Come il Sionismo travisa la storia. Un caso italiano. Parte II

Di A.S. In questa seconda parte si prende in considerazione  il secondo articolo dell’autore che porta avanti la tesi secondo cui in Palestina, a differenza delle comunità ebraiche che erano rimaste lì per migliaia di anni,  in realtà non ci fosse mai stata una popolazione arabo – palestinese che, laddove presente, era ascrivibile ai recenti flussi migratori dalle regioni limitrofe solo dopo il 1922.

E’ ironico come la storiografia sionista  sia solita credere alla sua stessa propaganda e confonda  l’inconfessabile  desiderio di “annullamento” dei palestinesi con la verità storica sulla loro esistenza millenaria in Palestina. Il retro-pensiero a cui questa ricostruzione conduce è che dal momento che le comunità ebraiche a differenza degli arabi, erano sempre vissute lì, non si pone alcun tipo di dilemma morale nell’affermare che Israele è sempre stata degli ebrei e che i Palestinesi non hanno alcun  diritto di rivendicazione storica della regione. Come verrà dimostrato sotto non c’è nulla di più falso.

Entrando nel merito dell’articolo possiamo affermare che gli arabi hanno sempre vissuto in quella regione, accanto a sparute comunità ebraiche. Per smantellare il mito di una regione povera e disabitata prima dell’arrivo dei coloni ebrei cominciamo con il citare proprio fonti sioniste, laddove Ben Gurion  dichiarò già nel 1918 che “la Palestina non è un paese vuoto[1]” attraverso  la testimonianza di Shabtai Teveth uno dei biografi ufficiali del futuro primo ministro israeliano che dichiarò in un articolo pubblicato nel 1918:

“La Palestina non è una regione vuota… per nessun motivo dobbiamo calpestare i diritti degli abitanti [2]” .

Una visione piuttosto pacifica che muterà presto nella mente del leader sionista. A riprova di ciò si allega la pagina del libro che fu concepito e edito da Ben Gurion stesso in cui si legge che gli ebrei costituivano il 12% della popolazione totale palestinese come da 1914.[3]

Non solo la maggioranza degli ebrei non aderiva alla neo-ideologia sionista in Palestina (per stessa ammissione di Ben Gurion), ma non erano neanche cittadini della regione dal momento che molti erano recentemente fuggiti dallo Zarismo antisemita in Russia.

La dichiarazione che la regione palestinese dell’Impero Ottomano fosse abbandonata e incolta prima del 1914, o comunque prima della prima Alyah del 1882, è tra i falsi storici più ripetuti dalla narrativa sionista. Esistono studi demografici e ricerche  storico-archivistiche riprese anche da illustri accademici israeliani tra cui Benny Morris e Tom Segev o tra i più eminenti studiosi e demografi dell’Impero Ottomano, Justine McCarthy, Roberto Bachi, Stanford J. Shaw, Yeoshua Ben Arieh, Kemal Karpat che hanno fornito e documentato un quadro diverso della storia: la popolazione della Palestina all’inizio del 19° secolo si aggirava tra le 300.ooo –  350.000 unità, e nel 1914  aveva una popolazione di 657.000 arabi musulmani, 81.000 arabi cristiani e 59.000 ebrei (inclusi molti quelli della prima e seconda aliyah)[4]. Dunque la popolazione ebrea in Palestina come dal 1914 era sotto l’8% della popolazione complessiva, molto minore di quella palestinese cristiana e araba complessiva.

A proposito di Israel Zangwill è curioso che lo si citi a riguardo delle cifre demografiche per sostenere la tesi dell’autore. Già nel 1905 questi dichiarò infatti:

La Palestina propriamente ha già i suoi abitanti. Il pashalik [distretto giurisdizionale] di Gerusalemme è già due volte più  densamente popolato degli Stati Uniti, avendo 52 mila anime per miglio quadrato, e neanche il 25% di essi è ebreo… (noi) dobbiamo essere pronti o a cacciare con la spada le tribù (arabe ) in possesso come fecero i nostri antenati o venire alle prese di un’ampia popolazione straniera, la maggior parte maomettani e abituati per secoli a disprezzarci[5] [6]”.

