Aquiloni preventivi. Don Nandino Capovilla.

Pubblichiamo qui di seguito alcune pagine del bel libro di don Nandino Capovilla, referente per la Palestina di Pax Christi: “Aquiloni preventivi” (Di Salvo editore, 2003).

Da anni, don Naldino organizza e promuove campi di raccolta delle olive con la popolazione palestinese della West Bank, viaggi di conoscenza e “pellegrinaggi alternativi” e di “giustizia” in Palestina.

“Siamo stufi – racconta don Naldino – di vedere gruppi di pellegrini cristiani che salgono e scendono dagli autobus e neanche si accorgono del Muro e della sofferenza dei palestinesi. Nei loro 'zainetti del pellegrino' non ci sono cartine della Palestina. Milioni di palestinesi non hanno diritto all'esistenza”.

Ma i palestinesi esistono e stanno subendo una delle peggiori oppressioni che la storia umana abbia registrato.

Nandino Capovilla ha appena pubblicato “Bocche scucite” per le edizioni Paoline, una struggente raccolta di testimonianze dalla Palestina storica occupata.

“Aquiloni preventivi” verrà presentato al Salone del Libro di Torino, sabato 12 maggio alle ore 15: https://www.infopal.it/testidet.php?id=4924

AQUILONI PREVENTIVI

“È da gran tempo giunto il momento di ritornare ai principi della legalità internazionale con la fine dell’occupazione dei territori, il rispetto delle risoluzioni dell’ONU e il diritto del popolo palestinese a disporre di se stesso.

Con irritante sussiego si afferma che gli attacchi sferrati da Israele sarebbero una difesa contro il terrorismo.

Ma è sempre più evidente che siamo di fronte ad un’aggressione che si fa sterminio!” (Osservatore Romano, 2 aprile 2002)

Presentazione

Non ho titoli particolari per presentare questo scritto.
È vero, sono stato tante volte in Israele,   da quando era ancora Palestina.
Vi  sono stato da quando era divisa in due e passando da una parte  all’altra bisognava far finta di venire da lontano. Vi sono stato 
anche di recente. Anche perché il Patriarca latino di Gerusalemme, 
mons. Michel Sabbah, è un palestinese, e da qualche anno è stato 
eletto Presidente internazionale di Pax Christi, il Movimento cattolico 
internazionale per la pace in cui ho lavorato per molti anni, 
ricoprendo anche lo stesso compito che ha ora mons. Sabbah. 
Mi sento soprattutto un cittadino del mondo che, aiutato anche 
dalla mia qualità di vescovo che ha avuto la grazia di partecipare 
al Concilio Vaticano II e dalla sensibilizzazione offertami da Pax 
Christi, vorrebbe che l’umanità camminasse verso ideali di solidarietà 
e di pace, e rimane sconvolto dal fatto che il popolo ebraico, 
di fronte al quale portiamo tutti la terribile responsabilità di averlo 
lasciato sterminare, venga ora condotto dai suoi governanti e da 
religiosi estremisti a programmare, se non lo sterminio, quanto 
meno la subordinazione e lo… sfoltimento di una intera popolazione, 
già dimezzata da esodi ormai irrecuperabili e ora limitata da 
un’occupazione che blocca ogni forma di autonomia e di vita 
dignitosa. 

