The Electronic Intifada. Di David Sheen. (Da Assopacepalestina.org). Le atrocità contro i neonati che il capo dell’unità di soccorso nazionale dell’esercito israeliano ha affermato essere state commesse dai combattenti di Hamas quando hanno attaccato un kibbutz israeliano il 7 ottobre, erano in realtà luride storie inventate dall’ufficiale stesso, destinate a fornire un pretesto per il genocidio nella Striscia di Gaza e a proteggere i veri autori del massacro: i soldati di Israele, che hanno agito su ordine di un generale di alto livello.
Mentre le forze israeliane riconquistavano i territori temporaneamente invasi quel giorno da Hamas, il comandante dell’unità di soccorso nazionale del Comando del Fronte Interno dell’esercito israeliano, colonnello Golan Vach, ha guidato il recupero dei cadaveri dalla regione, che si estendeva su un’area di centinaia di chilometri quadrati. Una settimana dopo, Vach ha cominciato ad affermare che i combattenti di Hamas avevano brutalmente giustiziato “otto bambini” in un’unica casa del kibbutz Be’eri.
“Erano concentrati lì, li hanno uccisi e li hanno bruciati”, ha detto Vach a una folla di giornalisti il 14 ottobre, indicando attraverso una finestra sfondata il salotto carbonizzato di Pessi Cohen, una residente del kibbutz.
Secondo gli unici due prigionieri sopravvissuti al bagno di sangue, tuttavia, nella casa di Pessi Cohen sono morti in totale 13 civili, compresa la stessa Cohen, e nessuno era un bambino o un neonato.
Erano tutti di mezza età o più anziani, tranne due gemelli adolescenti presi in ostaggio dalla porta accanto.
Nessuno dei 13 civili uccisi è stato giustiziato e solo uno di loro è stato certamente ucciso dai combattenti di Hamas che hanno conquistato il kibbutz casa per casa la mattina del 7 ottobre, dicono i sopravvissuti. Gli altri 12 sono stati uccisi ore dopo, durante la controffensiva di Israele per riconquistare il territorio.
Dopo un’accesa discussione telefonica con il comandante di una forza di decine di combattenti Qassam che si era trincerata nella casa della Cohen a Be’eri, la polizia israeliana è arrivata a metà pomeriggio con le armi spianate.
Almeno due prigionieri sono stati uccisi nelle ore di fuoco incrociato che ne sono seguite, ma molti se non tutti i restanti 10 prigionieri, insieme a tutti i combattenti di Qassam rimasti, sono stati uccisi nel momento finale della battaglia, inceneriti a morte o dilaniati dalle schegge causate da due proiettili di carro armato che le forze israeliane hanno sparato direttamente sulla casa.
Israele uccide i suoi: la direttiva Hannibal.
Un’inchiesta di dicembre del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth ha rivelato che Israele ha messo in atto contro i propri civili catturati il 7 ottobre una versione della direttiva Hannibal: Israele ha usato una forza letale schiacciante anche a rischio di uccidere israeliani insieme ai loro rapitori palestinesi, al fine di evitare di lasciarli vivi ma prigionieri a Gaza e per evitare di dover pagare un prezzo politico elevato per il loro ritorno.
Sebbene l’applicazione della direttiva Hannibal da parte di Israele sia stata molto frequente il 7 ottobre, la sua applicazione a casa Cohen si distingue per il fatto che in quel luogo sono stati uccisi più prigionieri che in qualsiasi altra struttura in quel giorno. Un alto ufficiale israeliano ha definito le azioni dell’esercito in quel luogo un “Hannibal all’ennesima potenza”.
E a differenza di altri prigionieri israeliani uccisi durante il viaggio verso Gaza, questi 12 civili si trovavano ancora a Be’eri, a chilometri di distanza dalla Striscia e a poche centinaia di metri dal cancello del kibbutz, dove erano accampati centinaia di soldati israeliani pesantemente armati, in attesa di ordini.
A febbraio, in seguito alle campagne dei parenti dei civili uccisi nella casa Cohen, l’esercito israeliano ha aperto un’indagine sull’incidente e la demolizione della casa è stata rinviata fino alla fine dell’indagine.
Un parente di tre dei civili che Israele ha incenerito con un colpo di carro armato all’interno della casa Cohen – le gemelle Yanai e Liel Hatsroni, di 12 anni, e la loro prozia e tutrice Ayala, di 73 anni – ha denunciato all’emittente nazionale israeliana Kan che le azioni di Israele sul campo di battaglia sono state un fallimento dal punto di vista dell’analisi costi-benefici.
“Sono disposto a pagare un prezzo: uccidere i nostri civili in cambio di qualcos’altro”, ha detto Omri Shifroni a Kan. “Ma qual è questo qualcos’altro? Avanzare rapidamente? Perché? Perché? Abbiamo forse salvato qualcuno sparando una granata qui?”.
A marzo l’esercito ha negato che i suoi ufficiali abbiano consapevolmente ucciso i prigionieri nella casa della Cohen. “Ogni tentativo di incolpare i soldati e i comandanti dell’IDF come se avessero deliberatamente danneggiato dei civili è sbagliato e assolutamente infondato”, ha dichiarato l’emittente israeliana Kan.
Ma alla fine di dicembre l’ufficiale che ha guidato la riconquista del kibbutz da parte di Israele – il comandante della 99esima Divisione di Fanteria e poi comandante in attesa della Divisione Gaza, Brig. Gen. Barak Hiram – ha ammesso al New York Times di aver ordinato a un carro armato israeliano di sparare granate contro la casa, pur sapendo che all’interno c’erano prigionieri israeliani ancora vivi. “Fate irruzione, anche a costo di vittime civili”, ha ricordato Hiram di aver ordinato al comandante del carro armato.
La rivelazione che gli ordini di Hiram sul campo di battaglia hanno messo fine alla vita di civili israeliani ha suscitato l’indignazione di alcuni israeliani laici. “L’insieme dei valori di messianisti e fascisti – che apparentemente preferiscono la terra e l’uccisione del nemico alla santità della vita – si sta insinuando nell’esercito. È preoccupante e doppiamente inquietante in questo momento in cui i nostri ostaggi sono ancora prigionieri nella Striscia di Gaza”, ha scritto l’attivista israeliana Nava Rozolyo su X, precedentemente noto come Twitter.
Questa critica ha a sua volta scatenato un’ondata di sostegno diffuso per il generale Hiram e la sua applicazione a grande scala della direttiva Hannibal sui civili israeliani.
“Il generale di brigata Barak Hiram e tutti i sionisti religiosi sono accusati di preferire la terra e l’uccisione del nemico alla santità della vita”, ha scritto il presidente del consiglio dei coloni della Cisgiordania Shlomo Neeman sulla rivista israeliana BeSheva. “La terra è più importante della vita? Sì. La terra è più importante della vita”. La terra è più importante della vita”.
“L’amore per questi lembi di terra è iscritto nel cuore dell’intero popolo ebraico”, ha scritto Neeman. “Questo non è un valore per ‘un figlio del sionismo religioso’, è un valore per i figli del sionismo, come lo è per la stragrande maggioranza degli ebrei di questa terra”.
Hiram ha poi comandato alcune delle forze d’invasione israeliane che dall’8 ottobre hanno ucciso più di 36.000 civili palestinesi, ne hanno feriti più di 80.000 e hanno distrutto ogni aspetto della vita nella Striscia di Gaza, compresi ospedali, panetterie, moschee, scuole e università.
L’Università al-Israa di Gaza, l’ultimo istituto di istruzione superiore rimasto in piedi nella Striscia, è stata depredata dei suoi tesori storici, utilizzata per mesi come postazione da cui sparare sui civili palestinesi di passaggio e poi, a gennaio, fatta esplodere interamente su ordine di Hiram.
Hiram è stato poi censurato per aver infranto la catena di comando dell’esercito e aver ordinato la demolizione dell’Università senza l’esplicita approvazione preventiva del suo superiore, il Magg. Gen. Yaron Finkelman. “Se avesse presentato la richiesta di far crollare l’università per la mia approvazione, l’avrei comunque approvata”, ha detto Finkelman, capo del Comando Meridionale di Israele, secondo la radio dell’esercito israeliano.
Se l’ascesa di Hiram nei ranghi dell’esercito è ostacolata da questi incidenti, probabilmente sarà comunque premiato, non punito, per le decisioni prese sul campo di battaglia. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha già intervistato Hiram come il suo prossimo segretario militare, come ha riferito a marzo il quotidiano israeliano Haaretz.
Qualunque sia la sorte di Hiram, è improbabile che l’esercito israeliano approvi pienamente le sue spiegazioni sull’incidente “Hannibal di massa” a casa di Pessi Cohen, o che riveli tutto ciò che sa su ciò che è realmente accaduto lì il 7 ottobre, perché farlo lo costringerebbe a minare un pilastro della propaganda israeliana sugli eventi di quel giorno: la menzogna promossa da Hiram, ma inventata dal comandante dell’unità di soccorso nazionale dell’esercito israeliano, il colonnello Golan Vach.
L’indagine sulla casa di Pessi Cohen inizia immediatamente.
L’indagine di Israele sul bagno di sangue a casa Cohen non è iniziata a gennaio, quattro mesi dopo la battaglia. È iniziata nel giro di 48 ore. Già lunedì 9 ottobre, gli investigatori israeliani hanno raccolto materiale genetico dalla famiglia di uno dei prigionieri uccisi nella casa.