In altre parole, i palestinesi furono riconosciuti dalla leadership sionista come “umani” che popolavano la Palestina, comunque quella non era una ragione abbastanza buona per garantire loro gli stessi diritti politici degli ebrei, che per la maggior parte vivevano fuori dalla Palestina. Conseguentemente questa ideologia fu il preludio per l’espropriazione all’ingrosso e la pulizia etnica dei palestinesi durante la guerra del 1948.

Subito dopo il I Congresso Sionista di Basilea  nel 1897 , una delegazione sionista fu mandata in Palestina per una missione di accertamento di fatti  e per esplorare la fattibilità di stabilire in Palestina gli ebrei perseguitati europei. La delegazione rispose dalla Palestina con un telegramma che dichiarava:

La sposa è bella, ma è sposata a un altro uomo[7]”.

Nonostante molti sionisti fossero consapevoli di tale “matrimonio felice” già nel 1897 , scelsero deliberatamente di terminare questa relazione dal momento che pensavano che i diritti degli ebrei fossero più importanti dei diritti dei palestinesi. Il divorzio forzato della Palestina dalle sue genti indigene fu articolato in modo eloquente da Ze’ev Jabotinsky, il fondatore della destra politica israeliana, che nel 1926 affermò che

la tragedia sta nel fatto che qui c’è una collisione tra due verità… ma la nostra giustizia è più grande.  L’arabo è culturalmente arretrato; ma il suo istintivo patriottismo è tanto puro e nobile quanto il nostro; non può essere comprato può essere solo vinto… forza maggiore [8]“.  

Proseguendo nella lettura dell’articolo troviamo un altro interessante riferimento:

“Sulla demografia palestinese fra fine XIX e prima metà del XX secolo, uno dei lavori più interessanti è stato svolto da Joan Peters nel libro From Time Immemorial, in cui dimostra come l’aumento della popolazione araba fu dovuto essenzialmente all’immigrazione ebraica. Nel suo libro (criticato dal sostenitore di Hamas N. Finkelstein con argomenti mediocri che vi invito a leggere), la Peters divide la Palestina Mandataria (più grande di quella intesa oggi) in tre parti: Area senza insediamenti Ebraici; Area con pochi insediamenti Ebraici; Area con molti insediamenti Ebraici…”.

E’ molto curioso che si scelga di citare questa fonte ed è stato ancora più ironico decidere di ignorare la totale sconfessione del mondo accademico su quest’opera relegandola a una critica singola  “con argomenti mediocri” di Norman Finkelstein definito “amico di Hamas”. Se si vuole fare storia, bisogna anzitutto citare fonti storiche, elaborate e riprese da storici che esaminano cifre e dati in questione e smentiscono o corroborano le proprie ipotesi in relazione ai risultati della prima operazione. Ebbene, per il lettore che non ne avesse conoscenza,  Joan Peters è un’autrice, non una storica, la cui opera in questione “From Time Immemorial” è stata smentita, sconfessata, confutata in ogni sua sezione sia per il metodo da essa adoperato (utilizzando e confrontando in maniera faziosa ed impropria i dati del prof. Kamal Karpat) sia per  la conseguente tesi di fondo che scaturisce dal suo libro. Ma a confutare l’autrice e la relativa tesi che sostiene (che è la stessa dell’articolo qui in analisi) non è stato qualche singolo amico di qualche fazione politica palestinese, bensì tutto il mondo accademico americano (inclusi molti ebrei americani) tra cui Noam Chomsky, Edward Said, Christofer Hitchens, il professore Albert Hourani della Oxford University e altri ancora. Riguardo Finkelstein, questi ha analizzato ogni singolo  riferimento storico e le presunte fonti documentali dell’autrice registrando un numero di falsi cui si stentava a credere. Il libro è stato sezionato e smentito sistematicamente nel suo libro “Blaming the Victims”, ma questi non fu il solo a irridere l’opera della sedicente storica. Lo stesso Chomsky afferma nell’articolo “The fate of an Honset intellectual” che

Anyhow, by that point the American intellectual community realized that the Peters book was an embarrassment, and it sort of disappeared — nobody talks about it anymore[9]”.

