Ramallah-Ma’an. La più completa incertezza ha regnato questa settimana dopo la notizia secondo cui Israele avrebbe riaperto le trattative sulla possibilità di costruire un porto al largo della Striscia di Gaza, attualmente sottoposta a un rigido blocco.
Giovedì 28 febbraio, il quotidiano israeliano Haaretz scriveva che alte autorità dello Stato si erano riunite nel corso delle ultime settimane per studiare varie proposte, tra cui quella di un’isola artificiale al largo della costa, collegata alla terraferma da un ponte lungo 4,5 chilometri, sotto il totale controllo israeliano.
A Ramallah, i quadri di Fatah hanno interpellato i leader di Hamas per chiarire la loro posizione sul nuovo porto, giudicando inammissibile la possibilità di un controllo israeliano.
Il portavoce di Fatah Osama al-Qawasmi ha dichiarato: “Il silenzio di Hamas sulle trattative ci porta a chiederci: come può Hamas accettare un porto controllato da Israele e rifiutare di cedere il controllo del valico di Rafah all’Autorità Palestinese?”
Il commento era riferito a una disputa sorta lo scorso anno tra le due fazioni rivali, quando l’ANP (guidata da Fatah) ha tentato di assumere il controllo del valico con l’Egitto, posizionato nel territorio meridionale della Striscia.
Anche sulla questione del porto, Qawasmi ha ribadito la contrarietà di Fatah a qualunque soluzione che preveda l’isolamento politico di Gaza dalla Cisgiordania occupata.
L’ipotesi della costruzione di un porto è stata tirata in ballo più volte nel corso dello scorso anno, tra le proposte avanzate da Hamas per una tregua a lungo termine in seguito al sanguinoso conflitto del 2014.
Ma i colloqui indiretti tra Israele e Hamas non sono visti di buon occhio dall’ANP, che teme la volontà di Israele di ridefinire Gaza come un’entità politica separata dalla Cisgiordania. L’ANP non ha il controllo sulla Striscia da quasi 10 anni.
Secondo Haaretz, le autorità israeliane avrebbero riaperto il dialogo sul porto a causa dell’atroce regressione economica di Gaza, nel tentativo di prevenire futuri conflitti con l’enclave costiera, che ha già subito tre guerre devastanti nel giro di sei anni.
Ma, sempre secondo Haaretz, nonostante l’appoggio di numerosi ufficiali militari, la proposta non troverebbe l’approvazione del primo ministro Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Moshe Yaalon, contrari al progetto.
Il porto non determinerebbe automaticamente la fine del terribile blocco imposto su Gaza, che molti considerano l’ostacolo principale alla ripresa economica.
Organismi internazionali, come le Nazioni Unite e la Banca Mondiale, hanno più volte sostenuto che i problemi economici che attanagliano la Striscia saranno senz’altro forieri di ulteriori escalation di violenze. Nel mese di settembre, l’ONU ha lanciato un allarme: il territorio diventerebbe “invivibile” nel giro di cinque anni, se la situazione non dovesse cambiare.
Attualmente a Gaza c’è un piccolo porto, ma Israele impedisce l’ingresso alle navi commerciali. La Marina Israeliana ha anche impedito a numerosi convogli internazionali di infrangere il blocco marittimo: il caso più eclatante è quello del 2010, quando nove attivisti stranieri della Freedom Flotilla furono uccisi dalle forze israeliane.
Traduzione di Romana Rubeo