Corte israeliana dà il via libera allo sfratto forzato dei residenti di Masafer Yatta

Hebron/al-Khalil – WAFA. Mercoledì, la Corte suprema israeliana ha dato all’esercito il via libera per espellere con la forza i residenti delle comunità di Masafer Yatta, nel distretto di Hebron/al-Khalil, nella Cisgiordania meridionale.

La Corte suprema israeliana si è pronunciata a favore dello sfollamento forzato di circa 1.300 palestinesi che vivono in dodici villaggi o frazioni che compongono l’area di Masafer Yatta, che fa molto affidamento sull’allevamento di animali come principale fonte di sostentamento, segnando così uno dei più grandi sfratti effettuati dallo Stato di Israele negli ultimi decenni.

La Corte ha pubblicato la sentenza mercoledì durante la notte, appena prima del cosiddetto “Giorno dell’Indipendenza” di Israele – che 74 anni fa ha visto la pulizia etnica di 750 mila-un milione di nativi palestinesi, trasformandoli in rifugiati, per stabilire un Stato a maggioranza ebraica in Palestina – e ha respinto la petizione presentata dalle famiglie di Masafer Yatta contro un ordine militare del 1981 che designava l’area come “zona di tiro 918”.

La mossa della corte porta effettivamente alla confisca di oltre 3,5 mila ettari di terra, dove le comunità agricole hanno vissuto per generazioni, per consolidare la costruzione di colonie nell’area.

Situata nell’Area C della Cisgiordania, sotto il pieno controllo amministrativo e militare israeliano, la zona è soggetta a ripetute violazioni israeliane da parte di coloni e soldati, che hanno preso di mira la principale fonte di sostentamento dei palestinesi: il bestiame.

Masafer venne designata come zona militare israeliana chiusa dagli anni ’80 e venne denominata “zona di tiro 918”.

Le violazioni israeliane contro l’area includono demolizione di stalle, case e strutture residenziali. Il rilascio di permessi di costruzione da parte di Israele ai palestinesi locali è inesistente.

Il sindaco di Masafer Yatta, Nidal Younes, ha affermato che la corte ha ignorato tutti i fatti e le prove presentate dalle famiglie negli ultimi 22 anni, che dimostrano che risiedono permanentemente nell’area da prima degli anni ’80.

L’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha criticato la sentenza del tribunale, intesa a trasferire con la forza centinaia di palestinesi dalle loro case e distruggere le loro comunità, con “il chiaro scopo di impossessarsi delle loro terre al servizio degli interessi ebraici”.

“I giudici hanno così dimostrato ancora una volta che gli occupati non possono aspettarsi giustizia dalla corte dell’occupante”, ha aggiunto.

“La decisione, che intreccia interpretazioni legali infondate con fatti decontestualizzati, chiarisce che non c’è reato che i giudici della Corte suprema non trovino il modo di legittimare. Impiegando un linguaggio addolcito, ipocrisia e menzogne, i giudici hanno, ancora una volta, svolto il loro ruolo nel regime israeliano di supremazia ebraica e hanno aperto la strada al crimine di trasferimento forzato, ribaltando la situazione: la sentenza ha definito le vittime palestinesi come criminali ‘illegali’, mentre dipinge il regime dell’Apartheid come la vittima”.

Ha esortato la comunità internazionale ad impedire a Israele di trasferire con la forza le comunità e ad “assicurarsi, se questo crimine dovesse essere commesso, che i responsabili – compresi i ministri del governo, le alte sfere militari ed i giudici della Corte suprema – siano ritenuti responsabili”.

Nel frattempo, l’Alleanza per i diritti umani, un gruppo di attivisti che documenta le violazioni dei diritti umani in Palestina, ha lanciato una campagna online per salvare la comunità.