Un’immediata indagine dell’esercito era necessaria per identificare con certezza i nomi dei morti. Il fuoco dei carri armati israeliani ordinato da Hiram non solo uccise tutti gli esseri umani presenti quella notte nell’edificio e nelle sue vicinanze, tranne un civile israeliano, ma sfigurò anche molti dei loro cadaveri al punto da renderne difficile l’identificazione.
Ma prima che Israele potesse elaborare il DNA raccolto, confermare di chi fosse e usare questi dati per costruire il suo resoconto di ciò che successe a casa di Pessi Cohen il 7 ottobre, i fatti fondamentali dell’incidente sono stati stabiliti pubblicamente quando una delle due uniche prigioniere israeliane sopravvissute alla battaglia ha raccontato le sue esperienze in un’intervista televisiva in diretta lo stesso giorno.
Il 9 ottobre, Yasmin Porat, 44 anni, ha raccontato al canale israeliano Channel 12 come era fuggita insieme al suo compagno dal rave Supernova e si era rifugiata a Be’eri. La coppia è stata ritrovata dopo alcune ore dai combattenti di Qassam e poi trattenuta con un gruppo di altri 14 prigionieri nella casa della residente del kibbutz Pessi Cohen.
Durante le ore di prigionia, la sorella di Cohen, Hannah, le raccontò come del gruppo di 15 prigionieri, i combattenti di Qassam avessero ucciso solo suo marito, Yitzhak Siton, “durante l’irruzione“.
“Quando hanno cercato di entrare, [Siton] ha cercato di impedirlo e ha afferrato la porta. Hanno sparato alla porta e lui è stato ucciso”, ha ricordato Porat. “Non li hanno giustiziati”.
Una volta sottomessi, gli israeliani non hanno più subito maltrattamenti da parte dei combattenti palestinesi, ha detto più volte Porat agli intervistatori. “Non ci hanno maltrattato. Ci hanno trattato in modo molto umano”, ha detto Porat alla radio Kan. “Ci hanno dato qualcosa da bere qua e là. Quando vedevano che eravamo nervosi ci calmavano. È stato molto spaventoso, ma nessuno ci ha trattato con violenza”.
Porat si è salvata quando il comandante di Qassam Hasan Hamduna ha negoziato al telefono la sua resa alle forze israeliane e ha attraversato le loro linee a metà della battaglia, portando Porat dalla parte di Israele.
Il comandante Hamduna è stato immediatamente sottomesso, e Porat ha poi spiegato a una serie di comandanti dell’esercito israeliano presenti sul posto, l’ultimo dei quali era il Brig. Gen. Barak Hiram, che decine di combattenti Qassam e circa una dozzina di prigionieri israeliani erano ancora vivi dentro e intorno alla casa. “Perché sparate così tanto?” Porat ricorda di aver chiesto agli ufficiali. “Non ho capito perché sparano così tanto se sanno che qui ci sono degli ostaggi”.
Due giorni dopo la prima intervista video di Porat, l’esercito israeliano ha rilasciato i primi risultati della sua indagine sull’incidente “Hannibal di massa” della casa Cohen, ma solo alla famiglia di un singolo civile israeliano ucciso lì: Il compagno di Porat, Tal Katz.
Le famiglie degli altri 11 israeliani uccisi in quel luogo non sarebbero state informate ufficialmente da Israele della morte dei loro cari fino alla settimana successiva o al mese successivo. La maggior parte è stata informata tra i sei e i sette giorni dopo, mentre la famiglia dei prigionieri bruciati più gravemente – Liel Hatsroni e la sua prozia e guardiana Ayala – è stata informata solo circa sei settimane dopo.
Ma prima che una di queste famiglie israeliane apprendesse l’amara fine dei propri cari, le autorità hanno informato per prima la famiglia di un civile maschio incenerito quasi interamente dai bombardamenti dei carri armati israeliani, tranne i denti. Quei resti corrispondevano al DNA raccolto dalla sua famiglia due giorni prima, il 9 ottobre.
Dei 13 civili uccisi a casa Cohen, la persona a cui Israele ha dato la priorità rispetto a tutte le altre, ironia della sorte, non era un ebreo israeliano, bensì un musulmano palestinese: il ventiduenne Suhayb al-al-Razim di Gerusalemme Est occupata.
Israele ha identificato per primo i corpi di al-Razim e di Tal Katz e ha informato le loro famiglie una settimana prima di tutti gli altri, perché erano gli unici prigionieri uccisi a casa Cohen che non erano residenti noti del kibbutz o loro parenti stretti.
Katz ha cercato rifugio nel kibbutz con la sua compagna Yasmin Porat dopo essere fuggito dal rave di Nova, mentre l’autista del minibus al-Razim, che aveva traghettato i partecipanti al festival, è stato catturato dai combattenti di Qassam e portato a Be’eri, per fare da interprete tra loro e i loro prigionieri di lingua ebraica.
Una volta che l’esercito israeliano ha stabilito l’identità di tutti i civili morti in casa Cohen e che cosa stavano facendo lì, ha iniziato a informare i media sulla battaglia, ma la storia che ha raccontato alla stampa era significativamente diversa dai fatti stabiliti da Yasmin Porat, la prima sopravvissuta a parlare.
L’11 ottobre, il generale Hiram ha dichiarato all’emittente israeliana Walla che le forze sotto il suo comando hanno salvato quattro civili israeliani tenuti in ostaggio in quel luogo, mentre in realtà solo due sono sopravvissuti alla battaglia: Porat e un’altra donna, Hadas Dagan, 70 anni.
Hiram ha anche presentato cifre diverse per il numero totale dei prigionieri e dei sequestratori, indicando in 18 il numero totale di civili sul campo di battaglia e in 20 il numero totale di palestinesi, anche se le cifre reali erano 15 prigionieri civili tenuti in ostaggio da almeno 40 combattenti Qassam. Ha anche affermato di aver trovato, dopo la riconquista del kibbutz, “bambini uccisi nelle loro carrozzine”.
Tutti gli elenchi compilati degli israeliani morti il 7 ottobre e immediatamente dopo rivelano che nessun bambino è stato trovato ucciso in una carrozzina in nessuna delle aree catturate da Hamas quel giorno.
Hiram non era il primo ufficiale israeliano ad accusare Hamas di infanticidi non avvenuti, e non sarebbe stato l’ultimo. Tre giorni dopo la prima serie di interviste di Hiram, la versione dell’esercito sulla battaglia a casa di Pessi Cohen sarebbe cambiata di nuovo, questa volta prendendo una nuova e infelice piega.
Le prime denunce di decapitazioni di bambini sono state rapidamente screditate.
Il Primo Ministro israeliano Netanyahu, attraverso i suoi collaboratori, ha iniziato nei primi giorni dopo il 7 ottobre ad accusare Hamas di aver giustiziato bambini israeliani. I portavoce di Netanyahu hanno insistito sul fatto che le vittime israeliane includevano bambini e neonati a cui era stata “tagliata la testa”, e un alto ufficiale israeliano ha dichiarato alla televisione israeliana i24 che i combattenti palestinesi “tagliano la testa ai bambini”.
La dichiarazione dell’ufficiale, il maggiore Davidi Ben-Zion, ha perso rapidamente credibilità, tuttavia, quando è emerso che egli è il vice capo del consiglio dei coloni israeliani nel nord della Cisgiordania che ha chiesto la pulizia etnica dei palestinesi.
A febbraio 2023, Ben-Zion aveva chiesto in un post sui social media di “spazzare via” un villaggio palestinese, Huwwara, con oltre 5.000 residenti.
Ma l’accusa israeliana che i combattenti di Hamas abbiano tagliato le teste dei bambini è stata minata soprattutto dalla totale mancanza di prove a sostegno.
In realtà, nessuna fotografia o video di un bambino israeliano decapitato quel giorno è mai stata resa pubblica, né dal governo israeliano né da altri.
L’11 ottobre, l’esercito israeliano ha dichiarato che non avrebbe fornito alcuna prova forense a sostegno dell’accusa di infanticidio: “Non ho prove e non le sto cercando”, ha dichiarato a Business Insider il portavoce dell’esercito, il maggiore Nir Dinar.
L’accusa è sembrata rapidamente sgretolarsi sotto la lente d’ingrandimento. Il giorno seguente, un servizio della CNN ha trattato la rivendicazione con un certo scetticismo, citando un funzionario del governo israeliano che ha smentito ogni affermazione sicura di bambini decapitati.
“Ci sono stati casi di militanti di Hamas che hanno eseguito decapitazioni”, ha detto il funzionario senza nome. “Tuttavia, non possiamo confermare se le vittime fossero uomini o donne, soldati o civili, adulti o bambini”, ha aggiunto.
La narrazione ha subito un altro duro colpo quando Joe Biden ha affermato falsamente di aver visto foto di “terroristi che decapitano bambini”, solo che la Casa Bianca ha dovuto ammettere in seguito che né il presidente né altri funzionari statunitensi avevano visto tali immagini e che l’amministrazione non aveva alcuna conferma indipendente delle affermazioni del governo di Netanyahu.
Un ufficiale superiore tira fuori una nuova accusa.
Nel dibattito è entrata una nuova testimonianza in prima persona di un bambino decapitato, questa volta da parte di un testimone di rango superiore, un primo soccorritore con un curriculum impeccabile, abituato a rappresentare Israele sulla scena mondiale.
Si tratta del colonnello Golan Vach, che ha comandato l’unità di soccorso nazionale del Comando del Fronte Interno dell’esercito israeliano per sei anni, dal 2017 a questo gennaio.
Vach ha anche guidato il recupero delle vittime israeliane il 7 ottobre e nei giorni successivi.
