Con la patria nel cuore: i palestinesi di Brasile.

Di Angela Lano.

Brasilia, venerdì di Ramadan. 

Il cortile della moschea dell'Istituto islamico di Brasilia (un'ampia e bella costruzione edificata su terreno municipale con fondi sauditi) ospita i musulmani per la preghiera delle 13. Sono in prevalenza palestinesi di vecchia e nuova immigrazione, ma a tutti gli effetti cittadini brasiliani. Già, perché per il Brasile la cittadinanza è un diritto civile e i profughi palestinesi non hanno dovuto attendere anni e anni per ottenerla. Addirittura, ai rifugiati che ha accolto due anni fa, provenienti dall'Iraq, l'ha già concessa.

Un anziano palestinese se ne sta seduto su un muretto.E' uno delle centinaia di profughi giunti in Brasile dall'Iraq “liberato” dalle truppe Usa. “Sono nato a Jaffa – ci racconta -, ma sono stato costretto a trasferirmi a Gaza, durante la Nakba, la Catastrofe del '48. Dalla Striscia di Gaza occupata da Israele, nel '67, siamo fuggiti in Iraq. E dall'Iraq, nel 2007, sono finito in Brasile.Ma che ci faccio qui? Sono palestinese. Perché non mi hanno fatto tornare in Palestina? Quella è la mia terra, lì voglio andare..Fatemi ritornare a Gaza”.

Il suo disagio è condiviso dagli altri profughi arrivati nel 2007. Essi vivevano alla frontiera giordano-irachena, dove avevano cercato scampo dalle truppe americane e dagli squadroni della morte locali ad esse connesse. Molti loro connazionali furono uccisi, centinaia torturati e arrestati come rappresaglia per essere stati protetti per decenni da Saddam Husseyn, l'ex amico statunitense, trasformatosi in nemico numero 2 (dopo Bin Laden, anch'egli ex amico degli Usa). Per una questione umanitaria, il governo brasiliano ha accettato di accogliere un gruppo di famiglie, tra cui anziani, donne, adolescenti e bambini. Ha offerto loro una casa, assistenza e un aiuto finanziario per due anni, finché non avessero trovato un lavoro e non si fossero stabilizzati. Ora i due anni sono trascorsi, e molti non sono ancora riusciti a integrarsi. 

Il vecchio profugo, sradicato e triste, ci mostra una spilla con i colori della bandiera palestinese: “La Palestina è nel mio cuore. Aiutatemi a tornare”.

In Brasile vivono 28 mila palestinesi, di cui circa 2700 a Brasilia, nella capitale. La comunità più consistente vive a Rio Grande do Sul e Paranà, due stati del sud. Sono immigrati di vecchia data – anni '20, '30 – e più recenti – anni '50 e '60. Si tratta di persone ben integrate nel tessuto sociale ed economico brasiliano. Tutti con cittadinanza, da molto tempo.

E' il caso di Mustafa e di Khaled, due fratelli arrivati da Ramallah nel 1965. Sono commercianti e si occupano dell'associazione dei palestinesi di Brasilia. Al venerdì, dopo la preghiera, allestiscono insieme ad altri arabo-brasiliani banchetti con prodotti tradizionali palestinesi, il cui ricavato va a progetti di solidarietà.

Sono contenti di vivere in Brasile, ma il loro pensiero va alla patria: “Torno a Ramallah da allora, ogni due anni – racconta Mustafa – via Tel Aviv. Ogni volta, gli israeliani mi umiliano per tentare di scoraggiarmi a far ritorno in Palestina, ma io sono determinato e non recedo. Noi palestinesi soffriamo per la nostra terra, ma ce la faremo a riconquistarla”.

(Fine 2a parte)

1a parte:

Un altro mondo: Brasile, la 'lobby' dei deputati pro-Palestina.

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