Paul Blair, saggista e intellettuale americano ha dedicato una scrupolosa “vivisezione” in sei parti del libro e del modus operandi dell’autrice ed è giunto alle seguenti conclusioni:

From Time Immemorial è un lavoro di propaganda, con tutte le connotazioni negative che il termine comporta. La tesi della Peters poggia sulla distorsione e invenzione. Di volta in volta fraintende le fonti in maniera tendenziosa. Plagia in maniera acritica da lavori faziosi. Nasconde calcoli cruciali  ed estrae conclusioni forti da tenui evidenze.  Fa ampie speculazioni  senza fondamento. Amplifica cifre e seleziona numeri per seguire la sua tesi. Adduce evidenze che in alcun modo supportano le sue dichiarazioni a volte addirittura omettendo porzioni “scomode” di citazioni. Inventa contraddizioni in fonti che vorrebbe screditare citandole fuori contesto. “Dimentica” cifre sconvenienti per i suoi calcoli. Ignora fonti che mettono in dubbio le sue conclusioni anche se lei stessa usa quelle stesse fonti per i suoi propositi. Fa insinuazioni senza fondamento e asserzioni fuorvianti[10]”.

Procedendo l’articolo in questione si fa riferimento all’altro mito parallelo a quello di una Palestina disabitata prima dell’arrivo sionista, ovvero che la regione fosse in uno stato di abbandono e di aridità pressoché totali laddove si cita  H. B. Tristram, in “ The Land of Israel, A Journal of Travels in Palestine (1865) che  scrisse nel suo diario:

Le terre a sud e a nord della pianura di Sharon non sono più coltivate e interi villaggi stanno scomparendo rapidamente dalla faccia della Terra. Dal 1838 non meno di 20 villaggi sono stati cancellati dalle mappe [dai Beduini] e la popolazione stanziale è stata estirpata.”

La narrazione della terra disabitata e incolta, come accennato sopra, è molto frequente e qui di seguito si mostrerà l’infondatezza storica  di tale tesi. Che durante l’Impero Ottomano non ci fossero censimenti e inchieste statistiche così come siamo abituati a pensarle oggi, è un dato corretto. Ma una cosa è affermare che un’inchiesta demografica vera e propria non sia mai stata realizzata e un’altra è trarre la conclusione che non vi fossero altre tipologie di fonti atte a confermare la presenza umana o tracce demografiche nella Palestina storica,  all’epoca provincia della Siria meridionale. Ebbene da filoni di studi storici mediorientali  e da studi demografici sull’ambito, sono state prodotte e studiate fonti e prove documentali che attestano e comprovano il fatto che la Palestina fosse una regione abitata anteriormente alla prima aliyah sionista e, no, non solamente da qualche sparuto insediamento ebraico.

Come mostrato dalla tabella sotto, si può rintracciare nel corso della storia una certa continuità di abitazione della terra nonostante le cifre mostrate risentano di una certa approssimazione fisiologica per certe rilevazioni demografiche. Il dato da rilevare resta comunque la costante benché eterogenea presenza umana nella regione. [11]

Continuando nella disamina della questione demografica è stato registrato da più fonti che la regione ha visto in realtà già dalla seconda metà del XIX secolo un incremento demografico, ma non da parte della netta minoranza ebraica, o almeno non primariamente, bensì da parte dagli arabi indigeni che  abitavano lì da secoli. Nell’immagine sotto si può constatare come nel 1850 la totalità di abitanti si aggirasse tra i 300.000 e 350.000[12]

[13] [14]

Benché non vi fosse stato, nell’Impero Ottomano una raccolta scrupolosa e dettagliata di inchieste statistiche sulla popolazione, gli storici hanno riportato e studiato altri sistemi di registrazione della popolazione. Sotto il Sultano Mahmud II (1808 – 1839) ci fu una spinta governativa alla registrazione dei sudditi. I motivi fondamentali per una tale operazione si possono identificare su un doppio versante, il primo di natura fiscale: il vasto impero aveva bisogno di sapere chi potesse essere tassato e chi no. La seconda motivazione era che i sudditi dovevano essere soggetti a coscrizione per confluire e ingrossare  le fila dell’esercito. Sotto Abdülhamid II (1876 – 1909) questa spinta alla registrazione dei sudditi venne intensificata. Il governo ottomano pubblicò due registri di popolazione “ad uso pubblico” e queste sono :

