Assange ha vinto, ma a caro prezzo: la soppressione della libertà di stampa e l’etichettatura del dissenso come malattia mentale

Palestine Chronicle. L’inaspettata decisione del giudice Vanessa Baraitser di rifiutare la richiesta USA per l’estradizione di Julian Assange, vanificando in questo modo gli sforzi compiuti per spedirlo in un carcere di massima sicurezza degli Stati Uniti per il resto della sua vita, è una gradita vittoria legale, ma intrisa di messaggi più ampi che dovrebbero preoccuparci profondamente.

Gli eroi del giorno sono coloro che hanno fatto una intensa e tenace campagna per mantenere il caso di Assange sotto la luce dei riflettori, nonostante i media corporativi di USA e Regno Unito abbiano invece lavorato strenuamente per mantenerlo nell’oscurità. Hanno reso il prezzo insostenibile perché Baraitser o l’establishment britannico accettassero di rinchiudere Assange a tempo indeterminato negli USA per aver smascherato i suoi crimini di guerra e contro l’umanità in Iraq e Afghanistan.

Ma non dobbiamo sottovalutare il prezzo che ci è stato chiesto per ottenere questa vittoria.

Un Momento di Festa.

Nel nostro piccolo abbiamo contribuito collettivamente per far riconquistare ad Assange un certo livello di libertà, e si spera una tregua da quella che potrebbe essere una condanna a morte, mentre la sua salute continua a peggiorare nel carcere sovraffollato di Belmarsh a Londra, divenuto terreno fertile per il Covid-19.

Per questo motivo, possiamo concederci un momento di festa. Ma Assange non é ancora fuori pericolo. Gli USA hanno dichiarato che faranno appello contro la decisione presa. E non é ancora chiaro se Assange resterà incarcerato nel Regno Unito – possibilmente a Belmarsh – mentre si terranno, per molti mesi ancora, ulteriori discussioni legali sul suo futuro.

Gli establishment statunitense e britannico non si preoccupano di dove Assange sia imprigionato – in Svezia, in GB o negli USA. Quel che é sempre stato importante per loro é che egli continui a restare chiuso in una cella da qualche parte, dove la sua forza fisica e mentale possano essere distrutte e dove venga effettivamente messo a tacere, esortando gli altri ad imparare la lezione secondo la quale esiste un prezzo da pagare per il dissenso.

La battaglia personale per Assange non sarà terminata finché egli non sarà veramente libero. E anche allora sarà fortunato se l’ultimo decennio di varie forme di incarcerazione e tortura, a cui é stato sottoposto, non lo lasceranno permanentemente traumatizzato, emotivamente e mentalmente danneggiato, una pallida ombra dell’impenitente, vigoroso campione di trasparenza che era prima dell’inizio del suo calvario.

Soltanto questa sarebbe già una vittoria per le istituzioni britanniche e statunitensi, così imbarazzate e timorose delle rivelazioni di Wikileaks sui loro crimini.

Rifiuto per Motivi Tecnici.

Ma a parte quella che è una potenziale vittoria personale per Assange, ammesso che non perda in appello, dovremmo essere profondamente preoccupati dalle argomentazioni legali che Baraitser ha avanzato nel negare l’estradizione.

La richiesta statunitense dell’estradizione è stata rifiutata per quel che è stato, di fatto, un tecnicismo. Il sistema di incarcerazione di massa degli USA è talmente crudele e perverso che, come è stato dimostrato con certezza dagli esperti durante le udienze di settembre, Assange correrebbe un grave rischio di suicidio se dovesse diventare un’altra vittima delle sue carceri di massima sicurezza.

Non si dovrebbe neanche scartare un’altra delle probabili considerazioni dell’establishment britannico: che tra pochi giorni Donald Trump se ne andrà dalla Casa Bianca e una nuova amministrazione statunitense prenderà il suo posto.

Non c’é alcun motivo per essere sentimentali nei confronti del Presidente eletto Joe Biden. Anche lui é un grande fan dell’incarcerazione di massa, e non sarà più amico dei media dissidenti, degli informatori e del giornalismo che sfidano lo stato di sicurezza nazionale di quanto non lo fosse il suo predecessore democratico Barack Obama. Che non é affatto un amico.

Ma probabilmente Biden non ha bisogno che il caso di Assange resti appeso sulla sua testa, diventando un grido di protesta nei suoi confronti, un residuo scomodo degli istinti autoritari dell’amministrazione Trump che i suoi stessi funzionari sarebbero costretti a difendere.

Sarebbe bello immaginare che gli istituti giuridici, giudiziari e politici britannici abbiano sviluppato una spina dorsale nel pronunciarsi contro l’estradizione. La verità, molto più verosimile, é che hanno sondato la squadra di Biden entrante e hanno ricevuto il permesso di rinunciare a una sentenza immediata a favore dell’estradizione – per un tecnicismo.

