Armi israeliane alimentano le atrocità in Africa

A South Sudan's army, or the SPLA, soldier holds his gun in Halop in Unity State of South Sudan April 24, 2012.   REUTERS/Goran Tomasevic (SOUTH SUDAN - Tags: CIVIL UNREST POLITICS) (Newscom TagID: rtrlfive202086.jpg) [Photo via Newscom]
A South Sudan’s army, or the SPLA, soldier holds his gun in Halop in Unity State of South Sudan April 24, 2012. REUTERS/Goran Tomasevic (SOUTH SUDAN – Tags: CIVIL UNREST POLITICS) (Newscom TagID: rtrlfive202086.jpg) [Photo via Newscom]
EILe armi israeliane alimentano le atrocità nel Sudan meridionale, secondo quanto affermato da un rapporto delle Nazioni Unite che getta nuove luci sul commercio segreto di armi di Israele in Africa.

Redatto da un gruppo investigativo posto in essere dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il rapporto cita alcune prove, documentate fotograficamente, di fucili automatici prodotti dalla Israel Military Industries (IMI) che si trovano nell’arsenale bellico dell’esercito e della polizia del Sud Sudan. Note col nome di Galil ACE, le pistole, in particolare, sono state utilizzate dalle guardie del corpo dei più importanti personaggi politici e da ufficiali anziani dell’esercito.

Il Sud Sudan ha ottenuto l’indipendenza nel 2011 alla fine di una guerra civile che è durata decenni. Pochi giorni dopo la sua costituzione, figure di spicco dell’industria bellica israeliana si sono precipitate a promuovere i propri interessi nella nuova alleanza contro l’influenza iraniana in Sudan.

Fin dalla secessione del 2011, il Sud Sudan è entrato in una guerra civile tra le opposte fazioni politiche.

Le milizie militari del Sud Sudan filo-governative, armate da Israele, utilizzano la “politica della terra bruciata” caratterizzata da violenze sessuali sistematiche su donne e bambini, uccisione indiscriminata e messa a fuoco di interi villaggi con famiglie ancora dentro le loro case, secondo il rapporto dell’ONU.

Il Sud Sudan non è l’unico paese africano nel quale l’industria bellica israeliana trae profitto dallo spargimento di sangue.

Secondo il Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), Israele non rivela le informazioni dettagliate circa le proprie trattative di armamenti, la maggior parte delle quali vengono concluse da intermediari che restano nell’ombra, solitamente personale dell’esercito israeliano in pensione o civili espatriati.

Tuttavia, notizie occasionali, dichiarazioni pubbliche di ufficiali e indagini di organizzazioni non-governative hanno contribuito a sollevare la cortina, negli ultimi anni, rivelando coinvolgimenti militari in molti luoghi dell’Africa che possono essere esposti dettagliatamente in un articolo a parte.

Utilizzando questo fonti, il SIPRI è stato capace di documentare la vendita di armi israeliane al Camerun, Ciad, Guinea Equatoriale, Lesotho, Nigeria, Ruanda, Seychelles, Sudafrica e Uganda dal 2006 al 2010.

Eccellente nel traffico di armi

Nonostante le sue dimensioni ridotte, per decenni Israele si è classificata tra i primi dieci esportatori di armi al mondo, un’impresa notevole per un paese non più grande, geograficamente, del New Jersey.

Ciò in parte è dovuto al fatto che Israele usa la Cisgiordania occupata e Gaza come laboratori per testare e perfezionare le armi ed i metodi di dominio e di controllo. Questo sistema permette alle aziende militari israeliane di marchiare i loro prodotti come battle-tested (testati in battaglia) e combat proven (provati in combattimento) – etichette ambite che forniscono al paese un vantaggio competitivo nel commercio internazionale di armi.

Il successo di Israele si può attribuire anche alla sua volontà di concludere affari con i regimi repressivi che anche gli Stati Uniti ed i paesi europei evitano di armare direttamente.

Nel caso del Sud Sudan, l’enorme gravità delle atrocità ha costretto l’Unione Europea ad imporre un embargo sulle armi e ad emettere sanzioni contro i capi militari del paese.

Allo stesso modo gli USA hanno sospeso l’aiuto militare ed imposto sanzioni, sebbene si possa notare che l’amministrazione Obama abbia aiutato con entusiasmo la costituzione dell’esercito sud-sudanese, nonostante fosse a conoscenza che esso aveva parecchie migliaia di bambini-soldato tra le sue fila.

Intanto, Israele ha ospitato il Sud Sudan recentemente, a giugno, ad una esposizione di armi.

Favoreggiamento nel Genocidio

Agire per fornire armi a regimi sanguinari non è certo un fenomeno nuovo per Israele.

