Con le chiusura da Covid, le opportunità svaniscono per le donne d’affari a Gaza

E.I. Di Ruwaida Amer. Samira Wishah ha mostrato la perspicacia e la diligenza necessarie per gestire un’impresa perché, proprio due anni fa, ha fondato un’azienda di ristorazione e catering. Operando direttamente da casa sua nel campo profughi di Bureij, nel centro di Gaza, ha preparato un vasto assortimento di piatti – a volte anche con l’aiuto di suo marito – consegnandoli a tutti coloro che ordinavano.

Tra le specialità si trovavano ricette tradizionali palestinesi come la makluba, ovvero una casseruola di riso, ricca di verdure e carne, e il fatteh, un mix di pane, yogurt, carne e ceci, oltre al solito hamburger e sushi. Wishah ha conquistato nuovi clienti stuzzicando il loro appetito facendo circolare sul web diverse foto delle sue specialità.

“La mia attività ha avuto molto successo”, ha dichiarato Wishah, 35 anni. “Poi si è fermato tutto”.

Le restrizioni introdotte per prevenire contagi da COVID-19 hanno fatto sì che Wishah non potesse più offrire un servizio di consegna. La situazione ha causato dunque grandi difficoltà.

Wishah, madre di cinque figli, è stata la principale fonte di sostentamento per la sua famiglia negli ultimi anni. Aveva deciso di avviare questa attività poiché suo marito era da tempo disoccupato. “Tutti i miei sogni, così come i miei progetti per garantire un futuro dignitoso ai miei figli, sono andati in frantumi”, ha rivelato la donna.

Capifamiglia sull’orlo del baratro.

Secondo dati relativi all’anno scorso, si stima che le donne siano le principali fonti di sostentamento in circa il 9% delle famiglie di Gaza.

Naima Abu Iyada, che vive anche lei nel campo di Bureij, è una chiara rappresentante di questa categoria: ha tre figli e un marito disoccupato.

Due anni fa ha dato vita ad un centro educativo per offrire lezioni sia di arabo che di inglese. Ha cercato di insegnare le lingue con un metodo alternativo e creativo, spesso mediante l’uso di giochi.

In molti richiedevano i suoi servizi ed è proprio grazie a tale esperienza positiva che le sorti del suo matrimonio si siano risollevate, dal momento che era stato messo a dura prova. Sfortunatamente però, alcuni dei suoi studenti sono risultati positivi al coronavirus e il centro ha dovuto chiudere ad agosto. “Non posso più ricevere né insegnare agli studenti”, ha detto Abu Iyada, 43 anni. “Il mio sogno era quello di promuovere l’istruzione in modi non convenzionali e condividere le mie idee con le scuole. Non mi aspettavo che i miei sogni sarebbero stati distrutti in questo modo”.

I salari si riducono notevolmente.

Yaseen Abu Odeh, rappresentante dell’Associazione delle donne lavoratrici palestinesi per lo sviluppo, ha osservato che il tasso di povertà è drammaticamente aumentato a Gaza nell’ultimo anno.

“La pandemia ha colpito duramente le donne che lavorano a Gaza, il che è davvero tragico poiché molte di loro sono la principale fonte di sostentamento per le loro famiglie”, ha affermato. “Ci sono alcuni datori di lavoro che hanno messo in aspettativa i contratti di molte donne o ridotto la loro paga a meno del salario minimo”. Il salario minimo a Gaza è di soli 200 dollari al mese e circa l’84% dei lavoratori nel settore privato ha ricevuto meno di quella cifra nel periodo tra luglio e settembre di quest’anno.

Secondo i calcoli del Palestinian Central Bureau of Statistics, la disoccupazione femminile ha raggiunto ben il 65% a Gaza in quei mesi, rispetto al 44% per gli uomini.

La salute si aggrava.

Yasmeen Abu Touq, 33 anni, ha avviato un’attività di pasticceria nella sua cucina. Insieme a suo marito, vendeva le caramelle fuori dalle scuole nella zona di Khan Younis, nella Striscia di Gaza.

Con le scuole chiuse a causa della pandemia, le sue opportunità di vendita sono totalmente  scomparse. “Trascorrevo molte ore a preparare dolci colorati per i bambini”, ha raccontato. “Ogni mattina, mi svegliavo molto presto in modo da poterli vendere prima dell’inizio della scuola. Tuttavia, data la situazione del virus, non riesco a lavorare da quasi un anno”.

Abu Touq sta lottando per arrivare a fine mese. Ha sette figli, tre dei quali necessitano di apparecchi acustici. Con la riduzione del suo reddito, si è vista costretta a ricorrere al sostegno finanziario da parte dei suoi vicini.

A Hana Shehadeh, una 60enne della città di Gaza, le è stato diagnosticato il cancro. Dal momento che le cure di cui ha bisogno non sono disponibili a Gaza, deve recarsi regolarmente presso gli ospedali in Cisgiordania. Per far fronte alle sue spese, Shehadeh preparava dolci e offriva un servizio di consegna. Ha smesso di farlo da quando è scoppiata la pandemia.

“Era solo con il mio lavoro che potevo permettermi le cure, gli integratori alimentari di cui avevo bisogno e pagare il mio viaggio”, ha detto. “Mio marito non può pagare tutto questo perché non ha un lavoro. Inoltre, dobbiamo sostenere i nostri figli all’università”.

Shehadeh ha pensato di cercare in tutti i modi un altro lavoro, “ma la situazione con il virus mi ha davvero danneggiato fisicamente e mentalmente”, ha rivelato. “Spero che questa pandemia finisca presto”.

Ruwaida Amer è una giornalista residente a Gaza.

(Gaza. Un esiguo numero di donne necessita di assistenza finanziaria poiché la disoccupazione è in continuo aumento. (Ashraf Amra/ APA images).

Traduzione per InfoPal di Rachele Manna