Tenete d’occhio se la nuova amministrazione Biden deciderà di abbandonare il ricorso in appello. È più probabile che i suoi funzionari lasceranno che la cosa vada avanti ancora per molti mesi, in gran parte lontano dai riflettori dei media.

Giornalismo come Spionaggio.

È significativo che il giudice Baraitser, per l’estradizione, abbia sostenuto tutte le principali argomentazioni legali dell’amministrazione Trump, anche se sono state completamente demolite dagli avvocati di Assange.

Baraitser ha accettato la nuova e pericolosa definizione di giornalismo investigativo del governo degli Stati Uniti come “spionaggio”, e ha suggerito che Assange avrebbe violato anche il Draconian Official Secrets Act della Gran Bretagna esponendo i crimini di guerra del governo.

Il giudice ha convenuto che il trattato di estradizione del 2007 si applica nel caso di Assange, ignorando però le effettive parole del trattato che esentano i casi politici come il suo. In questo modo ha aperto la porta al sequestro di altri giornalisti nei loro paesi d’origine, da consegnare agli Stati Uniti.

Baraitser ha accettato il fatto che proteggere le fonti nell’era digitale – come ha fatto Assange per l’informatore Chelsea Manning, obbligo fondamentale per i giornalisti in una società libera – equivale ora ad un “hacking” criminale. Ha cestinato la libertà di parola e i diritti della libertà di stampa, dicendo che questi non costituivano “una discrezione illimitata da parte di Assange per decidere cosa pubblicare”.

Il giudica è sembrato accogliere favorevolmente le numerose prove che dimostrano che gli Stati Uniti hanno spiato Assange all’interno dell’ambasciata ecuadoriana, sia in violazione del diritto internazionale che del suo privilegio di cliente-avvocato – una violazione dei suoi diritti legali fondamentali che da sola avrebbe dovuto far interrompere il procedimento.

Baraitser ha sostenuto che Assange avrebbe ricevuto un processo equo negli Stati Uniti, anche se é dato quasi per certo che si sarebbe svolto nel distretto orientale della Virginia, dove hanno sede i principali servizi di sicurezza e dell’intelligence statunitensi. Qualsiasi giuria, in quel luogo, sarebbe stata controllata dal personale di sicurezza americano e dalle sue famiglie, che non avrebbero provato alcuna simpatia per Assange.

Quindi, mentre celebriamo questa sentenza per Assange, dobbiamo anche denunciarla a gran voce come un attacco alla libertà di stampa, come un attacco alle nostre libertà collettive conquistate a fatica, e come un attacco ai nostri sforzi per ritenere le istituzioni statunitensi e britanniche responsabili di aver calpestato i valori, i principi e le leggi che esse stesse professano di sostenere.

Anche se con una mano ci viene offerto un piccolo premio con l’attuale vittoria legale di Assange, con l’altra mano l’establishment ci ruba molto di più.

La Denigrazione Continua.

Vi è un’ultima lezione che possiamo trarre dalla sentenza Assange. L’ultimo decennio é stato dedicato al discredito, all’ignominia e alla demonizzazione di Assange. Questa sentenza dovrebbe essere vista come una continuazione di quel processo.

Baraitser ha negato l’estradizione di Assange solo per motivi di salute mentale e per il suo autismo, e anche per il fatto che é a rischio di suicidio. In altre parole, gli argomenti di principio per la liberazione di Assange sono stati definitivamente respinti.

Se riacquisterà la sua libertà, sarà solo perché é stato giudicato mentalmente instabile. E questo sarà usato per screditare non solo Assange, ma anche la causa per la quale ha combattuto, l’organizzazione Wikileaks che ha contribuito a fondare, e tutta la più ampia dissidenza nei confronti dei resoconti dell’establishment. Quest’idea metterà radici nel discorso pubblico popolare, a meno che, volta per volta, non si metta in discussione tale presentazione.

La battaglia di Assange per difendere le nostre libertà, per difendere coloro che, in terre lontane, bombardiamo a nostro piacimento per promuovere gli interessi egoistici di una élite occidentale, non era autistica o prova di malattia mentale. La sua lotta per rendere le nostre società più giuste, per chiedere ai potenti di rendere conto delle loro azioni, non é stata prova di una qualche disfunzione. É un dovere condiviso il fatto di rendere la nostra politica meno corrotta, i nostri sistemi legali più trasparenti, i nostri media meno disonesti.

A meno che molti di noi non combattano per questi valori – per la vera sanità mentale, non per gli interessi perversi, insostenibili e suicidi dei nostri leader – siamo condannati. Assange ci ha mostrato come possiamo liberare noi stessi e le nostre società. Spetta a tutti noi continuare la sua battaglia.

Traduzione per InfoPal di Aisha T.Bravi