Vi sono attentati terroristici da parte dei palestinesi; ma sono 
troppo pochi quelli che si chiedono se non siano una reazione – 
deprecabile, certo, ma disperata – ad una situazione volutamente 
provocata (la sfida della marcia di Sharon difeso da soldati israeliani 
sulla spianata delle moschee, il luogo più sacro dei musulmani) 
e scandalosamente tollerata: si è fatta la guerra all’Iraq con 
il pretesto che Saddam Hussein non avrebbe assecondato alcune 
mozioni dell’ONU, e sono vent’anni che Israele non asseconda 
mozioni, in particolare creando ininterrottamente nuovi insediamenti, 
di solito su terreni destinati ai palestinesi, circondando interamente le 
città stesse dei palestinesi. Non intendo parteggiare per 
una parte contro l’altra; ma tra gli stessi rabbini di Gerusalemme, 
almeno un decimo (ne incontrammo alcuni) vorrebbe che fossero 
rispettati i diritti umani e le leggi internazionali. E questo per il 
popolo stesso israeliano e per la sua pace, che non può essere ottenuta 
con la violenza e con l’oppressione. 
È provvidenziale che si rompa il silenzio che circonda questa 
situazione così tragica, che si moltiplichino i contatti con questo 
popolo umiliato e impoverito (anche per il blocco dei pellegrinaggi, 
che alimentavano tanta parte della sua economia); che l’opinione 
pubblica occidentale si renda corresponsabile di questa 
situazione ingiusta. Lo dico perché è evidente che se l’Occidente, 
a cominciare agli Stati Uniti, interverranno con una certa determinazione, 
si potranno fare passi concreti verso soluzioni di pace. 
Siamo grati a chi, dopo aver affrontato coraggiosamente un 
viaggio in Israele e aver condiviso le sofferenze dei palestinesi, ne 
ha voluto offrire una testimonianza, stringata ed essenziale, ma 
proprio per questo ancora più eloquente. 
L’augurio è che tanti possano leggerla, e che essa segni così un 
nuovo progresso nel cammino di pace. 
† Luigi Bettazzi 
vescovo emerito di Ivrea 
Sto per partire per la Palestina 
“È giunta l'ora di leggere la storia e di imparare la lezione! 
Questo conflitto dura da cent'anni: Israele ha vinto così tante 
battaglie militari, ma senza pace né sicurezza. Solo la pace 
nella giustizia e nel rispetto dei Diritti Umani può portare 
sicurezza. L’unica via è estirpare il male originario: l’occupazione. 
Non basta condannare il terrorismo. Israele deve 
porre fine all'occupazione e al suo terrorismo di stato: solo 
così si vedrà la pace!” 
(Michel Sabbath, Patriarca di Gerusalemme, 1.6.2003) 
“Nablus, West Bank, 12 luglio 2003”… 
… immagino inizierà così, ogni sera, rientrati al centro operativo 
di Medical Relief (ong che raggiunge con ambulanze e 
medici i villaggi dei Territori Occupati), una mia probabile mail 
con frammenti e storie, immagini e interviste che invierò quotidianamente 
in Italia. Ad amici e gruppi che riceveranno questa 
semplice testimonianza, chiedo di fare da cassa di risonanza di 
un dramma umano che da anni si sta consumando tra l'indifferenza 
dei governanti e la falsità delle notizie riportate dal 99% 
dei media qui da noi. 
Dal 9 al 22 luglio sarò a Nablus, poverissima città di 150.000 
abitanti occupati e imprigionati a cielo aperto, praticamente allo 
stremo. Non farò niente di particolare: semplicemente ho contattato 
l’Associazione per la Pace, che sta sperimentando in questo 
momento il passaggio da esperienze isolate e sporadiche di interposizione 
non-violenta, alla realizzazione di una staffetta permanente 
di ‘internaziona
li’. Ho pensato di trascorrere lì, dalla parte 
e insieme a queste ‘vittime’ dell'ingiustizia, le mie ferie. 
Quest’anno, insomma, niente diapo da mostrarvi ma, se vi 
farà piacere, vi invierò ogni sera un racconto ‘in diretta’ da 
quell’epicentro di guerra e odio che un’occupazione militare terribile 
ha partorito nella terra palestinese, ‘santa’ e insanguinata. 
Anch’io, come tanti altri, sto per andare in Palestina, perché 
penso sia un dovere quello di mantenere forte il legame con un 
popolo tra i più oppressi e martoriati della terra, dando voce a chi 
viene da anni messo a tacere e facendo conoscere il suo dolore e 
le sue speranze. 
Vorrei contribuire umilmente ad impedire la peggiore sconfitta: 
l’oblìo della tragedia palestinese nel dilagare delle falsità 
giornalistiche che eliminano la storia di un’occupazione e distruzione 
impossibili da cancellare. 
Cercherò, come gli altri volontari, di effettuare un monitoraggio 
dei diritti umani violati: un semplice ma prezioso contributo 
alla verità nella risonanza di un dolore che diventa denuncia. 
Parto perché desidero sperimentare, attraverso l’interposizione 
pacifica, l’efficacia della testimonianza altissima, umana e 
cristiana dell’‘intercessione’, del ‘camminare-attraverso’ il luogo 
e i protagonisti del conflitto, a piccoli passi e con tutta la forza 
rivoluzionaria e realmente efficace della nonviolenza. 
“Ma serve proprio andare lì? Anche qui da noi puoi trovare…” 
È vero. Ovunque si può almeno provare a fare come quel 
‘povero Cristo’ di Nazareth. È possibile in ogni luogo dove le vittime 
sono drammatica traccia inascoltata di Dio. È per questo 
che voglio stare solamente alcuni giorni insieme alla gente palestinese, 