Invece di ordinare che la raccolta dei corpi fosse effettuata dalle truppe sotto il suo comando, addestrate dall’esercito per questo compito, Vach scelse di subappaltare il lavoro morboso a un’organizzazione esterna amatoriale che non aveva le competenze necessarie, ma condivideva la sua visione religiosa del mondo: ZAKA.
In ottobre, Vach ha affermato che lo ZAKA si è assunto l’onere di raccogliere i cadaveri perché altri gruppi si erano rifiutati di farlo. “Nessuno era disposto a entrare in quei luoghi, ma [lo ZAKA] era disponibile”, ha detto Vach al gruppo Israel Defense and Security Forum nei giorni successivi agli attacchi del 7 ottobre. Secondo un ufficiale dell’unità del Comando del Fronte Interno addestrata a svolgere il macabro lavoro, tuttavia, i suoi superiori hanno “implorato” i loro comandanti di ricevere l’incarico per cui erano stati addestrati, ma sono stati respinti.
Tre mesi dopo, Vach ha fornito una spiegazione diversa per il coinvolgimento dello ZAKA. “L’ufficiale dell’unità di soccorso nazionale incaricato di raccogliere i feriti e i morti è anche l’ufficiale delle operazioni speciali dello ZAKA, Chaim Otmazgin. È un eccellente ufficiale e anche un buon amico. A mio parere è anche il miglior professionista in questo campo oggi nello Stato di Israele”, ha dichiarato Vach in un’intervista.
“Essenzialmente, lo ZAKA era presente perché Chaim era un ufficiale dell’unità [di soccorso nazionale]”, ha spiegato Vach. “Ha portato una catena di volontari dello ZAKA nei siti in cui ci trovavamo: la festa della natura la notte del 7 ottobre e nei giorni successivi Be’eri, Kfar Aza, Nir Oz, e poi naturalmente tutti gli altri siti”.
A maggio, l’Associated Press ha rivelato che un’adolescente israeliana uccisa nell’attacco del 7 ottobre al Kibbutz Be’eri non aveva subito violenze sessuali da parte di combattenti palestinesi, come Chaim Otmazgin aveva ripetutamente affermato nel parlamento israeliano e sulla stampa internazionale.
Messo finalmente di fronte ai fatti, mezzo anno dopo, dall’AP, Otmazgin ha ritrattato la sua lurida affermazione, dicendo: “Alla fine è risultato che le cose erano diverse, quindi mi sono corretto”.
Fondato da un presunto stupratore di bambini.
Lo ZAKA è uno dei principali fornitori di servizi di emergenza in Israele che, sorprendentemente, è stato fondato da un messianista ebreo arrestato per terrorismo negli anni ’80, anche se non è certo l’unico.
Il difficile lavoro di preparazione dei corpi per la sepoltura è un importante servizio pubblico che lo stato israeliano ha in gran parte affidato a un’organizzazione privata fondata da un terrorista religioso, Yehuda Meshi-Zahav.
Negli anni ’80, Meshi-Zahav ha guidato Keshet, una banda di fanatici ultraortodossi che ha terrorizzato gli abitanti di Gerusalemme, incendiando fermate degli autobus, negozi e case private per punire l’uso dell’elettricità durante il sabato, l’esposizione di fotografie di donne e la vendita di giornali laici.
Per aver, a loro dire, violato le leggi ebraiche sulla sepoltura, hanno molestato e minacciato di morte medici e archeologi. Impaurito dopo che alcuni membri della sua famiglia sono stati arrestati per la loro appartenenza a una banda, si è reinventato come un pronto intervento d’élite sponsorizzato dallo Stato.
Meshi-Zahav ha fondato e poi diretto per tre decenni ZAKA, un’organizzazione che raccoglie per la sepoltura i corpi straziati da disastri naturali o dalla violenza umana.
Meshi-Zahav si è tolto la vita, settimane dopo che la polizia aveva aperto un’indagine nel 2021 sulle accuse di aver usato il potere acquisito – prima come capo di Keshet, poi come capo di ZAKA – per commettere violenti crimini sessuali contro adulti e bambini, uomini e donne, nell’arco di quattro decenni.
I crimini sessuali di Meshi-Zahav sarebbero stati un segreto aperto nelle comunità ultraortodosse israeliane, tanto che alcuni lo hanno definito il “Jeffrey Epstein degli Haredi”.
Tuttavia, quando una massa critica di accusatori ha finalmente trovato spazio nei media israeliani, il comandante delle operazioni speciali dello ZAKA, incaricato dal colonnello Golan Vach di supervisionare il recupero dei cadaveri dopo le battaglie del 7 ottobre, non ha preso le distanze dal suo capo.
Al contrario, Chaim Otmazgin lo ha difeso pubblicamente, sostenendo che le numerose prove contro Meshi-Zahav erano state acquisite tramite estorsione. “L’ultima cosa che è in grado di fare è danneggiare gli altri”, ha insistito Otmazgin al quotidiano israeliano Maariv.
La trasformazione di Meshi-Zahav da terrorista a confidente di un capo di governo è stata molto simile a quella di un attentatore condannato che ancora oggi siede nel consiglio di amministrazione di ZAKA: Il presidente del Consiglio Rabbinico di Gerusalemme Nathan “Noose” Nathanson. Nel 1980, Nathanson faceva parte di una cellula terroristica che aveva fatto esplodere le gambe del sindaco di Nablus, Bassem Shakaa.
Nathanson e i suoi compagni di Jewish Underground, incarcerati per aver sparato e bombardato a morte gli studenti dell’Università di Hebron, hanno ricevuto un ampio sostegno da parte dei leader ebraici in Israele e negli Stati Uniti, tra cui il fondatore e presidente del Simon Wiesenthal Center, Rabbi Marvin Hier. Le pene detentive dei terroristi di Jewish Underground sono state successivamente abbreviate dal presidente israeliano Chaim Herzog, padre dell’attuale presidente israeliano Isaac Herzog.
Oltre a supervisionare le operazioni di ZAKA, l’impenitente Nathanson è stato per anni uno stretto consigliere dell’ex primo ministro israeliano Naftali Bennett. Bennett ha anche amplificato la menzogna secondo cui Liel Hatsroni sarebbe stata incendiata a morte il 7 ottobre da combattenti palestinesi antisemiti, e la relativa richiesta di permettere a Israele di vendicarla incendiando Gaza. “È stata uccisa solo perché ebrea”, ha twittato Bennett a novembre.
Dopo che il generale di brigata Barak Hiram ha ammesso al New York Times di aver ordinato il bombardamento dei carri armati contro la casa di Pessi Cohen “anche a costo di vittime civili”, Bennett è tornato su X per difenderlo dalle critiche sulla sua decisione di attuare la direttiva Hannibal contro una dozzina di civili israeliani.
“Fermatevi. Fermatevi immediatamente, prima che questa linea prenda piede”, ha twittato Bennett in ebraico.
Dopo il 7 ottobre, i volontari di ZAKA incaricati da Vach di raccogliere i cadaveri non si preoccuparono di documentare per iscritto ciò di cui erano stati testimoni sul campo di battaglia. Ben presto, tuttavia, iniziarono ad affermare che i palestinesi avevano commesso crimini particolarmente barbari in quel giorno, forse il più rivoltante dei quali fu l’affermazione che i combattenti palestinesi avevano rimosso un feto dal grembo di una donna e lo avevano pugnalato a morte alla testa.
Sebbene questa affermazione sia stata ampiamente smentita e screditata come invenzione del comandante della regione meridionale dello ZAKA, Yossi Landau, è stata ripetuta come fosse un fatto in tutto il mondo.
Il colonnello incolpa Hamas per i corpi bruciati da Israele.
Per quanto spaventose, le storie di atrocità scritte da Landau e da altri volontari dello ZAKA impallidiscono rispetto a quelle inventate dal colonnello Golan Vach, che ha comandato l’operazione di recupero dei cadaveri da parte dell’esercito israeliano il 7 ottobre e le cui testimonianze hanno costituito la base per l’affermazione di Israele secondo cui Hamas avrebbe ucciso – e brutalmente bruciato a morte – otto bambini israeliani in quel giorno.
Il 12 ottobre, Vach ha affermato per la prima volta ai giornalisti in un briefing online di aver recuperato personalmente da un’abitazione di Be’eri il corpo di “un bambino con la testa tagliata”. Quando i giornalisti in collegamento gli hanno chiesto fotografie del bambino e maggiori dettagli su come fosse stato decapitato, Vach si è irritato.
Il giorno successivo, il 13 ottobre, Vach ha affermato di aver recuperato personalmente i corpi di diversi neonati uccisi il 7 ottobre. “Ho trovato alcuni bambini con la testa tagliata, che ho evacuato personalmente”, ha dichiarato Vach a Jewish Insider. “So che alcune persone chiedono delle prove, e io ho scattato delle fotografie, ma non ho potuto fotografare il bambino, non riuscivo a farlo”.
Guardare una foto di una persona qualsiasi, giovane o anziana, e determinare che la sua testa non è nella posizione corretta è una questione banale che non richiede particolari abilità. I giornalisti che chiedevano a Vach le prove fotografiche di un bambino decapitato ponevano domande valide che non potevano essere facilmente ignorate.
Affinché la storia del bambino decapitato potesse essere creduta, quindi, il racconto avrebbe dovuto essere modificato in modo tale da rendere impossibile la verifica da parte dei giornalisti, anche attraverso prove fotografiche.
Il giorno successivo, il 14 ottobre, Vach ha fatto visitare il Kibbutz Be’eri a decine di giornalisti, locali e stranieri. Lì, Vach si è presentato davanti a una casa bruciata e ha affermato di aver personalmente rimosso il corpo di un bambino decapitato dall’interno dell’abitazione il 7 ottobre.
