Commemorare Chiarini insultandolo.

Commemorare Chiarini insultandolo

Al cinema Farnese di Roma, qualche giorno fa nel quadro di quel
Tekfestival, hanno proiettato un film della regista palestinese Mai
Masri, quella dell’indimenticabile "Frontiere di sogno e di paura" sui
ragazzi dei campi profughi dall’una e dall’altra parte del filo spinato
messo su dagli occupanti sionisti emuli dei lager. Introduceva il
direttore del "manifesto", Gabriele Polo, visto che la serata era in
onore del nostro indimenticabile eroe dell’informazione vera, Stefano
Chiarini. Per fortuna ha anche espresso un ricordo di Stefano Stefania
Limiti, del comitato chiariniano "Per non dimenticare Sabra e Shatila",
che, con sobrietà e puntualità, all’altezza del nostro amico scomparso,
ha rimesso a posto le cose scardinate dal Polo. Già, perché questo erede
del noto ex-deturpatore del "manifesto" e oggi fiatista de "La Stampa",
Barenghi, dopo quattro banalità sulla profonda conoscenza che Chiarini
aveva del Medio Oriente, ammesse morsicandosi la lingua, ha saputo
infilare un reiterato complimento di "fazioso", cinque volte la
definizione "uomo di parte", "chiaramente di parte", "assolutamente di
parte", fino al conclusivo "uomo di una parte sola". In altre parole, un
integralista islamico, un settario, un estremista, un fanatico, un
facironoso. Tutte qualità che risultano anatema nel paese che, con
entusiasmo pari alle stonature, intona il cantico dei cantici
dell’inciucio. Povero Stefano, s’è ben visto chi ti rendeva la vita
grama nell’"equilibrato" manifesto di un corrispondente israeliano come
Schuldiner, che distribuisce torti e ragioni in modo da rendere
assolutamente paralleli i due piatti della bilancia, quello dei
massacrati e quello dei genocidi, o di una Giuliana Sgrena, devota a
tutti gli stereotipi che lubrificano le guerre sulle quali poi versa
calde e inutili lacrime. Stefano Chiarini, come sa chiunque abbia dato
un’occhiata al Medio oriente senza gli occhiali del luogo comune
imperialista, non era affatto di parte, a meno che non si chiami parte
la realtà. Quelli che ora, polosamente, si occupano di Medioriente o di
internazionale in generale, sono nani al confronto. Denunciare i
macellai di Sabra e Shatila, ribattere le puttanate tossiche che si
spargono su popoli e leader che la criminale cosca occidentale vuole
eliminare, sfondare la muraglia delle menzogne e delle truffe
imperialiste, sioniste, delle élites capitaliste, inoculare nei tossici
da disinformazione pere di verità accertata sul terreno, vuol dire
essere di parte, di una parte sola? Ma che cazzo dici, Gippì?

Dici ciò di cui anch’io personalmente ho lunga pratica, che cioè appena
esci dal senso comune, dalla gabbia degli stereotipi sciattamente e
pigramente e opportunisticamente assunti, da quello che è il pensiero
dominante, la maggioranza vociferante, diventi "di parte"? Una stronzata
sul filo di quella che da decenni ci dipinge la stampa anglosassone, la
più perfidamente e astutamente di parte padronale che esista, come lo
standard aureo, come quella obiettiva, imparziale, da imitare.

Purtroppo per Stefano non finiva lì. Il migliore giornalista di
questioni mediorientali che avessimo in questo paese dei Polo-Barenghi,
si sarà rivoltato nella tomba a vedere il filmaccio di questa
irriconoscibile Mai Masri. A chi possa essere venuto in mente di dare a
questo lavoro l’onore di commemorare Stefano Chiarini deve essere stato
impiantato in capo un chip fabbricato dal Mossad.

Ma, per carità, non era mica di parte quel film su Beirut, figurarsi.
Mai Masri è una garanzia. Non è mica di parte fare un film sulla Beirut
che viene trascinata all’invasione israeliana dall’assassinio mossadiano
del primo ministro Rafiq Hariri, in cui si vedono e intervistano,
invece, una dozzina di fighetti deculturizzati e originalmente ignoranti
della media e piccola borghesia cristiana e sunnita — magliette
qualunquiste, etti d’oro al collo -, totalmente incapaci di articolare
anche un solo pensiero pertinente sulla crisi libanese. Non è mica di
parte dedicare il 90% dell’estenuante carrellismo masriano
all’illustrazione della famigerata "rivoluzione dei cedri" (quella che
l’oligarchia libanese, foraggiata da oltremare e da Israele, allestì
contro hezbollah e contro il proletariato libanese sul modello serbo,
ucraino e georgiano), facendo girare telecamere e microfoni per giorni e
notti tra le tende dell’accampamento allestito in Piazza dei Martiri,
quello nel quale si alternavano oratori come Gemayel e Geagea, assassini
responsabili di Sabra e Shatila e da sempre ascari di Parigi,
Washington, Tel Aviv e ora anche di Roma.

Non è mica di parte commuovere presunti stupidotti in platea mostrando
questi giovani virgulti dell’ incoscienza da discoteca mentre, attorno a
focarelli notturni, cianciano inanità su come sarebbe bello se le varie
confessioni si unissero, con un’unica voce nel coro di questi
sprovveduti che, nei cinque secondi che Masri gli da, dice che forse in
tutto questo casino libanese c’entra un po’ Israele che ha invaso,
bombardato, ammazzato e occupato il paese dal 1978 in poi.

Non è mica di parte quella sciocchina, giovane filo conduttore della
storia, che completa il suo girovagare tra fustaccioni da camping e da
università, pensando di iniziarsi lacrimando alla pace e alla
fraternità, in un accampamento allestito da fascisti e finanziato dalla
Cia. Non è mica di parte girovagare esclusivamente tra questi rampolli
di una borghesia grassa e rozza e non far spuntare neanche il naso di un
esponente di quel proletariato e sottoproletariato della banlieu di
Beirut e di tutti i campi libanesi che di questa gente è la controparte
nobile, matura, consapevole, quella che fa Libano, libertà, giustizia
sociale. E non mercimonio con il nemico dalle monete d’oro, dalla
frusta, e dall’attentato terrorista.

fulvio grimadi in: mondocane fuorilinea del 10/5/07

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