Analisi: la storia orale palestinese come strumento di difesa contro lo sradicamento

351151CAl-Shabaka. Analisi: la storia orale palestinese come strumento di difesa contro lo sradicamento.
Al-Shabaka è un’organizzazione no-profit indipendente la cui missione è istruire sui diritti umani e l’autodeterminazione dei palestinesi entro la cornice del diritto internazionale, e promuoverne il pubblico dibattito.
In questo documento Thayer Hastings analizza l’importanza della storia orale nel contesto palestinese e il suo potenziale come strumento di attivismo

La storia orale ha un precedente antico nella cultura araba e palestinese: essa ha origine in una tradizione orale più vasta. Negli anni immediatamente successivi la Nakba del 1948, la tradizione araba dell’hakawati (cantastorie) venne usata, secondo Nur Masalha, per difendere dall’erosione la cultura e la memoria tra i palestinesi. Da allora la storia orale è stata un’importante azione narrativa di contrasto nel contesto dell’attività dei coloni in tutta la Palestina, e nel colonialismo successivo nel mondo arabo. Essa costituisce il modo principale attraverso cui i palestinesi affrontano gli eventi collettivi traumatici e di mobilitazione.

Per i palestinesi in patria o all’estero la produzione della storia orale è incentrata attorno all’esperienza comune dell’evacuazione. Circa il 67% dei palestinesi sono sfollati. Le stime più recenti parlano di quasi 8 milioni di palestinesi profughi in territorio palestinese. Collocare il processo di storia orale nell’idea di uno spazio etnicamente modificato come un villaggio dopo la Nakba, permette alle comunità evacuata di creare un centro fisico anche dopo lo spopolamento.
Rosemary Sayigh è stata tra i primi, durante il suo lavoro nei campi profughi del Libano negli anni Ottanta, a documentare sistematicamente la storia orale palestinese. Nel 1983 l’Università di Bir Zeit  ha sviluppato uno dei primi programmi, nel mondo arabo, di insegnamento di storia orale. L’Università islamica di Gaza ha poi fondato il proprio Centro di storia orale nel 1998, per raccogliere storie orali della Nakba, e della Naksa del 1967.

Sebbene una produzione formale di storia orale palestinese iniziò decenni fa, è adesso che se ne sta notando un’impennata. Lo storico Beshara Doumani ha battezzato questo ampio fenomeno di conservazione «Febbre di archiviazione palestinese». Nell’aprile del 2016 la donazione nazionale per gli studi umanistici ha assegnato 260 mila dollari all’Archivio di storia orale palestinese dell’Università americana di Beirut, dove un team si occupa di digitalizzare e codificare 1000 ore di interviste con profughi di 135 villaggi palestinesi fuggiti durante la Nakba.

Tra le produzioni recenti troviamo articoli di periodici, articoli di riviste, discussioni da periodici, conferenze e laboratori, audio interviste e il progetto del Museo della Nakba a Washington Dc. Il nuovo museo palestinese, inaugurato nel campus dell’Università di Bir Zeit nel maggio 2016, può anch’esso diventare una fonte primaria di storia orale. Inoltre, Sayigh continua ad impegnarsi sul campo con libri di storia per bambini palestinesi dei campi profughi, utilizzando la storia orale – raccontata dagli stessi bambini – come contenuto.

Dalle sue origini la storia orale palestinese si è preoccupata di registrare le testimonianze della generazione della Nakba, che sta invecchiando, oltre ad aver creato una piattaforma per comunità di sfollati e rafforzato la responsabilità sulla conoscenza. Nel contesto di assenza statuale palestinese, gli archivi dello stato sionista israeliano portano avanti il colonialismo dei coloni negli spazi di preservazione e produzione della conoscenza, dove le narrative palestinesi sono cancellate o vengono sfruttate.

Tre decenni dopo l’inizio dello sforzo comune palestinese per la storia orale, i progetti di storia orale attraversano ora 4 o più generazioni di palestinesi sfollati. Il lavoro della storia orale, per l’enfasi posta sulla storia sociale e sulle prospettive dai margini, può creare uno spazio per varie esperienze pluri-generazionali. Ciò può essere usato a proprio vantaggio nella contro-archiviazione della continua cancellazione coloniale.

