Attrice palestinese sottolinea “pulizia etnica” israeliana durante premiazione del suo film

Tel Aviv – MEMO. Un’attrice palestinese che ha vinto il premio come “miglior attrice protagonista” in una cerimonia di premiazione del cinema israeliano, ha affermato, durante l’evento, che è stato difficile festeggiare a causa della “pulizia etnica in corso” dei palestinesi.

Juna Suleiman recita in Let It Be Morning, un film diretto dal regista israeliano Eran Kolirin, che ha vinto un Ophir Award come “miglior film” ed è stato candidato per una delle cinque nomination all’Oscar nella categoria “miglior film internazionale”.

“In circostanze normali, avrei provato felicità e gratitudine per il premio, ma sfortunatamente è impossibile quando ci sono sforzi attivi per cancellare l’identità palestinese ed il dolore collettivo che mi porto dietro, e che sono presenti in ogni ruolo che interpreto”, ha affermato.

“Separare il mio ruolo e la mia identità è un passo cinico e violento, costruito sulle tradizioni coloniali della cancellazione in corso delle identità storiche e della pulizia etnica, che non mi lasciano spazio per la felicità, ma piuttosto per la rabbia e la frustrazione.

“Questa rabbia e frustrazione sono alla base della stessa esperienza che ‘Let It Be Morning’ porta sullo schermo”, ha aggiunto.

Ha anche espresso gratitudine a Kolirin per la sua “sensibilità e comprensione” che ha reso la sua prima esperienza di recitazione così speciale.

Basato su un romanzo del giornalista, sceneggiatore ed autore Sayed Kashua, il film narra la storia di Sami, un cittadino palestinese di Israele che torna con la famiglia nella sua città natale per partecipare al matrimonio di suo fratello. Dopo il matrimonio, Sami, sua moglie e suo figlio incontrano soldati israeliani che li costringono a rimanere nel villaggio, e Sami viene presto imprigionato nella sua città natale, senza sapere perché o per quanto tempo.

Il premio arriva dopo che il cast ha boicottato il Festival di Cannes a luglio, dopo aver spiegato in una dichiarazione collettiva sui social media che avrebbero compiuto un atto politico di assenza, per protestare contro la cancellazione culturale dei palestinesi da parte di Israele.