Analisi: una riflessione sulla ‘delegittimazione’ di Israele

335817CMa’an. Il 5 giugno ha segnato il 48°anniversario dell’attacco ‘preventivo’ contro l’Egitto con il quale Israele lanciò la fatidica Guerra dei Sei Giorni che permise al movimento sionista di conquistare la Palestina storica.

Mentre lo stato palestinese (designazione legale del 22% della Palestina storica conquistata nel 1967 ed oggi riconosciuta come stato da 136 paesi e dalle Nazioni Unite) entra nel 49° anno di un’occupazione apparentemente senza fine da parte dello stato di Israele, il governo israeliano ed i suoi sostenitori negli Stati Uniti si stanno muovendo per combattere una nuova guerra, una ‘guerra di legittimazione’, contro la delegittimazione di Israele.

Quasi tutte le iniziative non violente intraprese dai palestinesi e dei loro sostenitori, tra cui il conseguimento dello status di stato per la Palestina alle Nazioni Unite (che necessariamente implica l’abbandono di qualsiasi rivendicazione del 78% della Palestina storica conquistata nel 1967 dal movimento sionista), maggiori riconoscimenti democratici bilaterali da parte degli stati dell’Unione Europea, adesione alla Corte Penale Internazionale, partecipazione a convenzioni internazionali sui diritti umani e, naturalmente, al movimento internazionale di boicottaggio degli investimenti e delle sanzioni (BDS), sono condannati in quanto finalizzati alla ‘delegittimazione’di Israele.

Le virgolette attorno a ‘Israele’ servono a mettere in evidenza un punto fondamentale: quando gli israeliani ed i loro alleati parlano di ‘delegittimazione di Israele’ o di ‘diritto ad esistere’ di Israele non fanno riferimento alla legittimità o alla sopravvivenza di nessun territorio fisico né di alcun gruppo di persone.

Si riferiscono alla legittimità o alla sopravvivenza dello specifico sistema politico etnico-religioso-supremazista stabilito nel 1948 sul territorio precedentemente chiamato Palestina, un territorio dove circa il 50% della popolazione è ebrea e l’altro 50% palestinese.

Perché la ‘delegittimazione’ è improvvisamente diventata una tale minaccia per Israele?

Non è soltanto perché il pericolo esistenziale (ed il risvolto pratico) derivante dai rischi  del programma nucleare iraniano è andata perduta nell’immediato futuro.

Fino a tempi relativamente recenti solo poche persone avevano seriamente messo in discussione la sopravvivenza di Israele-o perché ritenevano una buona cosa la pulizia etnica della Palestina e l’espropriazione e la dispersione del popolo palestinese per far spazio ad un nuovo stato ebraico, o perché essi lo consideravano, alla stregua del genocidio dei nativi americani per lasciare posto ai colonizzatori europei ed ai loro schiavi africani, un’ingiustizia irreversibile alla quale non valeva la pena pensare.

Fino a tempi relativamente recenti l’attenzione del mondo è stata concentrata sul porre fine all’occupazione sulla parte di Palestina conquistata nel 1967, soprattutto perché quel sopruso si riteneva reversibile attraverso una ‘soluzione a due stati’ che avrebbe offerto un po’ di giustizia e speranza di una vita migliore alla minoranza di palestinesi che vive nello stato occupato di Palestina.

Comunque, poiché i leader israeliani sono diventati più onesti ed espliciti riguardo la natura continuativa della loro occupazione dello stato palestinese e sulla loro profonda convinzione che non ci sia differenza tra la parte di Palestina occupata nel 1948 e quella occupata nel 1967 (essendo entrambe un regalo dato loro, e soltanto a loro, da Dio), la visione del mondo ha cominciato ad ampliarsi, sia relativamente alle possibilità per il futuro che alle realtà del passato.

Di fronte alla chiara intenzione di Israele di mantenere l’attuale anti democratico e discrimininatorio sistema di ‘uno stato, due sistemi’, molte persone hanno cominciato a guardare indietro all’ingiustizia, il peccato originale, del 1948 ed alla natura del sionismo politico, pensando seriamente a quanto desiderabile possa essere riformare e trasformare un Israele suprematista etnico-politico in uno stato pienamente democratico con uguali diritti e dignità umana  per tutti coloro che vi vivono (lo stesso sistema politico che i governi occidentali professano e proclamano essere la forma di governo ideale per tutti gli altri stati).

Ecco dunque la minaccia esistenziale della ‘delegittimazione’ di Israele.

Nessuno ha fatto più del primo ministro Nethanyau per delegittimare Israele agli occhi del mondo.

Forse coloro che cercano uguali diritti, uguale dignità umana ed una certa misura di giustizia, sia essa all’interno di uno o di due stati, dovrebbe sperare che il signor Nethanyau continui il suo ‘ottimo lavoro’ nella ‘guerra di legittimazione’.

Traduzione di Silvia Rossi