I media tradizionali [negli Stati Uniti, tra cui il New York Times, e in tutto il mondo] hanno preso per buone le parole di Vach e hanno iniziato a riportare le sue accuse di infanticidio come fossero fatti provati. “Il bambino è stato decapitato”, ha dichiarato Vach alla testata canadese Global News. “Le storie di bambini decapitati sono vere”.
Nel suo racconto in diretta, tuttavia, Vach ha affermato di aver trovato il bambino decapitato tra le braccia di una donna con ferite da proiettile nella schiena – e che sia lei che il bambino erano stati orribilmente bruciati dal fuoco.
“Ho trovato una madre distesa a terra, che proteggeva il suo bambino, e le hanno sparato alla schiena e il bambino è stato decapitato”, ha detto Vach alla platea di giornalisti.
“Era un maschio o una femmina?”, ha chiesto un giornalista israeliano a Vach. “Non ho visto, era bruciato”, ha risposto in ebraico. “Oh, bruciato anche quello? Un bambino vero e proprio?”, ha incalzato il giornalista. “Sì”, ha risposto Vach, annuendo e indicando la casa alle sue spalle. “Si può vedere la casa”.
La combustione provoca gravi sfigurazioni, quindi determinare l’identità di una persona che è stata bruciata a morte è spesso impossibile solo da una fotografia. Tuttavia, Vach non ha offerto alcuna prova fotografica a sostegno della sua affermazione.
Da quel giorno in poi, però, sarebbe stato creduto a prescindere. Così Vach ha continuato a portare gruppi di giornalisti nella stessa casa bruciata per raccontare la sua sordida storia.
“Una donna era sdraiata qui. Stava ancora bruciando, quindi è stato possibile riconoscerla. Le hanno sparato alla schiena e stava proteggendo un bambino. Un bambino piccolo, non so esattamente, di uno o due anni, decapitato. Ho portato il bambino in braccio”, ha raccontato Vach a i24 News due settimane dopo.
Nella casa in cui Vach affermava di aver recuperato i due corpi, i combattenti palestinesi avevano in realtà ucciso due israeliani, anch’essi di nome Cohen ma non imparentati a Pessi. Una delle vittime era Milla Cohen, l’unica bambina israeliana uccisa nella sua casa il 7 ottobre, tra le braccia della madre.
Ma il genitore colpito a morte in quella casa non era la madre di Milla, Sandra, ma suo padre, Ohad Cohen.
“Sono rimasti seduti nella stanza di sicurezza per ore. Hanno sentito i terroristi all’interno della casa. I colpi di pistola sono entrati dalla porta. E Milla purtroppo è stata uccisa immediatamente”, ha raccontato in seguito un amico di famiglia alla ONG israeliana Darkenu. “Ohad ha aperto la finestra, si è sporto fuori e i terroristi sono tornati e hanno ucciso Ohad”.
Sandra Cohen è stata colpita dagli spari palestinesi, ha raccontato la donna, ma lei e i suoi due figli sono riusciti a sopravvivere alla prova.
Milla Cohen è morta a causa di un colpo di pistola sparato attraverso una porta chiusa. Non è stata decapitata. Né lei né sua madre Sandra sono state date alle fiamme. Il colonnello Golan Vach ha preso l’orribile omicidio di Milla e lo ha gonfiato in una menzogna diffamatoria di proporzioni grottesche.
Gli israeliani bruciati da Hiram sarebbero bambini bruciati da Hamas.
Mentre Milla e Sandra Cohen non sono state bruciate dal fuoco, molti di coloro che sono morti il 7 ottobre sono stati di fatto bruciati in modo irriconoscibile.
A novembre, Israele ha rivisto il conteggio dei suoi cittadini uccisi quel giorno, da circa 1.400 a circa 1.200, dopo essersi reso conto che almeno 200 delle persone bruciate a morte quel giorno non erano israeliani, come si era ipotizzato in un primo momento, ma in realtà combattenti palestinesi.
Un tale errore di conteggio può essere stato commesso da Israele solo se le sue forze sparavano sulle persone senza tener conto che fossero israeliani o palestinesi.
Tuttavia, alcune delle persone i cui corpi sono stati trovati bruciati appartenevano a cittadini israeliani, e il gruppo più grande di cui si ha notizia si trovava dall’altra parte del kibbutz, nella casa di Pessi Cohen.
Vach ha anche portato visitatori VIP, giornalisti e politici di alto livello a casa di Pessi Cohen, e lì ha ripetuto più volte la sua affermazione di aver recuperato personalmente il corpo di bambini bruciati – non uno ma otto.
“Nel punto esatto in cui vi trovate c’erano due coppie sdraiate. Due uomini e due donne. Ammanettati. E all’interno di questa casa c’erano altre 15 persone bruciate. Tra cui otto bambini”, ha detto Vach a un gruppo di giornalisti il 14 ottobre. “In questo angolo. Erano concentrati lì e sono stati uccisi e bruciati”.
Alla domanda di un giornalista di Anadolu se avesse raccolto personalmente i loro cadaveri, Vach ha risposto inequivocabilmente in modo affermativo. “Li hoevacuati io“, ha detto, mettendo l’accento sull’”io”.
Quando Golan Vach si è recato a casa di Pessi Cohen per sgomberare i cadaveri che erano all’interno, ha detto di aver visto i corpi di 19 civili israeliani uccisi da Hamas, otto dei quali erano bambini bruciati.
In realtà, ciò che giaceva davanti a lui erano i resti squarciati e carbonizzati di un civile palestinese di Gerusalemme, di decine di combattenti palestinesi di Gaza e di una dozzina di civili israeliani, di cui solo due erano adolescenti, mentre gli altri erano di mezza età o anziani. Non c’era nemmeno un bambino o una bambina tra loro.
Ad eccezione di Yitzhak Siton (che è stato colpito da Hamas durante la conquista iniziale del kibbutz), il sangue della maggior parte – se non di tutti – i morti della casa di Pessi Cohen è sulle mani del comandante israeliano che ha dato l’ordine di sparare due colpi di carro armato contro la casa: il Brig. Gen. Barak Hiram.
Se l’accusa di Vach, secondo cui i combattenti di Qassam avrebbero giustiziato e dato alle fiamme otto bambini israeliani, non ha alcun fondamento di verità, egli è almeno onesto sul motivo per cui la casa di Cohen non solo è stata gravemente danneggiata dalla battaglia, ma è stata lasciata in uno stato di totale rovina.
“Questa distruzione è stata causata dall’attacco dei nostri carri armati”, ha detto Vach allo stesso giornalista di Anadolu. “Perché erano bloccati in queste case. E noi dovevamo riconquistare l’intero insediamento”.
Come la menzogna di Vach sul recupero di un bambino israeliano bruciato nella casa di Ohad Cohen, la sua menzogna sul recupero di otto bambini israeliani bruciati nella casa di Pessi Cohen è stata riportata come un fatto negli Stati Uniti e in tutto il mondo.
Il giorno dopo che Vach ha inventato la bugia degli otto bambini bruciati a casa di Pessi Cohen, Yasmin Porat ha raccontato la sua storia di sopravvivenza alla stampa israeliana, questa volta alla radio Kan. Ancora una volta ha spiegato come lei e un gruppo di israeliani, tra cui non c’erano bambini piccoli, siano stati catturati con la violenza da Hamas e tenuti in ostaggio a casa di Pessi Cohen, ma in seguito trattati umanamente e non giustiziati né danneggiati in altro modo.
In un servizio pubblicato il giorno successivo, Vach ha raccontato in modo confuso la rivendicazione degli otto bambini bruciati, gonfiando il numero di cadaveri israeliani che avrebbe raccolto per la sepoltura all’interno e nei dintorni della casa di Pessi Cohen.
Quando ha presentato la sua rivendicazione il 14 ottobre, Vach ha detto a decine di giornalisti di aver raccolto 15 corpi israeliani dall’interno della casa e altri quattro corpi dal prato antistante, per un totale di 19 corpi.
In un altro tour dello stesso sito, tenutosi lo stesso giorno, Vach si è fermato per diversi secondi a metà frase, apparentemente sommando le ultime due cifre nella sua mente, e poi ha affermato che 15 era il numero di adulti israeliani uccisi dai combattenti Qassam all’interno della casa, a cui ha aggiunto gli otto bambini che dice di aver trovato lì, per un totale di 23 corpi all’interno della casa più altre quattro vittime sul prato fuori dalla casa, per un totale di 27 israeliani morti.
“Abbiamo trovato una famiglia all’esterno, esattamente dove vi trovate voi adesso”, ha detto. “Erano sdraiati qui. Due coppie: ammanettate e uccise. Due donne e due uomini. Ma era solo l’inizio di ciò che abbiamo visto all’interno”, ha detto Vach mentre si trovava di fronte alla casa di Pessi Cohen. “In questo angolo del soggiorno abbiamo trovato una concentrazione di otto bambini, bruciati in mezzo ad altre 15 persone… in questo soggiorno e in quello successivo” (corsivo aggiunto).
Solo tre giorni dopo, il 17 ottobre, Israele ha informato le famiglie dei residenti del kibbutz tenuti in ostaggio che i loro cari erano effettivamente deceduti.
Ma questo è avvenuto una settimana dopo che l’esercito conosceva già le identità di tutti i civili morti a casa di Pessi Cohen. E dopo che sia il generale direttamente responsabile della loro morte sia il capo dell’unità di soccorso che ha raccolto i loro corpi avevano rilasciato numerose interviste alla stampa mentendo su ciò che era accaduto lì.