“ Devlet-i- Aliye-i Osmaniye’nin 1313 Senesine Mahsus Istatistik-i Umumisi[15]” ovvero  “General Statistics of the Ottoman Empire in 1313 [1895-96 nel calendario Gregoriano]

“ Memalik-i Osmaniye’nin 1330 Senesi Nüfus  Istatistiği [16]” ovvero “Statistics of the Ottoman Empire for the year 1330 [1914-15 Gregoriano]” .

Accanto a questi sistemi di registrazione centrale esistevano liste di popolazione ad uso burocratico interno, compilati in diverse occasioni. Tra le più rilevanti si citano qui due delle fonti più preziose scoperte tra i documenti d’archivio governativi rispettivamente dal prof. Kemal Karpat, “The Census of 1881/82- 1893 [17]” (Census I) e il secondo scoperto dallo storico Stanford J. Shaw “Istanbul University MS TY 947 [18]”  (Census II).

Accanto a i “censimenti” emanati a livello centrale esisteva poi un sistema di registrazione locale: i governatorati provinciali possedevano ciò che equivaleva a “uffici di censimento” (nüfus dairesi) che erano soliti pubblicare tavole della popolazione nei Libri degli Annali delle Province. Mentre a livello strettamente locale i funzionari ufficiali della popolazione (nüfus memurlari) registravano dati per ciascun individuo dai registri di famiglia (tahrir-i nüfus). La nomenclatura Ottomana per le unità  amministrative, mantenuta nelle tavole mostrate sotto, era : vilayet (provincia), sanjak (sub – provincia) e kaza (distretto).

Ora, se dovessimo comparare i “censimenti” e le registrazioni effettuate sotto l’Impero Ottomano agli attuali sofisticati censimenti che siamo abituati a conoscere, potrebbero essere ugualmente attendibili ? Ovviamente no! Le due tipologie non sono in alcun modo equiparabili.  Possono, tuttavia queste informazioni, nei limiti economici, temporali e  strumentali con cui sono state registrate, essere  fonte e testimonianza del fatto che la regione Palestinese fosse abitata da popolazioni indigene? Si, le attestazioni storiografiche sono state utilizzate da diversi filoni di studi  per testimoniare la presenza umana in quel luogo.

La registrazione della popolazione palestinese fu pubblicata per la prima volta nel Libro degli Annali della Provincia Syriana per l’anno 1288 (“nostro” 1871-72). L’attuale Palestina era iscritta nella provincia di Beirut, per l’area Nord (Acre, Balqa/Nablus) e nella provincia di Gerusalemme per l’area Sud.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Com’era in uso al tempo, i censimenti  sulla popolazione venivano effettuati in base alla religione. Evitando al lettore la lettura dei dati rispetto a ogni religione per ognuna delle tre sub-province, si mostra sotto la tavola della popolazione particolarmente pregnante per il discorso demografico complessivo.

[19]