Durante la leadership di Yitzhak Rabin, poi primo ministro, e di Shimon Peres, poi ministro degli Esteri, Israele ha rifornito di proiettili, fucili e granate le forze del governo ruandese dominato dagli Hutu, come pure l’esercito ribelle guidato da Paul Kagame, mentre in quel paese era in corso il genocidio (durante gli anni ’90).

Oltre ad armare gli assassini, Israele ha addestrato le forze militari e paramilitari ruandesi negli anni precedenti al bagno di sangue.

Dopo aver visitato i campi nei quali erano avvenuti gli eccidi, un trafficante di armi israeliano si autodefinì, lodandosi, un operatore umanitario in quanto aiutava le vittime a morire velocemente con le pallottole anziché con i machete. “In realtà io sono un medico”, osservò.

Israele ha mantenuto da allora stretti legami con Kagame, l’attuale presidente autocratico del Ruanda che gode di molto sostegno in occidente.

Deposito di armi per i despoti

Dato che i contratti di armi provenienti dagli USA e dall’Europa diminuiscono a causa delle riduzioni nei bilanci della difesa, i paesi in via di sviluppo in America Latina e Africa sono divenuti i mercati con crescita più rapida per Israele.

Le vendite di armi da parte di Israele verso l’Africa sono raddoppiate tra il 2012 e il 2013 e sono aumentate di un altro 40% nel 2014, raggiungendo i 318 milioni di dollari.

Non è chiaro se queste somme considerano il totale per le armi e l’addestramento militare che Israele ha fornito all’Uganda, e forse al Ruanda, come compensazione per aver accettato di prendere in carico i rifugiati africani espulsi da Israele.

Mentre Israele non ha scrupoli nel contribuire ai tumulti che avvengono nei paesi africani, allo stesso tempo rifiuta di concedere asilo agli africani sul proprio suolo, preferendo invece incarcerarli e rispedirli indietro verso gli orrori dai quali sono scappati. Alcuni sono stati incarcerati, torturati ed anche uccisi dal momento della loro espulsione.

Quel che è chiaro è che i clienti africani di Israele comprendono un insieme di regimi antidemocratici che opprimono brutalmente i loro cittadini.

La Rapid Intervention Brigade (BIR) del Camerun, che è impegnata abitualmente in omicidi e “scomparse” extragiudiziali, viene addestrata da un comandante in pensione dell’esercito israeliano, Mayer Heretz.

Nel 2009, le BIR sono state impiegate per reprimere le manifestazioni contro le diseguaglianze economiche, uccidendo oltre 100 persone che stavano protestando.

L’unità della guardia presidenziale del Camerun, notoriamente brutale, che risulta vitale per il mantenimento al potere da ormai 33 anni del dittatore Paul Biya, è stata addestrata da un altro comandante in pensione dell’esercito di Israele, Avi Sivan.

Il prolungamento del potere dei regimi repressivi in Africa è una tradizione israeliana di lunga data.

Israele ha equipaggiato il regime di apartheid sudafricano con armi negli anni ‘70 e ’80 violando tutte le sanzioni internazionali.

Salvaguardia del saccheggio sociale

Decenni di furti e colonizzazione delle terre e delle risorse palestinesi hanno fornito ad Israele una qualifica con competenze uniche nella sottomissione della resistenza e nel mantenimento del saccheggio coloniale.

Come ha spiegato Jimmy Johnson, un attivista e ricercatore sul commercio bellico di Israele, “Il nazionalismo etnocentrico del 19° secolo che ha portato alla creazione di Israele… nasconde spesso il fatto che l’esproprio dei Palestinesi ha incluso un massiccio e crescente trasferimento di ricchezza dai colonizzati ai colonizzatori e dagli occupati agli occupanti”.

Israele non solo sta vendendo armi all’Africa, ma sta offrendo un modello di successo per garantire il saccheggio al neocolonialismo da parte di una crescente sottoclasse spoliata ed abbandonata dalle devastazioni del capitalismo globalizzato.

L’occupazione di Israele viene “esportata per combattere la redistribuzione della ricchezza”, come ha sottolineato Johnson.

Proprio a sud del Camerun, le compagnie militari israeliane hanno guadagnato milioni di dollari vendendo materiale bellico al piccolo stato, ricco di petrolio, della Guinea Equatoriale.

La Guinea Equatoriale è sede di una delle società più ineguali del mondo.

L’ex spietato dittatore della colonia spagnola, Teodoro Obiang, si è arricchito grazie ai consistenti pagamenti delle compagnie petrolifere degli USA, che in cambio possono sfruttare le massicce riserve di petrolio del paese senza nessun tipo di impedimento.

Per preservare il suo ruolo, Obiang dipende da una guardia presidenziale quasi certamente addestrata da Israele, mentre si affida ai materiali bellici israeliani perfezionati a Gaza per proteggere le piattaforme petrolifere della Exxon.