L’unica eccezione alla comunicazione di Israele alle famiglie è stata la famiglia Hatsroni: Ayala, la vicina di casa di Pessi Cohen, e Liel, la pronipote che aveva allevato fin dalla nascita, non sarebbero state dichiarate ufficialmente morte prima di un mese, perché erano state completamente incenerite dal fuoco dei carri armati israeliani e persino le minime tracce del loro DNA si erano rivelate inafferrabili.
Il generale israeliano modifica il racconto della battaglia per giustificare le atrocità inventate dal capo dei soccorsi.
Le nuove accuse del colonnello Golan Vach di 19 e addirittura 23 civili israeliani uccisi da Hamas nella casa dei Cohen crearono un serio problema al generale Hiram, che aveva ordinato il bombardamento dei carri armati.
I conteggi di Vach sul numero di civili israeliani uccisi in quel luogo erano fino al 50% più alti delle cifre corrette più volte riportate da Yasmin Porat, sopravvissuta al bagno di sangue. Peggio ancora, Vach aveva inserito nel bilancio delle vittime otto neonati che non erano mai esistiti.
Hiram non ha avuto altra scelta che modificare la sua versione dei fatti, gonfiando le cifre che aveva divulgato all’agenzia di stampa israeliana Walla due settimane prima.
In un’intervista amichevole del 26 ottobre con Ilana Dayan, conduttrice del prestigioso programma investigativo Uvda del Canale 12 israeliano, Hiram ha aumentato il numero dei palestinesi contro cui ha combattuto da 20 a 26 e ha aumentato il conteggio dei civili israeliani che sono stati uccisi da 14 a 16.
In quell’intervista, Hiram ha anche tacitamente appoggiato l’affermazione di Vach secondo cui Hamas avrebbe giustiziato otto bambini in quel luogo, modificando però la loro presunta causa di morte da bruciatura a fucilazione. “Abbiamo trovato otto bambini legati insieme e fucilati”, ha detto Hiram a Dayan.
Oltre alla menzogna sull’esecuzione da parte di Hamas di otto bambini israeliani in casa Cohen, le affermazioni modificate di Hiram, secondo cui le sue forze avrebbero “salvato circa quattro” dei 20 civili tenuti in ostaggio e ucciso tutti e 26 i loro rapitori palestinesi, rimangono in contrasto con le testimonianze degli unici civili sopravvissuti alla battaglia.
Quando una seconda sopravvissuta civile, Hadas Dagan, ha rotto il suo silenzio in un’intervista a Channel 12 andata in onda all’inizio di dicembre, ha confermato il resoconto di Yasmin Porat sulla battaglia: almeno 40 combattenti palestinesi (non 20 o 26) tenevano prigionieri 15 civili a casa Cohen, e solo due israeliani sono sopravvissuti.
Dei due sopravvissuti, Porat è stata allontanata dal campo di battaglia da Hasan Hamduna, comandante delle forze Qassam, mentre Dagan è sopravvissuta a tutti i civili presenti sul campo di battaglia perché è stata protetta dal compagno di Porat, Tal Katz, e dal marito Adi Dagan dai bombardamenti dei carri armati che hanno ucciso tutti gli altri rimasti in casa e nei dintorni.
Le forze di Hiram non hanno “combattuto una battaglia veramente eroica” a casa Cohen, come ha affermato la giornalista di Canale 12 Dayan. In nessun momento della battaglia, durata ore, hanno eseguito il suo presunto comando di rischiare la vita e “irrompere all’interno per cercare di salvare i cittadini”.
I nuovi numeri forniti da Hiram a Channel 12 sembrano essere un tentativo di trovare un compromesso tra le atrocità inventate dal capo dei soccorsi israeliani, il colonnello Golan Vach, e l’imbarazzante verità ripetutamente raccontata dagli unici civili sopravvissuti alla battaglia, Yasmin Porat e Hadas Dagan.
Due mesi dopo, il New York Times hapubblicato un articolo sulle battaglie avvenute a Be’eri il 7 ottobre, compresi i combattimenti a casa Cohen.
L’articolo elenca correttamente il numero di civili tenuti in ostaggio in quel luogo e include nuove riflessioni di Hiram sulla battaglia, ma non menziona le sue interviste precedenti o i suoi calcoli errati. E mentre il pezzo del Times incriminava Hiram per aver applicato la direttiva Hannibal, causando la morte di civili israeliani, copriva anche le sue accuse di infanticidio – accuse che sono state strumentalizzate dal governo israeliano per guadagnare legittimità per il suo assalto genocida post-7 ottobre a Gaza.
Due giorni dopo, alla vigilia di Natale, The Electronic Intifada ha rivelato che i resoconti di Hiram sulla battaglia erano pieni di bugie e che la sua affermazione secondo cui i combattenti palestinesi avrebbero giustiziato otto bambini israeliani in quel luogo era un’orribile diffamazione.
Racconti di atrocità senza prove.
Le testimonianze di Hiram non possono essere confermate o smentite dal comandante dell’unità di carri armati che pare abbia eseguito l’ordine di sparare proiettili contro la casa di Pessi Cohen, il tenente colonnello Salman Habaka – morto a novembre.
Habaka è diventato l’ufficiale israeliano più anziano ucciso durante l’invasione quando è caduto in un’imboscata nella Striscia di Gaza dopo aver risposto alla chiamata di soccorso del 13° battaglione della Brigata Golani da parte del comandante dell’unità, il tenente colonnello Tomer Greenberg. Lo stesso Greenberg fu ucciso in azione a Gaza poco più di una settimana dopo.
Un altro soldato che ha manovrato il carro armato è ancora tormentato dai suoi ricordi della conclusione della battaglia.
“Continuavo a pensare: cosa sono, un assassino?”, ha raccontato a marzo a Channel 12 un soldato identificato solo come Y. “Pensi di essere venuto a fare del tuo meglio, a difendere l’insediamento, e poi a posteriori si scopre che hai ucciso dei concittadini”.
Le numerose bugie di Hiram sulla battaglia nella casa di Be’eri di Pessi Cohen erano apparentemente tentativi di proteggersi dalle conseguenze delle sue decisioni di comando.
Il suo odio per i palestinesi non è tuttavia sospetto. È un residente dell’insediamento di Tekoa, vicino a Betlemme, nella Cisgiordania occupata, e nella sua intervista a Channel 12, Hiram ha descritto gli attacchi del 7 ottobre non come “ferocia di Hamas” o addirittura “barbarie palestinese”, ma come “assassinio arabo”.
L’odio di Hiram per gli arabi non è iniziato il 7 ottobre, secondo gli israeliani che lo conoscono fin dalla giovinezza. Quando la sua insegnante di educazione civica del liceo di Haifa cercava di trasmettere ai suoi studenti i valori democratici, Hiram rispondeva con argomenti di estrema destra, o “commenti alla Kahane”, secondo un compagno di classe.
“Le posizioni espresse da Barak Hiram nei confronti degli arabi erano estreme e generalizzanti. Dato che la sua posizione sociale era solida ed era dotato di un carisma straordinario, travolgeva un numero non indifferente di studenti”, ha ricordato un altro compagno di classe di Hiram. “Su ogni questione in cui l’insegnante cercava di trasmettere un messaggio umanistico-liberale, Barak rispondeva in maniera del tutto contraria”.
L’incessante ostilità di Hiram nei confronti dei palestinesi spinse l’insegnante ad abbandonare la classe. La goccia che fece traboccare il vaso, ricorda il compagno di classe, fu una lezione sul massacro di Kafr Qasem del 1956, quando la polizia di frontiera israeliana uccise 49 cittadini palestinesi e ne ferì altre decine. “Barak disse qualcosa di insopportabile e l’insegnante lasciò l’aula in lacrime. Era chiaro che non ci avrebbe più insegnato”, ha ricordato il compagno di classe ad Haaretz.
Hiram ha poi vissuto e lavorato per anni a Sde Bar, una scuola per giovani ebrei in difficoltà nella Cisgiordania occupata. Quindici anni fa, il quotidiano israeliano Maariv ha riferito che la scuola era infarcita di razzismo e che gli studenti si “scatenavano” regolarmente contro i palestinesi locali.
Secondo Maariv, il fondatore-direttore della scuola, Yossi Sadeh, ha elogiato l’assassino di massa di palestinesi Baruch Goldstein e si è vantato del fatto che durante il servizio militare lui stesso “torturava gli arabi e infilzava frammenti di vetro nelle loro gambe”. Quando gli abusi razzisti furono rivelati, Hiram – che nel frattempo era avanzato nell’esercito fino al grado di capitano – prese le difese di Sadeh, lamentandosi del fatto che la denuncia dei suoi crimini “aveva messo una taglia sulla testa di Yossi”.
Tuttavia, è probabile che il motivo principale per cui Hiram ha mentito sugli eventi di Be’eri sia stato quello di evitare ripercussioni per aver posto fine alla vita di civili israeliani in uno dei modi più orribili che si possano immaginare, bruciandoli a morte.
Proteggere la reputazione di Hiram è anche il probabile motivo dei soldati che hanno combattuto sotto di lui in quella battaglia e che negli ultimi mesi lo hanno elogiato nei media israeliani.
“Il 7 ottobre ho combattuto a Be’eri, ho sparato proiettili di carro armato contro i terroristi nel kibbutz”, ha dichiarato il tenente colonnello Guy Basson al Canale 14 di Israele in un’intervista andata in onda il 20 gennaio, sottolineando di essere stato presente alla battaglia a casa di Pessi Cohen “e di aver visto le cose da vicino”.
