Aljazeera.com. Di Nkosi Zwelivelile Mandela. I tentativi dei sostenitori di Israele di ritrarre mio nonno come un pacifista liberale è una distorsione della sua eredità. (Da InvictaPalestina.org).
“Dov’è il Mandela palestinese?” É una domanda che ho sentito spesso dai difensori di Israele. Quello che si chiedono veramente è: dov’è l’equivalente palestinese di Nelson Mandela, un uomo che, a loro avviso, porgeva solo ramoscelli d’ulivo e dialogo? Dov’è la versione palestinese di Mandela, che, nella loro immaginazione, adorava così tanto il suo oppressore che era disposto a perdonarlo e riconciliarsi incondizionatamente?
I sostenitori israeliani, sia in Sudafrica che in tutto il mondo, hanno riesumato mio nonno come pacifista liberale che ha fatto benevolmente la pace con i suoi nemici. Ridurre la vita di Rolihlahla (il secondo nome di Nelson Mandela, che significa “sradicatore”) a pacificatore e riconciliatore è una deliberata distorsione della sua eredità.
Il presidente Mandela è stato all’altezza del suo secondo nome. Era un rivoluzionario, intellettuale e combattente per la libertà. La sua vita è stata dedicata a resistere all’oppressione e ripristinare la dignità. La forma di resistenza che egli sosteneva era determinata dall’oppressore. “È inutile e sterile per noi continuare a parlare di pace e non-violenza contro un governo la cui risposta è fatta solo di attacchi indiscriminati”, ammonì Mandela nel maggio 1961, sette mesi prima di diventare il primo comandante della nuova ala armata del Congresso Nazionale Africano (ANC) chiamata “Umkhonto we Sizwe” (Lancia della Nazione).
Tuttavia, quando i sostenitori di Israele parlano di Nelson Mandela, si concentrano esclusivamente sul suo messaggio di dialogo e riconciliazione. Di conseguenza, la storia di Madiba, come era noto, e la transizione del Sudafrica verso la democrazia è stata ridotta a una fiaba del perdono, piuttosto che una lunga, difficile, spesso arrabbiata, cronaca di giustizia e libertà. Dialogo, perdono e riconciliazione devono essere riportati nel suo giusto contesto e collocati nella storia di Mandela e nella storia del Sudafrica.
La causa di Mandela non era la pace e la riconciliazione; era la giustizia e la liberazione. La riconciliazione e il perdono venivano solo dopo la liberazione. Prima di allora, Madiba considerava qualsiasi tipo di “riconciliazione” con l’oppressore come sottomissione e un’arma di cooptazione per indebolire il movimento di liberazione.
Anche gli alleati del Sudafrica nel movimento globale anti-apartheid non ci hanno mai chiesto di fare pace con i nostri oppressori prima che la nostra liberazione fosse raggiunta. Chiedere ai sudafricani di impegnarsi in un dialogo con il governo dell’apartheid nel contesto di un brutale stato di polizia caratterizzato da implacabile espropriazione, restrizioni alla libertà di movimento, violente repressioni della protesta e detenzione senza processo, significava chiedere di collaborare con i nostri oppressori. Il mondo non ha mai chiesto, o augurato, questo ai sudafricani, eppure viene chiesto ai palestinesi che vivono nelle stesse condizioni, se non peggio.
Mandela il perdonatore è particolarmente adorato dai sostenitori israeliani. Amano raccontare come ha guadagnato la fiducia dei suoi nemici e ha preso il tè con Betsie Verwoerd, la vedova dell’architetto dell’apartheid, Hendrik Verwoerd. Gli apologeti israeliani vogliono che il mondo creda che non appena Nelson Rolihlahla Mandela è stato rilasciato, ha abbandonato la lotta armata e ha iniziato tranquillamente negoziati con il governo dell’apartheid, senza richieste o condizioni preliminari. “Anche dopo 27 anni di prigione, quando è stato rilasciato, Mandela ha offerto il dialogo, non la violenza”, afferma lo scrittore sudafricano Benjamin Pogrund. Questa non è la realtà.
Il giorno in cui è stato scarcerato, Nelson Mandela ha dichiarato: “I fattori che hanno reso necessaria la lotta armata esistono ancora oggi. Non abbiamo altra scelta che continuare. Esprimiamo l’auspicio che si crei presto un clima favorevole ad una soluzione negoziata, in modo che non vi sia più la necessità della lotta armata”.