La tesi della migrazione araba in conseguenza dell’arrivo e formazione dei primi insediamenti ebraici è pertanto totalmente infondata.  Di seguito si prende in esame da vicino questa tesi smontandola con i dati a disposizione.  Anzitutto, come nel precedente articolo, l’autore coltiva il vizio di omettere totalmente il contesto storico degli avvenimenti riservandosi di inserirli e collegarli  a proprio piacimento tentando di corroborare le proprie tesi. Contestualizzando la questione della migrazione interna nel contesto economico generale del Medio Oriente di fine XIX secolo e primo XX secolo si osserva che un cambiamento economico radicale stava avvenendo in tutto il bacino  Mediterraneo in quel frangente storico. L’incremento dei trasporti, la grande attività mercantile e l’espansione delle  attività industriali accrebbero le possibilità  occupazionali nelle città, specialmente quelle costiere. Contemporaneamente un incremento della popolazione comportò la presenza della cosiddetta “manodopera di riserva” che si sarebbe spostata nei centri urbani per lavoro. Un aumento differenziale della popolazione stava manifestandosi in tutto l’est del Mediterraneo, non solo in Palestina. Ma l’incremento di popolazione araba non ha avuto nulla a che vedere con l’immigrazione ebrea: infatti, come dimostrato dal demografo J. McCarthy, la provincia che ebbe la più grande crescita di popolazione ebrea ( tasso annuo di  .035 ) ovvero Gerusalemme, fu la provincia col più baso tasso di crescita della popolazione musulmana ( tasso annuo di .009 ). La provincia che ebbe la più alta crescita musulmana, la provincia di Acre ( con un tasso annuo di .020) non mostrò alcun risultato della supposta potenza di trazione della immigrazione ebrea. Il distretto di Acre, che ebbe una esigua immigrazione ebrea, ebbe quasi lo stesso  tasso di crescita di popolazione musulmana che  ebbe quello di Haifa, che fu il centro dell’immigrazione ebrea (Acre: tasso annuale di . 017  ; Haifa: tasso annuale di .018 ; tratto dalla comparazione di cifre in “Census I “e  “Statistics of the Ottoman Empire for the year 1330  [1914-15 Gregoriano] ).  In più, i maggiori centri ebraici nei distretti di Tiberiade e Safad in realtà ebbero i più bassi tassi di crescita della popolazione araba rispetto al distretto di Nazareth, che non  ebbe quasi alcuna presenza ebraica.

Un’ulteriore e finale precisazione rispetto all’articolo in questione quando si cita il presunto beneficio economico dell’immigrazione Sionista verso i cittadini arabi si omette di menzionare che da statuto del Jewish National Found il lavoro fosse riservato ai soli ebrei[20](principio del “Jewish Labor”), oltre che menzionare quali specifiche aree siano coinvolte. Nel citato articolo che fa riferimento al fantasioso lavoro della Peters,  si fa riferimento a 92.300 “non ebrei” (di questi 92.300 non ebrei 38.000 erano cristiani) in aree di insediamenti ebraici nella “Palestina occidentale” nel 1893, contro i circa  60.000  ebrei. Come menzionato sopra tra i numerosi errori metodologici che si osservano da una disamina dell’opera,  l’autrice omette di identificare le fonti tranne che in termini generici (Cuinet) non menzionando come le cifre sono desunte dalle fonti a cui allude. In seguito, benchè la cifra di 92.300 unità sia fatta derivare dal “Turkish Census of 1893” che estrae dai calcoli  sui registri di popolazione del prof. Karpat, nuovamente omette di specificare quali aree sono incluse negli “insediamenti ebraici” e nessuna combinazione dei distretti elencati dal prof Karpat corrisponde alla sue cifre. Inoltre l’autrice ignora il funzionamento della registrazione ottomana confondendo l’anno di pubblicazione, 1893, con l’anno in cui le statistiche sono state raccolte in un unico documento; confronta i dati di Cuinet della popolazione ebraica per l’intero distretto di Gerusalemme e le compara alle cifre del “Turkish Census” della popolazione araba della sola Gerusalemme urbana, evidentemente più ristretta, dimostrando di mischiare non solo le fonti ma anche le unità geografiche.

Rispetto alla questione dei cognomi tipici di altre  regioni limitrofe a riprova del carattere intrinsecamente  “migratorio” dei palestinesi risulta un’operazione assai ironica se la si prendesse e applicasse pari pari agli ebrei di Israele e ai loro padri emigrati da diverse regioni d’Europa nel ‘900. Quanti Cohen, Abramovitz, Ackermann, Barenboim  ecc. giunsero durante le migrazioni sioniste? Questa forte “eterogeneità geografica patronimica” autorizzerebbe forse ad  escludere il carattere di popolo agli ebrei di allora  e di oggi?