Alla richiesta di ricordare le scene peggiori a cui ha assistito quel giorno, Basson ha descritto la casa di Cohen come “un asilo nido” e ha detto che al suo interno ha visto “otto bambini” che erano stati “massacrati” dai palestinesi.
Dopo aver ripetuto la menzogna del colonnello Vach e del generale Hiram sugli otto neonati israeliani giustiziati, Basson ha aggiunto il suo tocco personale al racconto dell’atrocità.
“Un’altra immagine che mi ha colpito è stata quando ho visto Genia, possa riposare in pace, una donna anziana del Kibbutz Be’eri, quando ho visto il numero tatuato sul suo braccio”, ha detto Basson. “Era sopravvissuta all’Olocausto ad Auschwitz e alla fine è morta nel Kibbutz Be’eri”.
Nessuna persona simile vissuta o morta a Be’eri il 7 ottobre; la storia è interamente un’invenzione di Basson.
Dopo che il quotidiano israeliano Haaretz ha rilevato che le affermazioni di Basson sugli otto bambini giustiziati erano false, l’esercito israeliano ha dichiarato di non avere “alcuna intenzione di descrivere una realtà che non è accaduta, e ci scusiamo se qualcuno si è sentito offeso. Metteremo le cose in chiaro e le spiegheremo a tutti i comandanti coinvolti nello sforzo mediatico”.
In effetti, un altro autodefinito veterano della battaglia a casa di Pessi Cohen che ha difeso Hiram nei media – un certo Colonnello Ashi – non ha menzionato in alcun modo che bambini israeliani di qualsiasi età siano stati colpiti, bruciati o maltrattati in quel luogo – e nemmeno che si trovassero sul campo di battaglia.
Infatti, non solo Ashi non ha menzionato nessun bambino israeliano morto bruciato nella casa di Pessi Cohen, ma ha anche suggerito che nessun israeliano era morto bruciato lì. Secondo Ashi, tutti i civili uccisi nella casa erano già morti quando Hiram diede l’ordine di sparare i micidiali proiettili dei carri armati.
“Non pensavo che ci fossero ancora persone vive lì”. Ashi ha detto a Kan in un’intervista trasmessa il 1° marzo. “Per quanto ne so, il proiettile del carro armato ha colpito in alto, sopra le travi della casa, quindi non credo proprio che qualcuno sia rimasto ferito”. Ma c’è di più: Sono stato in casa dopo, e anche qui: non credo che qualcuno sia rimasto ferito per la granata arrivata all’interno”.
Il resoconto di Ashi sembra essere completamente screditato dalle testimonianze degli unici due civili sopravvissuti alla battaglia.
Yasmin Porat racconta che, dopo aver lasciato la casa Cohen e aver attraversato le linee israeliane un’ora dopo l’inizio della battaglia, spiegò con calma a una sequenza di comandanti dell’esercito, l’ultimo dei quali era il generale Hiram in persona, che c’erano circa una dozzina di ostaggi rimasti vivi nella proprietà.
Sia Porat che Hadas Dagan raccontano che Liel Hatsroni ha urlato istericamente per tutta la durata della battaglia, durata ore e ore, dall’inizio alla fine. “Quando quelle due granate hanno colpito, le urla sono cessate”, Porat ricorda che Dagan le ha detto dopo la battaglia. “In quel momento c’è stato il silenzio”.
“Ciò che Hadas ha descritto dall’interno della casa era esatto”, ha confermato il colonnello Shlomo Pariente, un altro soldato israeliano che ha combattuto in quella battaglia. “Dopo quella granata non c’è stato più nulla”, ha detto Pariente ad Haaretz. “Nessuna battaglia, nessuno sparo, niente di niente”.
Quando in seguito è stato interrogato sulla disparità tra le sue dichiarazioni e quelle dei sopravvissuti Porat e Dagan, Ashi si è rifiutato di chiarire i suoi commenti, rispondendo ad Haaretz: “Non ve lo dirò”.
Basson e Ashi hanno probabilmente mentito sulla battaglia a casa di Pessi Cohen per cercare di proteggere dalle ripercussioni il loro ufficiale superiore Barak Hiram per aver applicato la direttiva Hannibal su una dozzina di civili.
Il capo dei soccorsi dell’esercito, il colonnello Golan Vach, tuttavia, arrivato a Be’eri solo poche ore dopo il lancio dei proiettili decisivi dei carri armati, non ha mentito sulla battaglia per lealtà verso Hiram. Piuttosto, aveva un proprio motivo per trasformare i fallimenti militari di Israele in racconti di atrocità antisemite: creare consenso per il totale annientamento della Striscia di Gaza da parte di Israele.
Il capo dei soccorsi vuole annientare Gaza.
Fin dall’inizio, Vach non ha lesinato le lezioni che riteneva dovessero essere tratte dalle storie atroci da lui inventate di combattenti palestinesi che bruciano neonati israeliani. Nelle interviste rilasciate a numerosi organi di informazione, Vach ha ripetutamente tracciato una linea diretta tra gli inesistenti neonati bruciati e la corrispondente risposta che, secondo lui, Israele dovrebbe scatenare sulla Striscia di Gaza.
“Negli ultimi giorni ho scoperto la pratica [di Hamas] di concentrare le persone in un unico luogo per ucciderle e bruciarle. Non so quale sia il motivo preciso. Ma dopo qualche giorno ho capito che dovevo indagare sugli incendi”, ha detto Vach al The Sun mentre si trovava davanti alla casa di Pessi Cohen il 14 ottobre. “Così, in questa casa in particolare, c’erano 19 persone. E lo chiamo l’esempio di ciò che stiamo combattendo ora a Gaza. E questo è esattamente il motivo per cui dobbiamo sgomberare questa regione, non solo il perimetro intorno al kibbutz”.
“In questo angolo di questo soggiorno, troviamo una concentrazione di otto bambini, bruciati”, ha detto Vach a un altro gruppo di giornalisti mentre si trovava di fronte alla stessa casa lo stesso giorno. “Non abbiamo bisogno di altro per convincerci che non possiamo usare gli stessi strumenti democratici che usa il mondo. Non sono i diritti umani che pensate voi”, ha poi detto al gruppo.
In una terza intervista rilasciata lo stesso giorno al Mirror, Vach è riuscito a trasmettere sinteticamente entrambi i messaggi in sole 28 parole: “Non solo ho visto un bambino decapitato da Hamas, ma l’ho tenuto tra le mani. Ecco perché questa regione deve essere ripulita da queste persone”.
Si può presumere che Vach abbia trasmesso queste stesse false storie – e la stessa argomentazione secondo cui esse esentano Israele dai suoi obblighi di diritto internazionale – quando un giorno prima, venerdì 13 ottobre, ha fatto visitare i kibbutzim distrutti ad alcuni dei più potenti politici europei: la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, la Presidente del Parlamento dell’Unione europea Roberta Metsola e altri VIP.
Le bugie di Vach hanno indubbiamente contribuito all’enorme sostegno che Israele ha ricevuto per il suo annientamento di Gaza.
In un’intervista rilasciata pochi giorni dopo quelle visite, Vach ha detto al gruppo Israel Defense and Security Forum che sperava che l’esercito israeliano invadesse Gaza per cinque mesi e “sistemasse le cose lì per cento anni a venire”.
Il mese successivo, il segretario generale del Forum ha iniziato a lanciare false accuse di infanticidio mentre visitava i luoghi della battaglia del 7 ottobre per conto dell’esercito. “Qui non uccidevano solo gli ebrei, ma li maltrattavano gravemente”, ha dichiarato in lingua ebraica il tenente colonnello Yaron Buskila a un corrispondente in una video-intervista pubblicata online a fine novembre. “Qui c’erano anche bambini, neonati legati a un filo da bucato, letteralmente in fila”.
“È stata una scena molto difficile. Quando l’ho vista, mi ha scioccato”, ha detto Buskila.
Il giornalista israeliano ha cancellato il video e si è scusato il giorno successivo, quando gli sono state fatte notare le falsità di Buskila.
La falsa testimonianza di Buskila e il suo rapido smascheramento hanno iniziato a sollevare domande su altri racconti di atrocità diffusi da Israele e dai suoi sostenitori. Il quotidiano israeliano Haaretz ha utilizzato i dati raccolti su tutti i cittadini israeliani e stranieri uccisi il 7 ottobre per dimostrare che numerose affermazioni di atrocità attribuite ai combattenti palestinesi erano in realtà vere e proprie bugie.
Haaretz ha dichiarato con un eufemismo che Golan Vach e molti altri hanno “diffuso informazioni non verificate” su quelle battaglie.
Nella sua inchiesta, Haaretz ha notato che i social media del governo israeliano hanno pubblicato un video di Vach che racconta le sue bugie davanti alla casa di Pessi Cohen. Il testo del post recitava: “Ascoltate le testimonianze oculari degli otto neonati bruciati e di un neonato decapitato che sono stati massacrati dai terroristi di Hamas il 7 ottobre. Pura malvagità”. Al momento della stampa il post è ancora online, a distanza di mesi.
Rispondendo ad Haaretz, l’esercito israeliano ha dichiarato che Vach “ha usato la parola “neonati” per descrivere un certo numero di corpi di minori che sono stati trovati. L’errore è stato fatto in buona fede e non attenua la gravità delle atrocità commesse”.
Quando i gruppi di solidarietà palestinese hanno protestato contro la visita di Vach in Sudafrica ad aprile, notando le sue bugie sui neonati bruciati e chiedendo il suo arresto, Vach ha tirato fuori la stessa scusa, ammettendo tacitamente che non esistevano neonati di questo tipo, affermando che i corpi che ha recuperato “erano così rimpiccioliti dalle bruciature che era difficile capire se fossero neonati o bambini più grandi”.