La storia orale palestinese come attivismo

Il campo di produzione di storia orale ha già avuto enormi contributi dai palestinesi in tutto il mondo, dando ai suoi professionisti le opportunità di un approccio su misura per contrastare gli sfollamenti che in Palestina continuano sempre. Ma, pur essendo vasta la produzione di storia orale palestinese, poche iniziative sono state esplicite sulla relazione tra storia orale e attivismo: tranne una. Palestine Remembered.
Palestine Remembered è un progetto digitale, fondato da Salah Mansour, che mostra un recente approccio multimediale dell’uso della storia orale palestinese per l’attivismo. Il progetto di storia orale Al-Nakba, lanciato nel 2003 come sottosezione di Palestine Remembered, contiene ora più di 600 interviste con sopravvissuti della Nakba, o con discendenti di sopravvissuti. Le interviste mirano esplicitamente a ritrarre l’attivismo e la difesa tramite una sezione intitolata «The conflict 101». In questa sezione l’esproprio si situa al centro della narrativa e il portale sulla storia orale è subordinato alla partecipazione diretta delle comunità sfollate. Le interviste sono accompagnate da mappe e fotografie che propongono una contro-narrativa al sionismo, dove le interviste forniscono i contenuti per rinforzare una controcartografia. Nel complesso il portale affronta storia orale, cartografia, fotografia e altri contenuti sulla narrativa della resistenza.

Pur essendo più urgente che mai riportare le testimonianze sulla Nakba fatte dalle persone più anziane, la storia orale ha anche il potenziale di amplificare gli sforzi delle comunità per la difesa contro l’attuale sfollamento documentando le proteste, le battaglie legali e l’espressione culturale. Ciò fornisce uno spazio a una contro-narrativa particolarmente utile alle comunità palestinesi che vivono sotto il governo israeliano, sia nei Territori occupati che in Israele, o ai palestinesi emarginati da altri governi.
Una pratica organizzata e attiva di produzione di storia orale può stabilire la priorità alla costruzione di comunità e all’autonomia da strutture di dominio dello stato israeliano, rafforzando contemporaneamente i legami palestinesi tra la Palestina frammentaria e tra la diaspora. Ciò è di particolare importanza poiché l’Archivio di stato israeliano ha annunciato cambiamenti che porteranno a un accesso limitato ai documenti – compresi quelli che riguardano le proprietà palestinesi confiscate – che potrebbero mettere in luce le confische di terreni attuate da Israele.

La crescita di iniziative sulla storia orale palestinese, a livello mondiale, comprende le basi per una rete nella quale le campagne possono essere amplificate. Palestine Remembered e l’Archivio di storia orale palestinese di Beirut sono due tra i principali attori recenti ad aver basato questo lavoro sulla documentazione e la digitalizzazione. Insieme e con altri, essi condividono metodi comuni e risorse, e mobilitano la storia orale in modi creativi e potenti. Un accesso potenziale a questo attivismo organizzato è l’aiuto rivolto a comunità specifiche che si stanno difendendo contro l’evacuazione.

Blocchi stradali legali e prospettive locali di successo

Due comunità che necessitano urgentemente di storia orale come pratica di attivismo sono i villaggi attigui di Attir e Umm al-Hiran, nel nord Naqab/Negev. Questi villaggi, situati immediatamente a sud della Linea verde in Cisgiordania, contano circa 1000 abitanti che si trovano sotto minaccia di espulsione immediata, come succede nei villaggi nei paraggi delle colline di Hebron sud, tra i quali Susiya. Una recente decisione dell’Alta Corte israeliana ha inserito Attir e Umm al-Hiran nell’elenco delle prossime demolizioni per consentire l’edificazione di una città popolata da soli ebrei e la creazione di un bosco del Fondo nazionale ebraico.

I residenti e i loro sostenitori stanno organizzando una difesa, ma i ricorsi in appello per casi del genere entro il sistema israeliano presentano molti ostacoli. I tribunali israeliani sono noti per negare la validità delle testimonianze orali come prova nelle rivendicazioni di terreni palestinesi.Per esempio, nel 2015 l’Alta Corte israeliana ha rifiutato le testimonianze orali di residenza e proprietà della famiglia al-Uqbi, del villaggio non riconosciuto di al-Araqib, nel Naqab. Il tribunale non comprende nella sua definizione di proprietà la cultura legale beduino-palestinese di contratti orali, un sistema di molto anteriore alla fondazione dello stato di Israele. La decisione del tribunale è significativa nel legittimare l’esproprio di stato di terreni indigeni, un metodo a sfondo legale che lascia spazio alle occupazioni dei coloni e che è noto anche in Australia, Nord America e Sud Africa.
Mentre il governo israeliano e i tribunali rifiutano le rivendicazioni dei cittadini palestinesi di Israele e di non-cittadini simili, il valore del lavoro sulla storia orale sta nel produrre una narrativa slegata dalle contorsioni necessarie per sopravvivere alla logica esclusivista a base etnica del sistema legale israeliano. Fondamentalmente la pratica genera una storia alternativa in contrasto con il sistema giudiziario e con altri modelli di ufficialità.

Nel suo spingersi indietro, le narrative indipendenti dal discorso di stato dimostrano quanto precarie e temporanee possano essere le leggi israeliane o i precedenti regimi di governo (britannico e ottomano), rinforzando l’identità di comunità. Lavorando al di fuori e in opposizione alla logica legale spiccano le limitazioni delle leggi e si afferma l’appartenenza indigena di fronte alla legge coloniale dei coloni. Ma si spinge anche in avanti, creando narrative alternative e facendo spazio all’organizzazione e alla realizzazione del diritto al ritorno. Ciò si può vedere nei disegni di villaggi digitali fondati sulla memoria delle generazioni ante Nakba. La storia orale apre spazi di possibilità mobilitando storie multigenerazionali sulle radici.

