L’organizzazione Thabet ha visitato il luogo, incontrato i residenti e ascoltato le loro sofferenze e denunce, e registrato le loro esigenze riguardanti cibo, medicine, vestiti, acqua e riparo. Ha anche accolto le loro lamentele nei confronti di media, funzionari, fazioni, Unrwa e istituzioni locali e internazionali.
Khaled Mousa (Abu Musa) portavoce dell’accampamento, ha dichiarato: “La maggior parte dei rifugiati sono originari dai villaggi palestinesi di Tiberiade e Haifa, in Palestina. Sono fuggiti dai campi profughi siriani di Yarmouk, Sbaina, Khan al-Shaikh e altri, per salvarsi da bombardamenti, omicidi, sequestri, distruzione, miseria e impotenza”. Ha aggiunto: “Abbiamo scelto di chiamare il nostro rifugio, Accampamento della dignità, nella speranza che coloro che credono nell’uguaglianza, nei diritti umani e nel vivere dignitosamente possano prestare attenzione e notare le nostre sofferenze”.
“L’acqua potabile è disponibile solo quando c’è elettricità e nelle docce c’è solo quella fredda, quella calda non esiste. L’acqua per lavare i panni si trova nello stesso luogo delle docce. Mentre più di 60 tende dispongono di soli 15 ampere di elettricità” , ha concluso l’uomo. Dal canto suo, Abu Musa ha aggiunto che “l’accampamento non dispone di un sistema fognario per lo smaltimento delle acque reflue, che invece, vengono scaricate all’aperto e assorbite dalla terra, o formano delle pozzanghere maleodoranti, dove abbondano gli insetti. I servizi igienici sono quattro, due per uomini e altrettanti per donne, anche le docce sono quattro, divise equamente, l’uguaglianza è d’obbligo! Ogni mattina, i bagni sono affollati, con conseguenti problemi e diverbi”.
La signora Um Musab racconta: “Nel campo profughi di Yarmouk il mio tavolo era sempre imbandito durante il mese di Ramadan, tutta la famiglia si raccoglieva intorno ad esso. Ora, per cena mangiamo solo la zuppa di lenticchie. I membri della famiglia sono dispersi, e la mia dignità non mi permette di sostare davanti ai cancelli delle istituzioni per mendicare il cibo. Non vogliamo insediarci in questo paese, ma abbiamo dovuto lasciare le nostre case temendo per nostra vita. Ma dov’è l’umanità? Dov’è il senso di fratellanza tra gli esseri umani? E la dignità? Quando ci vedono, ci sentono e rispondono alle nostre richieste”. E’ il grido di dolore lanciato da Um Musab per conto degli abitanti dell’accampamento, alle orecchie delle istituzioni locali e internazionali interessate, l’Unrwa, i comitati popolari e civili e le fazioni. Anche l’organizzazione Thabit si unisce al grido, chiedendosi quando l’accampamento della dignità avrà la sua dignità.