Supponendo che “corpi di bambini” sia un riferimento alle dodicenni Liel e Yanai Hatsroni – bruciate a morte dai bombardamenti dei carri armati ordinati da Barak Hiram – l’esercito sostiene qui che Vach stava parlando dei corpi di due studenti di scuola media quando ha detto: “In questo angolo di questo soggiorno, troviamo una concentrazione di otto bambini, bruciati”.
Nella sua prima intervista televisiva 48 ore dopo la battaglia, la sopravvissuta Yasmin Porat, madre di tre figli, ha valutato le gemelle Hatsroni, che ha incontrato per la prima volta il 7 ottobre, come “adolescenti… di 14 o 15 anni”.
In un’intervista successiva, Porat ha notato che Liel e Yanai hanno trascorso l’intera battaglia in un piccolo ripostiglio d’acqua dietro la cucina, dall’altra parte della casa, e non nel soggiorno dove Vach ha affermato di aver trovato “otto bambini, bruciati”. Inoltre, un parente delle Hatsroni ha dichiarato a The Electronic Intifada che le gemelle sono state incenerite completamente e non hanno lasciato alcun corpo dietro di sé per essere raccolte da Vach.
Un rapporto dell’AFP sulle accuse di atrocità israeliane, pubblicato due settimane dopo, si è concentrato anche sui commenti fatti dal colonnello Vach durante un tour mediatico a Be’eri. L’affermazione di Vach all’agenzia di stampa AFP, il 27 ottobre, di aver recuperato “personalmente” dal kibbutz Be’eri il cadavere di “un bambino decapitato” è stata smentita dai dati della sicurezza sociale israeliana, che hanno dimostrato l’inesistenza di una simile vittima. Alla richiesta dell’AFP di chiarire la clamorosa contraddizione, l’esercito ha taciuto.
Allo stesso tempo, però, una società privata americana che fornisce servizi di fact-checking per Facebook e TikTok ha stabilito che la casa di Pessi Cohen non è stata distrutta dal fuoco dei carri armati israeliani e che tra i cadaveri trovati all’interno dell’abitazione c’erano in realtà otto neonati israeliani dati alle fiamme da Hamas.
“Un video mostra un comandante dell’esercito israeliano il 14 ottobre 2023, che afferma che le Forze di Difesa Israeliane hanno intrappolato e bruciato dei civili israeliani in una casa? No, non è vero”, ha riportato la società Lead Stories.
I fact-checkers, che hanno verificato le accuse di infanticidio fatte da Vach all’Agenzia Andalusia, si sono basati solo su una dichiarazione di sostegno inviata via e-mail dall’Ufficio stampa del governo israeliano. “Hamas ha compiuto le uccisioni”, ha dichiarato Ron Paz, direttore del dipartimento di stampa estera dell’Ufficio Stampa di Israele. “Queste sono state le azioni di Hamas”.
Dieci giorni dopo, il team di fact-checking del quotidiano israeliano Globes ha raddoppiato la stessa analisi, dichiarando che le vittime di ustioni descritte nel video di Vach sono state uccise dai palestinesi, non dal fuoco dei carri armati israeliani. “Ne consegue che si riferisce a un incidente perpetrato da Hamas”, ha scritto Globes.
A quel punto, il New York Times aveva pubblicato il suo rapporto sulle battaglie del 7 ottobre a Be’eri, accendendo un piccolo furore in Israele per l’ammissione del generale Hiram di aver ordinato a un carro armato di bombardare la casa di Pessi Cohen “anche a costo di vittime civili”.
Con l’attenzione concentrata sul comandante della battaglia che ha effettivamente causato quelle vittime, il capo dei soccorsi che ha dichiarato ai giornalisti stranieri che tra loro c’erano otto bambini israeliani bruciati da Hamas è sfuggito da allora ad ogni esame.
L’esercito ha abbandonato la storia dell’atrocità dei “bambini bruciati”, inventata da Vach, per passare a un altro resoconto fittizio della battaglia, che si sarebbe riflesso meno negativamente su Hiram.
In aprile, in una serie di fughe di notizie, l’esercito ha respinto le testimonianze dei sopravvissuti, secondo cui quasi tutti i prigionieri erano stati fatti a pezzi o inceneriti dai bombardamenti dei carri armati, e ha iniziato a insinuare che i civili fossero in realtà morti per le ferite causate dai proiettili dei fucili d’assalto.
Il 2 aprile il giornalista israeliano di destra Amit Segal ha riferito su Canale 12 che la divisione corazzata dell’esercito israeliano ha svolto un’indagine e ha scoperto che “non si può dire che siano stati uccisi dal fuoco dei carri armati” e che “la grande maggioranza è stata uccisa da armi leggere”.
Ma non è stato pubblicato alcun rapporto ufficiale e l’esercito ha negato che la sua indagine complessiva sull’incidente si sia conclusa. “L’incidente è ancora in fase di indagine e i risultati o le conclusioni non sono state finalizzate. I dettagli presentati non sono un’opinione ufficiale”, ha dichiarato un portavoce militare ai media israeliani.
A maggio, il primo ministro israeliano Netanyahu ha pubblicato un video in cui criticava la richiesta del procuratore della Corte penale Internazionale Karim Khan di spiccare un mandato di arresto contro di lui e il ministro della Difesa Yoav Gallant per crimini di guerra e contro l’umanità commessi a Gaza.
Nel video, Netanyahu ha ripetuto l’accusa d diffamazione inventata da Vach, sostenendo che i combattenti palestinesi che hanno attaccato Israele il 7 ottobre hanno “bruciato bambini ebrei”.
Il capo del Soccorso ha guidato la lobby di estrema destra per sopprimere i palestinesi in Galilea.
Il colonnello Golan Vach ha servito come soldato attivo nell’esercito israeliano per un quarto di secolo, e dopo il 2018 è rimasto nelle riserve per diversi mesi all’anno come comandante dell’unità di Soccorso Nazionale del comando del fronte interno, tra le uniche unità di questo tipo al mondo sotto comando militare.
Vach ha regolarmente guidato l’unità all’estero, aiutando a recuperare le vittime di disastri in altri paesi, compresi gli Stati Uniti. Israele ha probabilmente pagato per diffondere il resoconto autopubblicato di Vach sugli sforzi dell’unità per recuperare le vittime del crollo di un condominio in un sobborgo di Miami, in Florida, nel 2021.
In qualità di primo soccorritore dello stato israeliano, negli ultimi anni Vach è stato omaggiato da diversi capi di Stato musulmani, tra cui quelli di Albania e Turchia.
Grazie alla sua statura e alla sua reputazione, il capo del Soccorso nazionale israeliano Golan Vach è stato creduto da giornalisti e redattori di tutto il mondo, che hanno pubblicato le sue bugie spudorate sui palestinesi che avrebbero decapitato e bruciato a morte dei bambini israeliani il 7 ottobre, anche senza alcuna prova.
Quando un giornalista ha suggerito che alcuni avrebbero potuto trovare difficile credere alle sue accuse di decapitazioni e roghi, Vach ha reagito duramente, paragonando tali scettici ai negazionisti dell’Olocausto nazista.
“Alcune persone dicono che l’Olocausto non è esistito”, ha dichiarato Vach al New Yorker in ottobre. “Queste persone, anche se lo vedessero con i loro occhi, direbbero che abbiamo falsificato la situazione”.
Se solo avessero respinto le sue illusioni e avessero fatto le dovute ricerche, quegli stessi media avrebbero trovato molte prove di dominio pubblico del desiderio di Vach di “ripulire questa regione” dai palestinesi senza alcun riguardo per i “diritti umani” da ben prima di quella data.
Vach è nato e cresciuto a Kiryat Arba quando suo padre Shalom Vach era il capo del consiglio del famigerato insediamento estremista, il primo costruito da Israele in Cisgiordania nel 1968, vicino alla città palestinese di Hebron.
Insieme al rabbino Oury Cherki, leader spirituale di una fazione kahanista del partito Likud, Shalom Vach dirige Israeli Immigrant Absorption, una ONG che aiuta gli ebrei stranieri a stabilirsi nella Cisgiordania occupata, con circa un quarto di milione di dollari di sostegno governativo ogni anno negli ultimi dieci anni. Lo stesso Golan Vach ha ora un ruolo di primo piano in una filiale del gruppo, Yisraela.
Insieme ai suoi genitori settuagenari e alla maggior parte dei suoi 10 fratelli, Golan Vach è anche a capo della Vach Family, un gruppo musicale che ha registrato sei album di versetti biblici accompagnati da armonie folkloristiche.
Per promuovere la loro musica tra gli ebrei ortodossi, i Vach hanno chiesto e ottenuto l’approvazione di Dov Lior, l’ex rabbino capo di Kiryat Arba che consiglia il partito kahanista Jewish Power e che ha definito il principale assassino di massa del movimento, Baruch Goldstein, “un martire più santo di tutti i santi martiri dell’Olocausto”.
Un disco in edizione limitata dei più grandi successi della famiglia Vach è stato stampato e regalato ai donatori della famigerata Bnei David Yeshiva, un’accademia religiosa nella Cisgiordania occupata che ha predicato la schiavitù letterale dei palestinesi. Vach ricorda ancora con affetto il suo primo anno da adulto trascorso a studiare lì. “È stato l’anno e mezzo più importante della mia vita”, ha dichiarato l’anno scorso a Canale 7 di Israele.
