“Per noi è critico acquistare prodotti da un’area che si trova sotto occupazione dal 1967 e, da oggi, sospendiamo l’acquisto di beni dai Territori palestinesi occupati”, ha dichiarato il direttore generale di Vita, Roar Arnstad.
Il boicottaggio norvegese è il risultato del lavoro di Norwegian People’s Aid (Npa) e del sindacato dei lavoratori nei consigli locali.
La notizia è stata accolta con entusiasmo dalla rete palestinese delle organizzazioni della società civile: “E’ una scelta consapevole e coraggiosa, etica e conforme al diritto internazionale perché diretta a boicottare l’occupazione israeliana della terra palestinese.
“Inoltre, la scelta di Vita rappresenta un duro colpo per le vendite di Ahava, la cui produzione avviene nell’insediamento illegale israeliano di Mitzpe Shalem, nella Cisgiordania occupata”.
Ai commenti dei palestinesi, è seguito l’invito alle organizzazioni nel mondo a boicottare l’occupazione israeliana.
“Boicottare Israele su un piano politico ed economico, accademico, culturale e militare. Ritirare ogni investimento e rescindere tutti i contratti con Israele”.
Dal Sudafrica, giunge un’altra notizia che dà speranza ai palestinesi e a quanti sostengono la loro causa di liberazione dall’occupazione israeliana: Cosatu, il più grande sindacato del paese, ha aderito ufficialmente alla campagna di boicottaggio di Israele, ritirando ogni investimento.
A commentare la notizia è Moustafa Barghouthi, segretario del partito al-Mubadara, il quale, nella scelta sudafricana, intravede una vittoria per la resistenza popolare palestinese diretta alla rottura del sistema d’Apartheid e alla fine delle discriminazioni.
Ai propri connazionali, il deputato palestinese chiede di stringersi tutti intorno a una strategia forte, basata sulla resistenza popolare, tale da incoraggiare l’azione internazionale.
Si dice ottimista, Barghouthi, quando pensa ai precedenti: ai 51 sindacati britannici (con 7milioni e 100mila lavoratori), alla decisione del ministero delle Finanze norvegese di ritirare tutti gli invesimenti dalle società israeliane dell’industria bellica, a quella del Canada, che aveva scelto di sottrarsi da qualunque coinvolgimento con le imprese attive nella costruzione del Muro d’Apartheid fino al boicottaggio accademico della Gran Bretagna.