Associazione ebraica statunitense offre viaggi alternativi Birthright in Israele e Cisgiordania

MEMO. Il gruppo ebraico statunitense J Street U offrirà viaggi in Israele e Cisgiordania cercando di mettere in discussione l’eliminazione della narrativa palestinese nei cosiddetti viaggi Birthright (diritto di nascita). 

J Street U è il braccio del campus universitario J Street, organizzazione no-profit che sostiene la fine del conflitto israelo-palestinese e che è molto popolare tra i giovani ebrei-americani liberali. 

Il gruppo ha annunciato che sta lanciando viaggi gratuiti di dieci giorni in Israele, con il primo viaggio previsto per il mese di luglio. L’iniziativa sarà finanziata dai donatori di J Street come parte della campagna #Let Our People Know dell’organizzazione che, con le sue stesse parole, “preme per porre fine all’eliminazione delle voci palestinesi nei viaggi organizzati da Israele”. 

Il viaggio prevede che vengano affrontate questioni come l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi, le colonie illegali nella Cisgiordania occupata ed i cittadini palestinesi di Israele, argomenti che sono stati ignorati in modo eclatante dai viaggi Birthtight che per vent’anni hanno inviato giovani ebrei in Israele. 

Il Times of Israel ha riportato le parole del Presidente del J Street National Board, Eva Borgwardt:

“Speriamo che questo viaggio sia un modello per il tipo di educazione che i giovani ebrei di Israele vogliono e di cui hanno bisogno – quella che si impegna appieno con la realtà di Israele, comprese le prospettive dei Palestinesi che vivono sotto la sua occupazione militare da ormai 52 anni”. 

Questo gesto arriva dopo che una petizione di J Street U, della fine dell’anno scorso, chiedeva che l’itinerario del Birthright comprendesse anche oratori palestinesi che potessero parlare della realtà dell’occupazione israeliana. La petizione ha raccolto firme di 1.500 studenti ebrei americani che sono state consegnate al direttore di Hillel, il campus organizzativo ebraico più vasto al mondo, secondo Haaretz. 

Il viaggio J Street dovrebbe rivelarsi popolare e sarà visto come ulteriore indicazione del declino del sostegno ad Israele da parte dei giovani ebrei americani. I viaggi tradizionali Birthright sono arrivati sotto la luce dei riflettori l’estate scorsa a causa di una defezione in massa da parte dei suoi viaggiatori. Le defezioni sono state organizzate da attivisti tramite il movimento IfNotNow, una organizzazione con sede negli USA che si oppone all’occupazione israeliana, utilizzando l’hashtag #NotJustAFreeTrip. Molti degli studenti che sono usciti dal viaggio Birthright sono poi andati ad aggiungersi ad un tour della occupata Hebron guidato da Breaking the Silence, associazione costituita da ex-militari dell’esercito israeliano che cercano di portare alla luce la dura realtà dell’occupazione israeliana.

In una intervista rilasciata a MEMO a luglio, uno degli studenti che ha rinunciato al suo viaggio Birthright, Katie Fenster, ha così spiegato la propria decisione: “Come americani abbiamo capito che andare in Israele senza parlare dell’occupazione è come andare a Jim Crow South senza parlare della segregazione”, in riferimento alla segregazione razziale imposta agli afro-americani nel sud degli Stati Uniti fino alla nascita del movimento dei diritti civili negli anni ’60.

In dicembre Haaretz ha rivelato che vi è stato un calo “senza precedenti” degli ebrei americani che partecipano ai viaggi Birthright. Il quotidiano israeliano ha evidenziato che “studi recenti dimostrano che gli ebrei degli anni 2000, che sono in gran parte progressisti, si sentono meno collegati ad Israele rispetto ai loro genitori e nonni in quanto hanno la sensazione che le politiche del paese siano contrarie ai loro valori”.

I rapporti tra gli ebrei USA ed Israele si sono deteriorati negli ultimi mesi, con molti che criticano la direzione che sta prendendo Israele col governo del primo ministro in carica Benjamin Netanyahu. Questa spaccatura è divenuta più profonda a causa del polverone sollevato dalla congressista USA Ilhan Omar, che a febbraio ha risposta ad un tweet del giornalista Glenn Greenwald che diceva: “E’ incredibile quanto tempo i leader politici statunitensi spendono per difendere una nazione straniera [Israele], anche se ciò significa minare il diritto alla libertà di parola degli americani”. Omar ha risposto: “Tutto a causa del bambino di Benjamin”, facendo riferimento all’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) e ad altre lobby che donano ingenti somme di denaro ad Israele.

Anche se i commenti di Omar hanno scatenato un acceso dibattito sull’antisemitismo e la richiesta delle sue dimissioni, gli ebrei-americani sono usciti a sostegno della congressista del Minnesota con una lettera aperta. La lettera afferma che: “la lobby pro-israeliana ha giocato un ruolo enorme nel fornire sostegno quasi unanime al Congresso per Israele” e conclude che “come ebrei con una lunga tradizione di giustizia sociale e di anti-razzismo, l’AIPAC non ci rappresenta”.

Traduzione per InfoPal di Aisha Tiziana Bravi