Mandela non ha avviato negoziati mentre i sudafricani neri venivano violentemente espropriati e perseguitati, o mentre i nostri leader di liberazione venivano imprigionati, torturati e assassinati. “Il proseguimento dei negoziati e della retorica sulla pace mentre allo stesso tempo il governo sta conducendo una guerra contro di noi è una posizione che non possiamo accettare”, dichiarò Madiba all’allora Organizzazione dell’Unità Africana nel settembre 1990.
C’erano condizioni imprescindibili che dovevano essere soddisfatte prima che Mandela iniziasse i negoziati. Queste includevano la fine dell’esproprio e della violenza sponsorizzata dallo stato contro i sudafricani neri, il rilascio dei prigionieri politici e il ritorno degli esuli. Quando i palestinesi chiedono le stesse condizioni prima di partecipare al tavolo dei negoziati, vengono definiti irragionevoli e testardi.
I sostenitori di Israele si sono convinti che i palestinesi sono l’opposto di ciò che Mandela rappresentava. Ogni volta che i palestinesi si oppongono alla cooptazione israeliana, viene detto loro che Madiba non si sarebbe mai comportato così.
Nella loro immaginazione, Mandela, a differenza di Yasser Arafat, avrebbe accettato posti di blocco, costruzione di insediamenti illegali, e sette anni di negoziati infruttuosi durante gli accordi di Oslo e Camp David.
Nella loro immaginazione, Nelson Mandela, a differenza di Mahmoud Abbas, avrebbe accettato l’accordo segreto del Bantustan palestinese di Ehud Olmert, nel 2008, scarabocchiato frettolosamente su un tovagliolo. I Madiba che hanno creato non avrebbero mai respinto “l’accordo vitale” di Israele di uno stato palestinese smilitarizzato con i suoi principali centri separati l’uno dall’altro e Israele che controlla il movimento tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, lo spazio aereo palestinese, la politica economica ed estera, risorse idriche e confini.
Il Mandela che esiste nell’immaginario degli avvocati di Israele era sempre disposto a compromettere la giustizia e la dignità. Il vero Mandela, tuttavia, respinse diverse “offerte generose” dal governo dell’apartheid compreso un rilascio anticipato se avesse rinunciato alla lotta armata, ceduto i diritti del suo popolo e si fosse esiliato nel Transkei Bantustan.
I sostenitori di Mandela il perdonatore dimenticano che Madiba non ha mai ceduto su alcuna questione che potesse compromettere il suo obiettivo finale: la liberazione dei sudafricani. Durante i negoziati, lui e i suoi compagni, come i palestinesi, spesso non hanno scelto alcun accordo se non uno che soddisfacesse il minimo indispensabile in termini di dignità e diritti umani.
Negli ultimi 20 anni Israele non è mai entrato in trattative di pace per negoziare con i palestinesi. Ha usato il processo di pace come un giocattolo per tenere occupati i palestinesi (letteralmente e figurativamente) mentre consolidava violentemente l’occupazione della Cisgiordania e intensificava l’assedio di Gaza. Ma, affinché il “processo di pace” continuasse, Israele poteva mettere a tacere le richieste di boicottaggio. Ciò sarà più difficile da fare ora che i leader israeliani discutono apertamente dell’annessione, ammettendo che non ci sarà mai uno stato palestinese.
Abbiamo bisogno dell’eredità di Nelson Mandela più che mai in Palestina-Israele, non per predicare sul perdono e la riconciliazione, ma per elaborare soluzioni politiche radicate nella giustizia e nella dignità. La più grande lezione che Israele e i suoi sostenitori possono imparare dalla vita di Nelson Mandela è che la pace, il perdono e la riconciliazione arriveranno solo quando tutte le persone godranno di giustizia, libertà e dignità
Zwelivelile “Mandla” Mandela, deputato (nato il 21 giugno 1974) è il capo del Consiglio tradizionale di Mvezo e il nipote dell’icona Nelson Mandela. Si è laureato in Politica all’Università di Rodi nel 2007.
Traduzione per Invictapalestina.org di Beniamino Rocchetto.