Convoglio umanitario palestinese in visita tra i profughi nei campi in Turchia

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A cura della delegazione al-Marhama in Turchia, 5 febbraio 2015. La delegazione umanitaria al-Marhama, composta da membri dell’Abspp onlus e di Giovani palestinesi italiani, in questi giorni si trova in visita umanitaria ai campi profughi palestinesi e siriani in Turchia, per la distribuzione di pacchi viveri e soccorsi a centinaia di famiglie che si trovano in condizioni molto difficili.

1a tappa, Kilis. Arrivo è al campo profughi di Kilis, alle 10:15, dove vivono 200 famiglie, tra siriane e palestinesi. Distribuzione di 3 tipi di pacchi alimentari, suddivisi in base al numero dei membri della famiglia: 2-3 persone, 3-5 persone, 6-9 persone. I pacchi contengono bottiglie di olio di semi di mais, di olio di oliva, pacchi di ceci, di lenticchie, di spaghetti, di cous cous, di zucchero, pastina, scatole di passata di pomodoro, scatolette di sardine, una scatola di semola, una scatola di dolce. Oltre al pacco alimentare, è stato destribuito distribuito un sacchetto di carbone, che le famiglie consumano in una settimana all’incirca. La situazione dei profughi siriani e palestinesi, in Turchia, è differente. Mentre ai primi viene riconosciuto lo status di profugo, dato il diritto al lavoro, all’assistenza sanitaria gratuita e altro, i secondi non possono nemmeno vivere nei campi profughi destinati ai siriani. Abbandonati al loro destino, sopravvivono grazie a questi aiuti umanitari.

2a tappa, periferia di Kilis. A 1 km dal confine siriano, vivono 30 famiglie palestinesi. Il latte per i bimbi scarseggia e come sostituto viene utilizzato il tè. Alcune di queste famiglie sopravvivono a stento, l’acqua manca per giorni interi ed alcuni di loro fuggono per il mancato pagamento dell’affitto.

“Vi prego, prendete il mio bimbo con voi, portatelo via da qui”. Tra le mani la donna ha una piccola creatura sorridente, indosso l’ultimo pannolino rimasto, il viso sporco, lo sguardo perso. “Non beve latte da tempo, portatelo via. Sarebbe una bocca in meno da sfamare”, continua la donna.

Più in là ci sono dei bimbi con una trottola tra le mani. Sorridenti, sporchi, i capelli arruffati, spettinati, le mani luride, un odore fetido ci travolge. “Zaatar ed olio, zaatar ed olio, mattino, pomeriggio e sera, non ricordo più i giorni in cui la mia bocca ha assaporato altro”, sento parlare dietro di me, lo sguardo sorridente nonostante tutto.

“Mi sei entrata nel cuore, appena ti ho vista, dal primo sguardo”. Un nodo alla gola ci stringe. La abbracciamo forte e le lacrime scendono copiose. Per un istante perdiamo il controllo delle braccia, sembra non si vogliano più staccare da quel corpicino, dodici anni incastrati in quel corpo, in quel cervello cresciuto forse troppo in fretta. “Abbracciami di nuovo”, mi dice. La madre accanto piange, non vede da tempo suo figlio, “ho nascosto il materasso su cui dormiva là dietro, vedi? Dietro quelle tende. La sua sola vista mi rievoca il suo viso, il suo corpo disteso quando ancora era qui con noi”.

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