Le forze di sicurezza di Obiang sono famose per compiere torture in maniera diffusa ed esecuzioni sommarie degli oppositori politici.

Nel 2008, Israele si è assicurata un contratto di vendita di armi stimato attorno ai 100 milioni di dollari con la Guinea Equatoriale, che ha riguardato l’acquisto di quattro motovedette IMI Shaldag ed una nave per missili Saar costruite dalla Shipyards israeliana. “Le imbarcazioni IMI servono per mettere in sicurezza le piattaforme petrolifere in mare”, secondo il quotidiano israeliano Haaretz.

Queste sono le stesse imbarcazioni utilizzate dalla marina israeliana per rafforzare il blocco marino di Gaza e per colpire i suoi abitanti.

Mentre Israele aiuta le compagnie petrolifere degli USA e la famiglia Obiang in contanti, 1 bambino su 10 in Guinea Equatoriale muore prima del suo quinto anno di vita. Inoltre, meno della meta’ degli abitanti del paese ha accesso ad acqua potabile pulita.

Nella provincia di Cabinda, in Angola, un assortimento di veicoli israeliani per la sorveglianza, compreso l’Aerostar e il Seastar dell’aeronautica e la motovedetta Shaldag della Shipyards israeliana, proteggono le piattaforme petrolifere della Chevron dai possibili ostacoli al saccheggio delle risorse della Nigeria.

Questo si aggiunge al sistema di controllo di Internet in Nigeria, installato nel 2013 dalla azienda militare più importante di Israele, la Elbit Systems.

Esportare la “guerra al terrore”

Con la crescita di Boko Haram, negli ultimi anni la Nigeria ha adottato la dottrina della “guerra al terrore” dapprima imposta da Israele per giustificare la conquista in corso della Palestina.

“Israele è stato un alleato decisivo e leale nella nostra lotta contro Boko Haram”, come ha dichiarato un ufficiale del governo nigeriano all’inizio di quest’anno.

“E’ una triste realtà che Israele abbia una grande esperienza nel combattere il terrorismo. I nostri partner israeliani hanno utilizzato questa esperienza, l’unica che hanno conquistato dopo anni di lotta al terrorismo all’interno dei suoi confini, per aiutarci”, ha aggiunto l’ufficiale, confondendo la resistenza palestinese contro la violenza coloniale di Israele con il terrorismo perpetrato da un gruppo militante col quale i Palestinesi non hanno nessun tipo di relazione.

Appoggiando pienamente l’operato del suo governo, un attivista nigeriano cristiano ha dichiarato al The Jerusalem Post “Io sono come un colono israeliano in Cisgiordania in mezzo ai Palestinesi”.

Questo atteggiamento è stato a dir poco disastroso.

Fin dal 2012, con la scusa della caccia a Boko Haram, i militari nigeriani hanno compiuto 1.200 esecuzioni extragiudiziali ed arrestato arbitrariamente 20.000 ragazzi o giovani uomini, almeno 7.000 dei quali sono deceduti durante la detenzione militare per fame, negligenza medica o sovraffollamento delle carceri.

Le squadre della morte keniote della General Service Unit, l’ala paramilitare della polizia e dell’esercito di quel paese, hanno adottato allo stesso modo il “regolamento israeliano” per gli omicidi extragiudiziali degli imam musulmani apertamente critici nei loro confronti.

Gli ufficiali delle squadre della morte intervistati l’anno scorso da Al Jazeera hanno rivelato che le loro unità vengono addestrate da Israele.

Esportare l’esperienza del Sionismo

Nel suo libro del 1987 The Israeli Connection, Benjamin Beit-Hallahmi ha descritto il supporto di Israele ai tiranni dei paesi in via di sviluppo come “il diretto risultato di quel che ha fatto in casa sua”.

“Quel che Israele sta facendo nel terzo mondo”, ha affermato Beit-Hallahmi, “è semplicemente di esportare l’esperienza del sionismo del Medio Oriente”, caratterizzata dalla conquista e dalla pacificazione.

Israele sta esportando “non soltanto una tecnologia di dominio, ma una visione del mondo che sottintende a tale tecnologia”, ha aggiunto.

Sta esportando “la logica dell’oppressore… un certo stato d’animo, una sensazione che il terzo mondo può essere controllato e dominato, che i movimenti radicali nel terzo mondo possono essere fermati, che i moderni crociati possono ancora avere un futuro”.

Questo è precisamente quel che Israele sta facendo oggi in Africa, con conseguenze probabilmente micidiali.

(Nella foto: l’esercito del Sudan meridionale, armato e addestrato da Israele, commette violazioni sistematiche dei diritti, secondo l’ONU. Goran Tomasevic / Reuters).

Traduzione di Aisha Tiziana Bravi