In un contesto in cui il sistema legale è studiato per rifiutare l’esistenza palestinese, per fare un lavoro difensivo di successo è necessario promuovere un approccio che possa funzionare indipendentemente dalle istituzioni statuali. Difesa e attivismo possono essere organizzati per rinforzare la vitalità delle comunità rivolgendosi ai bisogni localizzati.
Un uso attivista della produzione di storia orale inquadra la costruzione di comunità come una forma di autodifesa soddisfacendo i bisogni di conoscenza e letteratura localizzate. Nel Naqab o attraverso la Palestina, altri progetti essenziali comprendono la documentazione di storie di paese, la fondazione di reti di azione e proteste pubbliche e il rafforzamento di organizzazioni informali per la promozione della società civile.
Attir e Umm al-Hiran sono luoghi particolarmente importanti per l’attivismo, poiché, nonostante eccezioni considerevoli, le comunità palestinesi del Naqab non ricevono equivalenti attenzioni, aiuti o risorse quanto quelle di Cisgiordania e di Galilea. Ne consegue che i palestinesi e coloro preoccupati del ginepraio palestinese ne sono largamente inconsapevoli, e fraintendono le condizioni delle comunità del Naqab che affrontano gravi tentativi di sfollamento. Per questa e per altre ragioni Attir e Umm al-Hiran sono i primi candidati per un intervento attivista in forma di storia orale, compresa, ad esempio, la produzione di diversi materiali di difesa per una comunità che rischia il suo secondo sfollamento dal 1948.

Orientare la storia orale alla giustizia

Essendo la registrazione di esperienze personali attivista per sua natura – in particolare quando le esperienze personali sfidano strutture e narrative dominanti -, la storia orale è adatta a un attivismo, a una difesa e a una mobilitazione collettiva più organizzate e sistematiche. Specialmente davanti a un continuo sfollamento e alla continua negazione del diritto al ritorno, un corpus di produzione di storia orale palestinese può essere usato a proprio vantaggio dagli attivisti per difendere la terra e per altre rivendicazioni, e per difendere le comunità dall’evacuazione.
C’è un urgente bisogno di orientare la comprensione della difesa e dell’attivismo verso la costruzione delle comunità a livello locale e collettivo. Le richieste di diritti a parti internazionali – oggi il modo predominante di difesa dei palestinesi – possono e dovrebbero derivare dalle priorità dei bisogni di un pubblico locale. La produzione di storia orale lega necessariamente gli sforzi dell’attivismo e della difesa in narrative proprie delle comunità.

Oltre a rendere prioritari il pubblico e i bisogni locali, e a usare a proprio vantaggio una rete estesa di storia orale, gli attivisti della storia orale potrebbero anche attingere da e contribuire a iniziative di tipo comparativo.
Il Groundswell network, di base negli Stati Uniti, comprende diverse organizzazioni e professionisti di storia orale che tendono esplicitamente a un uso della storia orale che possa condurre alla «costruzione di un movimento e alla trasformazione del cambiamento sociale» in cui le storie personali sono utilizzate per respingere la marginalizzazione. Groundswell può fornire lezioni sulla mobilitazione della storia orale per l’organizzazione e la difesa tramite una rete.
Il Progetto di mappatura contro gli sfratti e la sua storia orale e l’analisi dei dati online, di base a San Francisco, sfida direttamente l’abuso dei proprietari e l’evacuazione urbana. Sebbene il contesto di sfollamento a San Francisco e il caso palestinese differiscano ampiamente, esso può servire da modello per usare a proprio vantaggio la storia orale come strumento organizzativo oltre che per il suo ruolo riconosciuto di depositario della memoria. Il Progetto di mappatura contro gli sfratti spinge il lavoro di storia orale verso «descrizioni profonde» che forniscono storie complete non frammentarie. Evitando ritratti monodimensionali delle persone, una tale storia orale cerca di sfidare l’inquadramento normativo del lavoro di difesa.

L’informatica consente una storia orale palestinese comparativa maggiormente connessa. Insieme a decine di iniziative di storia orale ben avviate, come il catalogo online di risorse storiche dell’università di Birzeit, che comprende interviste di storia orale, ci sono molte piccole pratiche di storia orale, familiari o di comunità, che spesso non escono dalle abitazioni di coloro che le registrano.
Le basi per usare a proprio vantaggio una rete diffusa di storia orale sono pronte ad affrontare un passo in avanti. Sia la storia orale palestinese riconosciuta che il lavoro che si sta compiendo, come quello delll’Archivio di storia orale palestinese in Libano, possono essere orientati alla giustizia e al cambiamento sociale.

Traduzione di Stefano Di Felice