Vach si è poi sposato, ha avuto sette figli e ha costruito una casa per la sua famiglia in crescita in un kibbutz religioso nel nord del Paese, Beit Rimon. Da lì ha guidato un gruppo di pressione per gli insediamenti ebraici, finanziato dal governo, che aspira anche a “liberare questa regione” dai palestinesi. Lev BaGalil, o “Cuore in Galilea”, che Vach ha diretto tra il 2019 e il 2021, è stato costituito nel 2015 dal ministro delle Finanze israeliano di estrema destra Bezalel Smotrich, come ramo settentrionale del gruppo di insediamento sionista Regavim.
La strategia di Lev BaGalil in Galilea è stata sinteticamente riassunta dal vicino di Vach a Beit Rimon, Ofir Schick, attuale presidente del gruppo, che ha preceduto e succeduto Vach in quel ruolo.
“Oggi c’è una realtà linguistica che non permette un discorso diretto. Chiunque si avvicini a un ministro del governo e parli dell’ebraicizzazione della Galilea non riceverà sostegno. Non possono sostenere cose del genere. Non è che sono vincolati da una legge o da una decisione del governo, ma il sentimento del pubblico e dei media è tale che non si può parlare di “ebraicizzazione”, e quindi in pratica inventiamo ogni sorta di altri termini per raggiungere l’obiettivo”, ha detto Schick a Canale 7 di Israele.
Ogni abitante locale o consiglio locale della Galilea, al 100%, condivide il desiderio di far pendere la bilancia e aumentare il numero di ebrei in Galilea”, ha aggiunto Schick, “ma sanno che non possono dirlo esplicitamente”.
Durante il suo mandato alla guida di Lev BaGalil, Vach ha unito i vari consigli locali della Galilea e delle alture occupate del Golan siriano in un unico gruppo ombrello, al fine di negoziare sovvenzioni governative più consistenti.
Alla fine del 2022, il fondatore del gruppo Bezalel Smotrich e il resto dell’estrema destra israeliana erano tornati al governo, e Lev BaGalil aveva convinto persino il Movimento dei Kibbutz Israeliani ad amplificare la sua propaganda antiaraba: “Dovete venire qui per vedere la vergogna nazionale in corso nel cuore della Galilea. Lo stato di Israele ha dimenticato il motivo per cui è nato e ha abbandonato qui un’intera regione”, ha annunciato il segretario generale del Movimento dei Kibbutz, Nir Meir, durante un incontro con i leader di Lev BaGalil.
“Chiedo al primo ministro di definire questa priorità nazionale: un milione di ebrei in Galilea. Non meno di questo”, ha detto Meir, fino a poco tempo fa capo del caucus dei kibbutz nel partito laburista israeliano.
Per Vach e i suoi partner politici, i non ebrei sono nemici apparentemente incorreggibili che devono essere tenuti sotto controllo con ogni mezzo legale, fino a che non si potrà costruire una falsa premessa per abbandonare i “diritti umani” ed eliminarli completamente.
“Un ebreo dirige un’orchestra di vendicatori”.
Quando è arrivato in uniforme militare presso le rovine fumanti degli insediamenti israeliani attaccati il 7 ottobre, anche un veterano incallito dei luoghi dei disastri come il colonnello Golan Vach deve essere rimasto scioccato dalla morte e dalla distruzione che ha visto.
Ma l’esercito israeliano aveva addestrato e incaricato Vach di svolgere quel difficile lavoro, e lui aveva l’obbligo di riferire la verità su ciò che aveva trovato quando era arrivato su quei macabri campi di battaglia.
Invece, Golan Vach ha inventato un’accusa diffamante di proporzioni orrende per creare sostegno alla risposta militare israeliana che finora ha ucciso più di 30 volte il numero di palestinesi uccisi dagli israeliani il 7 ottobre.
“Le creature dall’altra parte della barriera devono ricevere un’ustione così forte che la ricorderanno come la Nakba del 7 ottobre 2023”, ha dichiarato Vach all’emittente religiosa israeliana Makor Rishon lo stesso mese.
Vach ha anche ripetutamente affermato che le forze palestinesi che hanno attaccato Israele sono state aiutate da informazioni raccolte da gazawi che lavoravano in Israele prima del 7 ottobre e hanno persino ricevuto aiuto logistico da alcuni cittadini palestinesi di Israele.
“Hamas aveva informazioni interne dagli arabi che lavoravano nei kibbutzim. Questa non è una supposizione. È un fatto”, ha dichiarato Vach a una pubblicazione ebraica ortodossa americana, Jewish Action. “I terroristi hanno ricevuto aiuti interni da traditori all’interno di Israele, da arabi”.
Basandosi esclusivamente sulle affermazioni di Vach, l’Irish Sun ha pubblicato la storia dei bambini decapitati e bruciati con il titolo “Il massacro di Hamas è stato un ‘lavoro dall’interno’ con i palestinesi che hanno aiutato a uccidere e derubare le famiglie israeliane che li avevano assunti”.
A marzo, lo Shin Bet, la polizia segreta israeliana, ha dichiarato che dopo aver interrogato per mesi migliaia di lavoratori palestinesi detenuti, ha concluso che i braccianti palestinesi non avevano cospirato con i combattenti palestinesi che hanno attaccato Israele il 7 ottobre e non avevano fornito loro informazioni sugli insediamenti israeliani in cui lavoravano e sulle loro potenziali vulnerabilità.
Dopo aver supervisionato per settimane la raccolta dei cadaveri, Vach si è unito all’invasione di terra della Striscia di Gaza per consigliare i soldati israeliani su come operare tra gli edifici in rovina, una situazione per la quale l’esercito non era mai stato addestrato.
Dopo il ritorno dal fronte, Vach ha riflettuto su quanto osservato in loco in una serie di interviste. Se all’inizio aveva sperato che l’invasione di Israele durasse cinque mesi, tre mesi dopo si permetteva di sognare più in grande.
“Operativamente siamo davvero all’inizio”, ha detto Vach in un’intervista video di gennaio al canale di media religiosi Hidabroot. “All’inizio della prima fase di cura di Gaza”.
A quel punto, l’invasione israeliana della Striscia di Gaza aveva già ucciso più di 24.000 palestinesi.
A marzo, Vach ha dichiarato al Jewish Journal: “Abbiamo almeno qualche altro anno di guerra”.
Vach ha anche affermato che la maggior parte dei civili palestinesi è colpevole di attacchi al “popolo ebraico”.
“La Striscia di Gaza è cancerogena da nord a sud”, ha detto Vach. “La stragrande maggioranza vota per Hamas, sostiene Hamas, ha fatto Hamas”.
In un’altra intervista all’emittente nazionale israeliana, i commenti di Vach hanno assunto un tono esplicitamente religioso e settario. “Il nostro Dio è misericordioso e gentile. Il nostro Dio è la fonte della vita”, ha detto Vach. “Il loro Dio è feroce e malvagio. Il loro Dio è fonte di morte”, ha aggiunto.
Vach ha poi ricordato la gioia che ha provato per la carneficina di cui è stato testimone nella Striscia.
“L’ingresso a Gaza ha rappresentato l’esercito [israeliano] in tutta la sua gloria. L’aviazione con i piloti… e l’artiglieria, e tutti che sparavano, tutti che sparavano verso lo stesso punto… quelli in cielo, quelli sull’ala e quelli a terra”, ha ricordato Vach. “E si vede un punto in cui tutte le loro linee si incontrano, in cui le loro linee di tiro arrivano, come una sola persona con un solo cuore”.
“Una scena pazzesca in cui si vede tutto bruciare… una scena di potere, fuoco e fumo. E a un certo punto tutto converge e vediamo una nuvola di fumo rosso nell’aria, enorme”, ha detto Vach. “Questo è l’aspetto del Monte Sinai”.
In un’intervista rilasciata al quotidiano israeliano Israel Hayom, Vach ha intrecciato i temi più ricorrenti della sua vita: l’ebraismo ortodosso, la musica allegra e l’esercito israeliano che distrugge la Palestina e il suo popolo.
“Sperimentate un po’ della purezza che si sta rivelando all’interno [della Striscia di Gaza] e tornerete molto più sani… È come il re Saul, di cattivo umore, e [il futuro re] Davide che suona [musica] per lui”, ha detto Vach. “Andate dentro [a Gaza], ascoltate un soldato ebreo che suona una mitragliatrice – e il vostro buon umore tornerà”.
“All’IDF è ora richiesto di essere crudele in guerra”, ha aggiunto Vach, “Il volto del male è a Gaza… fare la guerra a loro è amare l’umanità”.
A gennaio Vach si è ufficialmente dimesso dal suo ruolo di comandante dell’unità di Soccorso Nazionale dell’esercito ed è tornato alla vita civile.
I suoi tre decenni di carriera lasceranno un’impronta indelebile nell’esercito israeliano e nelle forze di soccorso che esso invia negli angoli più remoti del mondo.
Ma l’eredità più duratura di Golan Vach – inventare un infanticidio per creare consenso al genocidio di Israele a Gaza – è probabilmente meglio rappresentata da una poesia che Vach scrisse e pubblicò un mese dopo le battaglie del 7 ottobre.
Ha intitolato la poesia “Per vendetta”.
“Sì. Il sangue compensa il sangue”, scrive Vach. “Il tuono delle granate è un tamburo per le nostre orecchie / La raffica delle mitragliatrici, la melodia / Un ebreo dirige un’orchestra di vendetta”.
David Sheen è autore di Kahanism and American Politics: The Democratic Party’s Decades-Long Courtship of Racist Fanatics.
Traduzione a cura di AssoPacePalestina.