Analisti: “I ritardi nella ricostruzione di Gaza potrebbero portare a un’escalation”

Gaza-Afp. Appena quattro mesi dopo una sanguinosa offensiva militare israeliana che ha devastato Gaza, gli esperti avvertono che una nuova guerra potrebbe essere alle porte se non se ne accelera la ricostruzione e continuano a permanere divisioni politiche.

Dalla fine della guerra di 50 giorni tra Hamas e Israele, che ha ucciso 2200 palestinesi e 73 in Israele, poco è cambiato sul terreno di Gaza.

Ampie fasce di territorio giacciono in rovina e decine di migliaia di persone sono senza casa.

Con la ricostruzione ancora molto cospicua a causa della sua assenza e dell’assenza di colloqui sulla tregua di agosto che continua ad essere rinviata, la frustrazione cresce a Gaza – insieme al pericolo di una nuova esplosione di violenza.

Questo fine settimana, per la prima volta dalla fine della guerra, il 26 agosto, gli aerei da guerra israeliani hanno colpito il sud di Gaza dopo che un gruppo di militanti ha sparato un razzo oltre il confine, ed è la terza volta che succede in quattro mesi.

Malgrado non ci siano feriti da nessuna delle due parti, lo scambio di fuoco ha sollevato preoccupazioni per la tregua che potrebbe facilmente deteriorarsi.

La scorsa settimana, quando i militanti di Hamas hanno marciato su Gaza in una dimostrazione di forza per celebrare il 27° anniversario della fondazione del gruppo, si sono affrettati ad avvertire che la situazione era insostenibile.

“Se non si ricostruisce ciò che Israele ha distrutto, vi avvertiamo che ci sarà un’esplosione”, hanno messo in guardia le brigate di Al-Qassam, l’ala militare di Hamas.

“Se le nostre richieste verranno ignorate, vi saranno delle conseguenze per il nemico, la sua gente e i suoi leader”.

Verso la guerra

Il ritmo glaciale della ricostruzione è la preoccupazione più immediata per Gaza, dove le cifre delle Nazioni Unite indicano più di 96.000 case danneggiate o distrutte dalla guerra, lasciando 100.000 persone senza casa.

Nel corso degli ultimi otto anni, Gaza è stata sottoposta ad un blocco israeliano che ha effettivamente impedito l’entrata di molti materiali da costruzione.

Dopo la guerra, l’ONU ha progettato un meccanismo che garantisca l’entrata di questi beni ed eviti che finiscano in mani sbagliate.

I dirigenti palestinesi affermano che Israele ha effettivamente bloccato la ricostruzione limitando le risorse che entrano a Gaza, ma fonti diplomatiche asseriscono che il meccanismo progettato dall’ONU ha richiesto più tempo del previsto per essere messo in atto e funzionare.

Il processo è stato ulteriormente rallentato da lotte interne tra Hamas e Fatah, il suo rivale della Cisgiordania che domina l’autorità palestinese ed è stato incaricato di gestire la ricostruzione.

“Le circostanze sono le stesse che c’erano prima della guerra”, ha detto il commentatore israeliano Avi Issacharoff.

“Se il blocco continua, i confini rimarranno chiusi e la costruzione sarà lenta per i prossimi sei mesi, Hamas si muoverà in una nuova escalation ed in base alla risposta israeliana, tutto ciò si potrà trasformare in una nuova guerra”.

Walid Al-Mudallal, un analista con sede a Gaza, ha concordato sul fatto che Hamas è sempre più sotto pressione.

“Se il processo di costruzione rimarrà congelato, la guerra sarà l’unica opzione. Hamas non avrà scelta”, ha dichiarato.

Le cifre citate dall’organizzazione internazionale della carità, Oxfam, indicano 287 container – ognuno dei quali trasportava circa 40 tonnellate di materiali da costruzione essenziali – che sono entrati a Gaza a novembre.

Ma gli ufficiali affermano che se Gaza deve essere ricostruita in tre anni, dovrebbe ricevere almeno 7000 tonnellate – o 175 container – al giorno.

“Le opzioni sono poche e molto complicate, e vanno di male in peggio. Come Israele rallenta l’entrata dei materiali, l’Egitto chiude il confine (Rafah) e la riconciliazione diviene impossibile da implementare”, asserisce Mudallal.

“Il punto di ebollizione”

Ricostruzione a parte, gli analisti affermano che le condizioni che hanno portato al conflitto mortale della scorsa estate sono sostanzialmente invariate.

“Gaza, quasi quattro mesi dopo la guerra, rimane una pentola a pressione al punto di ebollizione”, ha scritto Amos Harel sul quotidiano israeliano Haaretz, dicendo che la situazione è molto simile a quella che ha preceduto la guerra iniziata l’8 luglio.

Prima della guerra, Hamas – che già lottava contro il blocco israeliano – si è trovato sempre più sotto la pressione crescente dell’Egitto che ha inflitto a Gaza un duro colpo, distruggendo una rete di tunnel di contrabbando transfrontaliero e chiudendo il valico di Rafah, ed innescando di conseguenza una grave crisi finanziaria.

In un tentativo di alleggerire la pressione, Hamas ha firmato un accordo di unità con Fatah con la speranza che l’Anp faciliti il pagamento dei propri dipendenti di Gaza.

Ma l’accordo non è stato implementato correttamente, e le tensioni tra le due parti si sono inasprite.

“La probabilità di una guerra è lì” ha detto Naji Sharab, un professore di politica di Al-Azhar.

“La popolarità di Hamas svanirà se il processo di costruzione rimarrà congelato e se le questioni finanziarie non verranno risolte, e questo accadrà quanto più a lungo sarà stagnante il processo di riconciliazione”, afferma.

Con l’Anp che programma di svolgere un ruolo chiave nella ricostruzione e nel monitoraggio delle frontiere con Israele e l’Egitto, superare le conflittualità interne è un passo fondamentale.

“Se la situazione politica e interna continua così e Hamas non trova una via d’uscita, allora potrebbe decidere di non avere altra opzione se non la guerra”, ha asserito Sharab.

Traduzione di  Domenica Zavaglia