Visita del Gran Muftì d’Egitto nella Gerusalemme occupata: condanna generale contro la normalizzazione

Al-Quds (Gerusalemme) – InfoPal. La visita a Gerusalemme del Gran Muftì d’Egitto, ‘Ali Guma’a, ha ricevuto la condanna generale.

“E’ una violazione alla sacralità di Gerusalemme, città sotto occupazione”, è stata la reazione dell’Associazione degli Ulama’ (giureconsulti musulmani) palestinesi e di numerosi altri in Egitto.

Da un lato, Ibrahim an-Naji, responsabile per l’Informazione dell’ufficio del Gran Muftì, respinge le accuse di “normalizzaizone dei rapporti con l’occupante israeliano”, dall’altro, si succedono le critiche.

Forze politiche, sindacati e istituzioni religiose in Egitto, tutti hanno riservato parole di disappunto per la presenza di Shaykh Guma’a a Gerusalemme.

Mamdouh Isma’il, deputato egiziano, ha chiesto spiegazioni, pretendendo le scuse, mentre dal partito salafita definiscono la sua visita a Gerusalemme “un avvenimento infausto” e ora chiedono le dimissioni di Shaykh Guma’a.

Mohammed Nur, portavoce del partito salafita an-Nur, insieme ad altri, parla di “reato della visita nel più grave reato dell’occupazione”.

“I liberatori sono i benvenuti, ma non sotto la scorta dell’occupante sionista”, ha detto via Facebook questa mattina ‘Ezzat ar-Rishq, dall’ufficio politico di Hamas.

L’Unione dei lavoratori palestinesi in Egitto compara la visita del Gran Muftì con quella di Anwar Sa’daat (1977), alludendo al preludio di un riconoscimento in via ufficiale da parte di un’autorità religiosa.

Mahmoud al-Habbash, ministro palestinese degli Awqaf (Fondazioni pie), non la ritiene, invece, un oltraggio, né un segno infausto. Al contrario, al-Habbash intravede nella visita del leader spirituale egiziano un’affermazione della sovranità arabo-islamica su Gerusalemme e, in un comunicato stampa, il ministro esprime apprezzamento.

Dal Fronte islamista giordano, con Jabha al-‘Amal al-Islamiyy, si considera l’evento al pari di un tradimento e si lancia un appello: “Astenersi dal rivolgersi alle ambasciate israeliane ad ‘Amman, al Cairo o altrove per visitare la Palestina”.

Grave, sebbene formale, la visita di Shaykh Goma’a, per Ahmed Abu Halbiya, presidente del Comitato di Gerusalemme presso il Consiglio legislativo (Clp) e presidente della Fondazione al-Quds Int.l.

Poche settimane fa, in un episodio identico, l’Imam yemenita, Habib al-Jafri, era stato fortemente criticato. Anch’egli aveva fatto un sopralluogo nell’area sacra di Gerusalemme, accompagnato dagli israeliani.

L’accesso a Gerusalemme e ai suoi luoghi sacri è, invece, interdetto ai legittimi proprietari.

Giorni fa, Israele aveva bandito l’ingresso a Gerusalemme per Shaykh Ra’ed Salah, leader del Movimento Islamico in Israele (Territori palestinesi occupati nel ’48, ndr), per un mese, e ciò in reazione alla sentenza britannica contro la sua deportazione che aveva smascherato l’ingerenza sionista in Europa.

Ieri, invece, in un gesto di “grande sfida alla sovranità islamica sull’Haram ash-Sharif”, per la terza volta consecutiva, le autorità d’occupazione israeliane hanno imposto il divieto di ingresso a ‘Ekrama Sabri, ex Gran Muftì di Gerusalemme e predicatore della moschea di Al-Aqsa.

Israele vieta l’intresso a Shaykh Sabri in base alla presunzione dei contenuti “d’incitamento” pronunciati nei suoi sermoni.

Tuttavia, quella del divieto di ingresso nella città santa è una politica di vecchia data adottata da Israele per istigare un’intera popolazione, per strappare la sovranità ai palestinesi sulla capitale del loro Stato e, in questo, non risparmia nemmeno la popolazione di fede cristiana.