare sia vicino?
Da un pazzo non puoi aspettarti saggezza. Non credo però che gli americani daranno il via libera all’attacco. Ci tengono a tutelare Israele e sanno che le conseguenze sarebbero catastrofiche. Si trovano di fronte a un bambino che vuole mettere la mano sul fuoco. E la leveranno affinché non si bruci. Noi di Hezbollah pensiamo sia un modo per ricattare Barack Obama. Gli israeliani sanno che quando le elezioni si avvicinano, la Casa Bianca diventa più sensibile alle loro richieste.
Ma se l’attacco dovesse esserci, Hezbollah potrebbe essere coinvolto a sostegno degli amici iraniani?
Penso che gli iraniani siano perfettamente in grado di rispondere da soli al fuoco nemico. L’Iran si difende bene, con grande professionalità. Per quanto riguarda Hezbollah, valuteremo il da farsi al momento, oggi non possiamo escludere una nostra partecipazione a un eventuale conflitto.
Il popolo arabo è stato il grande protagonista di questo 2011. Cosa pensa Hezbollah di questa stagione di rivolta?
Nessuno è felice quanto noi, perché tutto ciò che dà potere al popolo rafforza la resistenza e favorisce la causa palestinese. Lo abbiamo visto nel 2006, quando Israele ha attaccato il Libano, e di nuovo nel 2008 durante la guerra a Gaza. In entrambi i casi il popolo arabo è sceso in piazza malgrado la contrarietà dei governi. Sappiamo che se ci dovessero essere nuove aggressioni, adesso la reazione sarebbe ancora più forte. Perché sono caduti i governanti legati agli Stati Uniti che avevano fatto compromessi con Israele. I nuovi dirigenti saranno più ricettivi di fronte alla pressione del popolo, che sostiene la resistenza palestinese.
Questo discorso vale anche per la Siria, dove la rivolta contro il regime va avanti ormai da otto mesi?
Ogni Paese ha la sua specificità, ma non c’è dubbio che esiste un legame nelle rivolte che hanno destabilizzato Tunisia, Yemen, Egitto e Bahrein. La Siria è una cosa diversa perché a differenza di questi Paesi, il governo è a fianco del popolo palestinese. Ed è il centro più forte di resistenza al potere degli Stati Uniti nella regione. In Siria si tenta di arrivare a un compromesso interno. E c’è già un accordo, mediato dalla Lega Araba che sta promuovendo la riconciliazione nazionale.
A poche ore dalla presunta accettazione del piano della Lega Araba, l’esercito siriano giovedì ha nuovamente sparato sulla folla a Homs, facendo altre vittime. E la repressione ha già causato la morte di oltre tremila persone, secondo una stima dell’Onu. Le sembra davvero che Damasco stia ascoltando la voce del popolo? Non è anche questa una resistenza che andrebbe sostenuta?
La Siria deve far fronte a pesanti pressioni esterne. E una parte dell’opposizione usa le armi contro le autorità. Questo non aiuta il dialogo. Comunque buona parte degli scontri sono in zone periferiche del Paese, non nella capitale. La maggioranza delle persone vuole riforme pacifiche. E lo Stato siriano sta lavorando in questa direzione.
E Al Manar, che si autodefinisce «il canale della resistenza», come sta raccontando questa rivolta?
Abbiamo coperto con obiettività la rivolta sin dall’inizio, anche sulla Siria abbiamo dato conto sia delle posizioni del regime che di quelle dell’opposizione. Al Manar si considera un riflesso del popolo in lotta. E parliamo a tutto il mondo arabo, siamo tra i primi cinque canali della regione su settecento.
Siete in competizione con Al Jazeera e Al Arabiya allora, o fate un lavoro diverso?
Diciamo che abbiamo gusti diversi. In molti Paesi Al Jazeera alimenta le tensioni, noi siamo più obiettivi di loro. E parliamo delle cose che uniscono il mondo arabo, non di quelle che lo dividono.
Però promuovete la lotta armata. E in diversi Paesi europei – Germania, Francia e Spagna – la trasmissione via satellite del canale è stata vietata…
Si è trattato di una decisione politica, certamente dovuta alla pressione della lobby filo-israeliana. Se Al Manar si fosse allineata alla visione gradita dagli occidentali, nessuno ci avrebbe dato fastidio. Noi invece smentiamo dati alla mano la propaganda israeliana.
In Francia però il Conseil d’Etat ha deciso di “oscurare” Al Manar perché avete mandato in onda una serie tv ispirata a I Protocolli dei Savi di Sion, il noto testo antisemita fabbricato dalla polizia zarista a inizio Novecento. Non temete di venir liquidati semplicemente come canale antisemita?
Si tratta di un telefilm, non di una serie televisiva (in realtà si tratta di due serie – “Faris bi la Jawad”, 2002, prodotta dagli egiziani, e “Ash-Shatat”, 2003, siriana ndr). E abbiamo vinto la causa in un tribunale francese. Il punto è un altro, la serie è stata trasmessa da diversi canali arabi, ma se la sono presa solo con noi, perché c’è stata un’interferenza politica. L’obiettivo era fermare Al Manar.
Ma voi perché avete trasmesso una serie basata su un testo antisemita, secondo il quale vi sarebbe una cospirazione degli ebrei per controllare il mondo? Al Manar ci crede?
Noi non abbiamo nessun problema con gli ebrei, abbiamo problemi con il sionismo e con il governo israeliano perché occupa il territorio della Palestina e ci aggredisce.

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