vittima di un’aggressione tra le più scandalose di tutta la 
storia umana, convinto che solo mettendomi fisicamente e realmente 
dalla sua parte potrò capire sempre meglio l’orrore e lo 
scandalo di ogni guerra. 
Vado lì per dire anche solo con la mia presenza che il problema 
non è la resistenza palestinese, feroce e anche tragicamente 
terroristica, ma l’occupazione che è all’origine della resistenza di 
tre milioni di prigionieri stremati e sotto assedio, che continueranno 
a veder demolire le loro case, abbattere gli ulivi e massacrare 
parenti in ‘raid selettivi’ notturni sotto gli occhi dei loro 
figli. 
Voglio vedere quel vergognoso muro di 347 chilometri che si 
aggiunge all’incredibile rete di strade solo per israeliani su terra 
palestinese, che frantuma poverissimi possedimenti e devia illegalmente 
le risorse idriche dagli aridi campi dei palestinesi alle 
piscine e ai giardini dei coloni. 
Un nuovo spaventoso apartheid di cemento, trincee elettriche 
e torri di guardia sottrae e disgrega la terra a chi da sempre ne è 
proprietario rendendo impossibile il lavoro visto che per più di 
40.000 abitanti di qua del muro ci sarà la casa e di là il campo… 
Andrò solo pochi giorni e non farò niente di speciale. Un 
viaggio, certo, poco tranquillo, ma preparato con prudenza e 
attenzione. Starò con questa gente che non può essere dimenticata 
dal mondo, ma nessun atto di eroismo avrebbe senso per chi 
va in ferie come me e tanti altri in Palestina, lì dove l’oblìo non 
dovrà prevalere sul disastro, lì dove Dio ha sposato la terra che 
amava alla follia e l’uomo, figlio di Dio, nella sua follia ha 
dimenticato il suo simile. 
Vado lì da uomo, semplicemente, e da prete. 
Nandino 
  Gli aquiloni alla porta di Damasco 
Tel Aviv, 9 luglio 2003 
Devo ancora toccare terra – qui dove in assoluto il termine 
non può che essere plurale – e mentre il pensiero si perde ben 
oltre l'oblò dell’aereo, mi faccio coinvolgere da John Berger che, 
nell’ultimo numero di Internazionale messo nello zaino prima di 
partire, scrive: 
“Eccomi. Sono non tra i vinti 
ma tra gli sconfitti, 
che i vincitori temono. 
Il tempo dei vincitori è sempre breve 
mentre quello degli sconfitti 
ha una durata incalcolabile…” 
(Internazionale 4-10 luglio 2003) 
Ecco, qui in Palestina vorrei vivere intensamente questo 
‘tempo incalcolabile degli sconfitti’ con la consapevolezza che – 
come continua Berger – i potenti occupanti, imponendo un dominio 
territoriale terribile, puntano a distruggere nei palestinesi 
proprio l’esperienza del tempo e dello spazio: dagli estenuanti 
check point all’impossibile possibilità di spostamento per il lavoro, 
lo studio e la sopravvivenza quotidiana, dagli insediamenti 
sempre in crescita alla distruzione ed all’espropriazione della 
terra e delle case. 
Ma sarà soltanto la voglia decisiva di entrambi i popoli a 
garantire per tutti la pace nella giustizia. 
“Gli israeliani non capiscono che la loro ‘sicurezza’ l’avranno 
solo come conseguenza della giustizia… e che la violenza si 
spegnerà solo quando si comincerà a riconoscere ed eliminare il 
massacro dell’occupazione!” 
Sono le parole che dal mio registratore sbobinerò al mio ritorno 
per diffondere una straordinaria intervista che Padre William 
Shomaly del Patriarcato Latino di Gerusalemme mi ha rilasciato 
questa notte. Non vi nascondo però fin d’ora l’amara sensazione 
provata durante il suo discorrere appassionato: elencandomi i 
motivi attuali di speranza e di disperazione, l’ho sentito pesantemente 
accentuare i secondi: 
“Riuscirà finalmente un’istituzione internazionale esterna ai 
due contendenti a convincere, prima di una catastrofe immane, 
che la pace non è più solo un desiderio di tutti ma una necessità 
assoluta e improrogabile per sopravvivere?” 
Quando, al tramonto, in una limpidissima serata qui a 
Gerusalemme, respiro tutti gli odori e i suoni degli arabi davanti 
alla ‘loro’ Porta di Damasco, mi lascio portare più in alto degli 
aquiloni che tanti ragazzini arabi sparano nel vento con convinzione. 
Chissà cosa stanno sognandoci dentro… 
No. Nessuno potrà mai ‘occupare’ il cielo dei palestinesi 
‘arrestando’ tutta l’aria che custodisce. Nessuno potrà puntare un 
cannone sui sogni di questa gente che soffre impedendole di trovare 
il vento giusto per sollevarsi da terra e distendere la carta   velina della loro fragile vita nella più profonda libertà.  Riprendo in mano Internazionale, soddisfatto perché anche lui  ha passato indenne tutti i co
ntrolli politici all’aeroporto e mi  addormento sulla chiusura dell’articolo:  “Coloro che sono stati cacciati da questa terra  e coloro che si ha intenzione di cacciare  sono inseparabili dal suo ritmo vitale.  Senza di loro questa polvere non avrà anima.  Non è un modo di dire.  È il più serio degli avvertimenti.”  Quello che si chiude qui è solo l’articolo.
Buona notte. Nandino 
Nandino Capovilla · Elisabetta Tusset  Aquiloni preventivi 
© Michele Di Salvo Editore  Via Francesco Crispi 36/A  80121 Napoli 
I diritti d’autore e il 10% dei proventi del libro verranno devoluti a sostegno dell’Union  of Palestinian Medical Relief Committees.  

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.