MEE. Carenza di prodotti disinfettanti e celle gremite fanno temere ai detenuti la continuazione della politica di “negligenza medica deliberata”.
Timori e panico hanno caratterizzato la maggior parte degli ultimi 10 giorni in Cisgiordania, visto che il numero di casi di contagio da coronavirus continuano a salire.
A partire da venerdì scorso, il Ministero della Sanità Palestinese ha confermato che il numero di casi ufficiali hanno raggiunto i 35, trentaquattro dei quali a Betlemme, nella parte meridionale della Cisgiordania.
Ma non appena le misure prese dal governo per fermare la diffusione del virus hanno riportato un po’ di calma, ecco che i Palestinesi si sono svegliati con notizie ancora più terribili: il coronavirus è entrato nelle carceri israeliane, nelle quali migliaia di prigionieri politici palestinesi sono incarcerati.
Il Comitato per gli Affari dei Prigionieri Palestinesi ha riferito che un detenuto nel carcere di Ashkelon è venuto a contatto con un medico israeliano che è poi risultato positivo al virus.
Qadri Abu Bakr, presidente del comitato, ha annunciato che il detenuto non ancora identificato, assieme ad altri 19, ha dovuto essere messo in quarantena.
Intanto, i media israeliani e palestinesi hanno riferito che vi sono casi sospetti di contagio da questo virus in altre due prigioni: il carcere di Ramleh nella zona centrale di Israele, ed il centro detentivo di Moscobiya a Gerusalemme.
Sia in Ramleh che in Moscobiya, i detenuti sono stati posti in quarantena dopo essere venuti a contatto con agenti penitenziari israeliani sospettati di essere stati esposti al virus.
Il Servizio Penitenziario Israeliano (ISP) ha presentato i progetti per evacuare un carcere che si trova vicino al confine egiziano, da utilizzare per le quarantene dei detenuti esposti al virus, ed una pausa nelle visite familiari per i prigionieri palestinesi.
Però i Palestinesi sono preoccupati che il governo israeliano e le autorità penitenziarie non adottino le misure adeguate per prevenire la diffusione del virus e per curare coloro che potrebbero ammalarsi.
Sporco e sovraffollato
“Le carceri israeliane sono notoriamente vecchie, sporche e sovraffollate e sono carenti di tutte le condizioni igieniche fondamentali”, ha raccontato a Middle East Eye Mohammed Abed Rabo, 48 anni, ex-prigioniero palestinese ed attivista.
“Nella migliore delle prigioni, in una cella si trovano tra i sei ed i dieci detenuti, ma in molti casi ve ne sono di piú”, ha detto, aggiungendo che, durante i pasti e le attività all’aperto, si ritrovano insieme anche fino a 120 detenuti per volta.
Il livello di sovraffollamento nelle carceri israeliane, come teme Abed Rabo, sará uno dei principali fattori che potrebbe far diffondere il focolaio di coronavirus tra i prigionieri palestinesi.
Oltre a ciò, ha detto, la mancanza di prodotti disinfettanti per le mani e sapone non faranno altro che peggiorare la situazione.
“Le carceri sono già terribili e ai detenuti vengono forniti solo prodotti igienici di base e necessari”, racconta Abed Rabo, aggiungendo di aver ricevuto informazione tramite gli avvocati dei detenuti contagiati che l’IPS non ha effettuato nessun cambio radicale all’interno delle carceri per affrontare il problema.
“Dovrebbero fornire ai detenuti maschere, guanti, disinfettanti per le mani, maggiori quantità di sapone, possibilità di lavare più spesso i loro vestiti e le loro lenzuola”, ha detto. “Ma tutto quel che viene fatto, invece, è metterli in quarantena”.
Abed Rabo sostiene inoltre che i detenuti posti in quarantena vengono semplicemente gettati nelle celle di isolamento delle carceri.
“Come potrebbero eventualmente ottenere le cure adeguate di cui hanno bisogno, quando vengono soltanto gettati in queste orrende celle di isolamento?” chiede. “E’ in questo modo che si trattano gli essere umani ammalati?”.
“Negligenza medica deliberata”.
Per anni, le associazioni palestinesi per i diritti umani hanno documentato quella che loro definiscono come la politica della “negligenza medica deliberata” nelle varie carceri israeliane, in tutto il paese.
Si stima che dall’inizio della Seconda Intifada, scoppiata dal 2000 al 2005, siano morti 17 detenuti palestinesi come diretto risultato di negligenza medica.
In una pubblicazione del 2016, l’associazione per i diritti dei prigionieri Addameer ha rilevato la presenza di almeno 200 pazienti con malattie croniche, compresi una ventina di pazienti oncologici, altre decine che soffrono di disabilità fisiche e psicologiche, e 25 che risiedono permanentemente presso la clinica del carcere di Ramleh.
“Alcuni di questi pazienti con malattie croniche hanno problemi respiratori e cardiaci, oltre a malattie autoimmuni”, ha riferito Abed Rabo a MEE, sottolineando il fatto che una parte significativa della popolazione carceraria sia costituita da uomini di mezza età o anziani.
“Le caratteristiche demografiche dei detenuti coincidono con i dati demografici di coloro che sono piú esposti agli effetti letali del coronavirus”, ha dichiarato. “E ciò è terrificante”.
I detenuti malati, ha detto Abed Rabo, già attualmente non stanno ricevendo le cure mediche appropriate delle quali avrebbero bisogno.
“Raramente vengono visitati dai medici, ai pazienti con problemi seri vengono spesso prescritti dei normali antidolorifici, mentre coloro che necessitano di trattamenti come la dialisi e la chemioterapia non vengono sottoposti ad un programma di trattamento adeguato”, ha affermato Abed Rabo.
“Quindi immaginate se questi detenuti dovessero affrontare un focolaio di coronavirus”, continua. “Pensate che riceverebbero i trattamenti e le terapie adeguati?”.
Nonostante la serietà con la quale Israele sta affrontando l’epidemia di coronavirus nel suo paese, Abed Rabo ha affermato che dubita che tratteranno i prigionieri palestinesi con la stessa urgenza ed attenzione.
“Volta dopo volta, hanno sempre dimostrato di non preoccuparsi delle vite dei Palestinesi, soprattutto dei nostri prigionieri, quindi perché dovrebbero cambiare proprio adesso?”.
Traduzione per InfoPal di Aisha Tiziana Bravi