Per concludere, si sarebbe potuto continuare molto ancora, comparando i dati mandatari della popolazione ebraica e di quella araba rispetto alla proprietà di terra e relativa coltivazione, ma il tempo e lo spazio a disposizione  impongono di fermarsi qui. Un’ultima riflessione va all’autore dell’articolo cui il presente prende le mosse. E’ ovvio che l’intenzione sotterranea che ha mosso quello scritto è meramente politica giammai storica. La qual cosa  sarebbe stata più o meno comprensibile politicamente ma non accettabile da una prospettiva storica ed epistemologica  in quanto incompatibile con la parvenza di decostruzione storicistica – imparziale che tenta di assumere. Tanto vale gettare la maschera e portare argomenti e tesi a sostegno del “proprio partito” in maniera conclamata piuttosto che fingersi paladini di una terzietà ed imparzialità quanto mai distanti dall’essere autentiche.

[1] S. Teveth, ”Ben-Gurion And The Palestinian Arabs, From Peace to War” Oxford University Press  May 2, 1985

[2] Ivi

[3]D.B. Gurion, “The Jewish in their land “, 1966 Aldus Books Limited, London

 

 

 

 

 

 

 

[4]J. McCarthy, “The population of Palestine:  population history and statistics of the late Ottoman period and the Mandate”  Columbia University Press / New York 1990

[5] B. Morris, “Righteous Victims. A History of the Zionist Arab Conflict 1881-2001” pag. 140  Vintage Ed.

[6] N. Masalha, “Expulsion of the Palestinians. The Concept of Transfer in Zionist Political Thought, 1882-1948” pag. 7-10   Institute for Palestine Studies;  January 1, 1992

[7]A. Shlaim, “ The Iron Wall. Israel and the Arab World ” pag. 3, W. W. Norton & Company; 59887th Ed., January 17, 2001

[8] B. Morris, “Righteous Victims. A History of the Zionist Arab Conflict 1881-2001” pag. 108 ,  Vintage Ed.  

[9]N. Chomsky,” Understanding the Power” ,  the New Press 2002 pag. 244 – 248

[10] https://www.serendipity.li/zionism/joan_peters.htm

[11]R. Bachi, “The population of Israel”, Jerusalem, 1976 tratto da J. McCarthy, “The population of Palestine:  population history and statistics of the late Ottoman period and the Mandate” pag. 1, Columbia University Press / New York 1990

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[12] Ivi

[13] J. McCarthy, The Population of Palestine. Population History and statistics of the late Ottoman period and the Mandate, Columbia University Press / New York 1990

 

 

 

 

 

 

 

 

[14] Ivi

[15] Ottoman Empire, Nezaret-i Ticaret ve Nafia, Devlet-i Aliye-i Osmaniye’nin 1313 Senesine Mahsus Istatistik-i Umumisi (“General Statistics of the Ottoman Empire in 1313, 1895”) , Istanbul, 1315M (1897).

[16] Ottoman Empire, Dahiliye Nezareti, Sicil-i Nufus Idare-i Umumiyesi Muduriyeti, Memalik-i Osmaniye’nin 1330 Senesi Nüfus  Istatistiği (“Statistics of the Ottoman Empire for the year 1330”) , Istanbul, 1330M (1914)

[17]  Istanbul University MS TY 4807 (Ottoman Census I) riprodotto in K. Karpat, “Ottoman Population Records and the Census of 1881/82-1893”, in  International Journal of Middle East Studies ; May 1978

[18] Istanbul University MS TY 947  (Ottoman Census II) riprodotto in  S.J. Shaw, “The Ottoman Census System and Population” in International Journal of Middle East Studies; August 1978

[19] J. McCarthy, The Population of Palestine. Population History and statistics of the late Ottoman period and the Mandate, Columbia University Press / New York 1990

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[20] Jewish Agency Constitution, Jewish Daily Bulletin; August, 9- 1929, http://pdfs.jta.org/1929/1929-08-09_1436.pdf

La I parte: Come il Sionismo travisa la Storia. Un caso italiano. Parte I

A.S. Psicologo; collabora con riviste online per la pubblicazione di articoli e traduzione-ripubblicazione da testate estere, e ha collaborato con il network dei traduttori “Tlaxcala.org” e con la rivista “Diritti &Rovesci” con articoli di cultura e attualità.
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