‘Amnesia per decreto’.

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Di Gianluca Solera.

Il 16 marzo scorso qualcosa di grave è successo in terra d’Israele. Non mi riferisco agli ultimi sviluppi nei Territori palestinesi occupati, come l’ennesimo annuncio di espansione degli insediamenti coloniali attorno alla Città Santa, o gli scavi attorno alla moschea Al-Aqsa alla ricerca della prova archeologica che giustifichi la narrativa sionista contemporanea. Né all’inclusione tra le zone militari chiuse dei villaggi ribelli che resistono all’avanzamento del Muro di Separazione come Bi’lin, e neppure mi riferisco alla pubblicazione degli ultimi tragici dati dell’Autorità palestinese, che danno il tasso di povertà tra i confinati di Gaza al 70% e la disoccupazione al 52% della popolazione attiva.

Qualcosa di ben più sottile, scivoloso e violento è iniziato: la rimozione della memoria per legge, la proibizione di ricordare, l’erezione a politica pubblica della “pedagogia dell’amnesia”. Qualcosa che non mina semplicemente i diritti di un arabo a esistere in quanto pieno cittadino, ma cancella anche quello a esercitare la facoltà di foscoliana memoria di onorare e trarre alimento dalle radici della propria storia.

Ben presto, la rimembranza della storia di quella terra vissuta dalle comunità arabe locali negli anni attorno all’istituzione dello Stato di Israele sarà soggetto perseguibile. An-Nakba, la “catastrofe” che si compì con la distruzione di centinaia di villaggi palestinesi e la fuga o l’allontanamento di centinaia di migliaia dei loro abitanti, non potrà più essere ricordata come antitesi storiografica alla celebrazione della nascita di Israele. Così ha deciso la Knesset (il parlamento israeliano, ndr), approvando la prima lettura di un progetto di legge che imporrebbe sanzioni amministrative e finanziarie agli enti locali (alias i comuni dove vivono gli arabi israeliani) che organizzino manifestazioni per ricordare quei tragici giorni, e aggraverebbe il trattamento fiscale per le associazioni che se ne facciano promotrici(1).

Ad alcuni questo episodio legislativo potrà apparire secondario, e d’altronde non ha incuriosito molti giornalisti occidentali, ma per me è la dichiarazione di ostilità più insidiosa e subdola che un apparato coloniale possa concepire. Limor Livnat, ministro della cultura e dello sport, ha dichiarato: “Se non diamo loro la possibilità di ricordare il passato, la smetterano di ribellarsi”. Togliamo la facoltà di coltivare la memoria alla gente, e la rendiamo supinamente obbediente all’ingegneria dell’oppressione. Così accetteranno il lager di Gaza, la Gerusalemme celeste e indivisibile, la sottoproletarizzazione della gioventù araba, la “bantustanizzazione” dei villaggi e una vita senza ambizioni, se non quella di andare nel “loro” Paradiso. Una logica perfetta, che non fa una piega agli occhi di chi spera in un Nuovo Ordine Razziale. Qualcuno ha davvero l’onestà intellettuale di credere che sarà così?

Non c’è cosa peggiore che violare l’intimità della memoria; è come se si impedisse a qualcuno di respirare, aspettando che si spengano le sue funzioni vitali per asfissia. È la politica della negazione al diritto di esistere portata alle sue conseguenze più estreme, capace di generare nuove generazioni di sradicati che un giorno saranno più realisti del re, e che inneggeranno forse al mito sionista più di un immigrato ebreo. Dopo la giudaicizzazione dei Mizrachi, gli ebrei che vivevano nei paesi arabi, e che arrivati in Israele negli anni ‘50 subirono un processo di “de-arabizzazione”, di disancoramento dalla lingua e dalla cultura araba in cui erano cresciuti, forse quello che cova nelle menti dell’establishment è trasformare anche gli arabi israeliani in ebrei. Un’operazione ardita che potrebbe però spianare la strada dell’omogeneizzazione della cittadinanza in una sola entità etno-culturale, premessa per la perpetuazione di una concezione di stato fondata sulla discriminante razziale, quale quella che s’impone nell’Israele attuale.

La discussione in corso negli ambienti governativi su un altro progetto di legge, detto del “giuramento”, ne è un’indizio. Questo provvedimento prevede che ogni persona richiedente la cittadinanza israeliana presti una formula di giuramento più o meno simile a questa: “Giuro di essere leale nei confronti dello Stato di Israele come stato ebreo, sionista e democratico, verso i suoi simboli e valori, e di servire lo Stato come richiestomi o attraverso il servizio militare o quello alternativo”.
Coalition Against Racism e Mossawa Center ritengono in un rapporto di recente pubblicazione che quella attuale sia la Knesset più razzista della storia di Israele. Solamente nei primi tre mesi del 2010, sono state presentate 21 proposte di legge con elementi discriminanti nei confronti degli arabi d’Israele. Il numero di tali proposte presentato durante questo mandato parlamentare è cresciuto del 75% rispetto agli anni precedenti.

Molti cittadini israeliani hanno annunciato disobbedienza nei confronti della “Legge sulla Nakba”. Zochrot, un’associazione israeliana che racconta agli ebrei le storie degli arabi cacciati dalle loro case, e pianta i cartelli con i nomi dei villaggi scomparsi per ricostruire la memoria e preparare la riconciliazione, sarebbe una delle vittime del provvedimento. Esponenti di Parents Circle, organizzazione israelo-palestinese che raccoglie i famigliari delle vittime del conflitto di entrambe le comunità, hanno già espresso il loro dissenso attivo. Verranno però schiacciati dalla macchina della repressione delle libertà civili, che dopo aver messo in ginocchio i palestinesi, minaccia ora gli israeliani?

L’esperienza di History in Action, un collettivo di storici e professori di storia croati, bosniaci e serbi che ricompone le diverse narrative storiografiche per affrontare il passato con serenità e obiettività, e così indebolire i fondamenti della propaganda etno-razziale, dimostra che la ricostruzione della memoria è la precondizione di qualsiasi tentativo duraturo di riconciliazione e pace. L’elaborazione collettiva di un libro di storia della regione dopo le ultime guerre contribuirà al processo di riconciliazione nei Balcani.

Negare il diritto alla rimembranza e tutte le affinità emotive, culturali, sociali e psicologiche che porta con sè, significa approfondire la fratture interne a Israele e pubblicare un editto di Non possumus nei confronti di una prospettiva di coesistenza tra le comunità di quella terra benedetta da dio, e maledetta dagli uomini.
E non essersene accorti tra di noi, o fare come se si trattasse di un affare interno, è grave, e mi fa molta, ma molta paura.

Un verso de “I sepolcri” del Foscolo, che racconta dei luoghi dove furono seppelliti gli eroi della vinta Troia, recita:

“Un dì vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l'urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
splendidamente su le mute vie
per far piú bello l'ultimo trofeo
ai fatati Pelídi”.

Nemico della Civiltà è colui che impedisce di trovare un poco di conforto in vita terrena parlando ai propri morti e coltivando le memorie della propria storia; ma le tombe e le rovine, nascoste tra il chiasso e i fichi d’India, un giorno parleranno.


(1) Le leggi in Israele passano tre letture. La prima per decidere se la Knesset lavori sulla proposta, la seconda per esaminare gli articoli in dettaglio, la terza per approvarla definitivamente.


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