Come la narrazione palestinese sulla Nakba ha sconfitto il negazionismo israeliano

Arabnews.com. Di Ramzy Baroud. (Da InvictaPalestina.org). Il prossimo anniversario della Nakba, il 15 maggio 2023, sarà il primo ad essere ufficialmente commemorato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Questa decisione della più grande istituzione democratica del mondo è significativa, se non un punto di svolta.

Per quasi 75 anni, la Nakba, la “Catastrofe” provocata dalla pulizia etnica della Palestina da parte delle milizie sioniste nel 1947-48, è stata il centro della tragedia palestinese, così come la lotta collettiva palestinese per la libertà.

Tre decenni fa, dopo la firma degli Accordi di Oslo tra Israele e la dirigenza palestinese nel 1993, la Nakba ha praticamente cessato di esistere come variabile politica rilevante. I palestinesi sono stati esortati a superare quella tragedia e a investire le loro energie e il loro capitale politico in un obiettivo alternativo e più “pratico”: un ritorno ai confini del 1967. Nel giugno 1967, Israele occupò il resto della Palestina storica, Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza, innescando un’altra ondata di pulizia etnica.

Sulla base di queste due date, i promotori occidentali di Oslo hanno diviso i palestinesi in due campi: Gli “estremisti” che insistevano sulla centralità della Nakba del 1948 e i “moderati” che accettarono di spostare il centro di gravità della storia e della politica palestinese al 1967.

Tale revisionismo storico ha avuto un impatto su ogni aspetto della lotta palestinese: ha frammentato i palestinesi ideologicamente e politicamente; ha relegato l’importanza del diritto al ritorno per i profughi palestinesi, sancito dalla Risoluzione 194 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; ha risparmiato a Israele la responsabilità legale e morale per il suo insediamento violento sulle rovine della Palestina, e altro ancora.

Il principale storico della Nakba Salman Abu Sitta ha spiegato in un’intervista di alcuni anni fa la differenza tra la cosiddetta politica pragmatica di Oslo e la lotta collettiva dei palestinesi come differenza tra “obiettivi” e “diritti”. I palestinesi “non hanno ‘obiettivi’ ma diritti”, ha detto. “Questi diritti sono inalienabili, rappresentano il limite minimo oltre il quale nessuna concessione è possibile. Perché farlo distruggerà la loro vita”.

Infatti, spostare la centralità storica della narrazione dalla Nakba equivaleva alla distruzione delle vite dei profughi palestinesi, come è successo tragicamente a Gaza, in Libano e in Siria negli ultimi anni.

Mentre i politici di tutte le parti interessate continuavano a lamentarsi dello “stagnante” o addirittura “morto” processo di pace, spesso incolpandosi a vicenda per quella presunta calamità, era in atto un diverso tipo di conflitto. Da un lato, i comuni palestinesi, insieme ai loro storici e intellettuali, si sono battuti per riaffermare l’importanza della Nakba, mentre gli israeliani hanno continuato a ignorare quasi completamente quell’evento sconvolgente, come se non avesse alcuna conseguenza per l’altrettanto tragico presente.

La Grande Marcia del Ritorno di Gaza nel 2018-2019 è stata forse l’azione palestinese collettiva e duratura più significativa che ha tentato di stringere la nuova generazione intorno alla memoria della tragedia palestinese. Più di 300 persone, per lo più della terza o quarta generazione post-Nakba, sono state uccise da cecchini israeliani al confine di Gaza per aver chiesto il loro diritto al ritorno. Gli eventi sanguinosi di quegli anni sono bastati a dirci che i palestinesi non hanno dimenticato le radici della loro lotta, mentre hanno anche illustrato la paura di Israele per la memoria palestinese.

Il lavoro di Rosemary Sayigh sull’esclusione della Nakba come trauma, insieme a quello di Samah Sabawi, dimostrano non solo la complessità dell’impatto della Nakba sulla consapevolezza collettiva palestinese, ma anche la continua negazione, se non cancellazione, di essa dai dibattiti accademici e storici.

“L’evento traumatico più significativo nella storia palestinese è assente dalla ‘categoria trauma’”, ha scritto Sabawi nel volume recentemente pubblicato, “Our Vision for Liberation” (La Nostra Visione per la Liberazione). Sayigh ha sostenuto che “la perdita del riconoscimento dei diritti (dei rifugiati palestinesi) al popolo e alla statualità creati dalla Nakba ha portato a un’eccezionale vulnerabilità alla violenza”, con la Siria che ne è l’ultimo esempio.

Israele ne è sempre stato consapevole. Quando i leader israeliani hanno accettato il modello politico di Oslo, hanno capito che rimuovere la Nakba dal dibattito politico della dirigenza palestinese costituiva una vittoria importante per la narrativa israeliana.

Tuttavia, grazie ai comuni palestinesi, coloro che non si sono arresi, conservando le chiavi e agli atti di proprietà delle loro case e terre originarie nella Palestina storica, la storia viene finalmente riscritta, tornando alla sua forma originale e accurata. Con l’approvazione della Risoluzione A/77/L.24, che ha dichiarato il 15 maggio 2023 “Giornata della Nakba”, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha corretto un errore storico.

L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite Gilad Erdan ha giustamente interpretato la decisione delle Nazioni Unite come un passo importante verso la delegittimazione di Israele come occupante militare della Palestina. “Provate a immaginare la comunità internazionale che commemora il giorno dell’indipendenza del vostro Paese definendolo una Catastrofe. Che umiliazione”, ha detto.

Nelle osservazioni di Erdan e in altre risposte dei funzionari israeliani non c’era il minimo accenno di responsabilità politica o addirittura morale per la pulizia etnica di oltre 530 città e villaggi palestinesi e l’espulsione di oltre 750.000 palestinesi, i cui discendenti profughi ora sono milioni.

Non solo Israele ha passato decenni a negare e cancellare la Nakba, ma l’ha anche criminalizzata approvando quella che oggi è conosciuta come la Legge sulla Nakba del 2011. Ma più Israele si impegna in questa forma di negazionismo storico, più i palestinesi lottano duramente per reclamare i loro diritti storici.

Il 15 maggio 2023, Giornata della Nakba delle Nazioni Unite, rappresenta il trionfo della narrativa palestinese su quella dei negazionisti israeliani. Ciò significa che il sangue versato durante la Grande Marcia del Ritorno di Gaza non è stato vano, poiché la Nakba e il Diritto al Ritorno sono ora tornati al centro della storia palestinese.

Ramzy Baroud è un giornalista e redattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “La Nostra Visione per la Liberazione: Leader Palestinesi Coinvolti e Intellettuali Parlano”. Il Dr. Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Centro per l’Islam e gli Affari Globali (CIGA), Università Zaim di Istanbul (IZU).

(Immagine di copertina: Palestinesi lasciano  la Galilea nel 1948 (Wikimedia Common).

Traduzione di Beniamino Rocchetto per Invictapalestina.org