Crepuscolo e servitù.

Crepuscolo e servitù
Tommaso Di Francesco

Come dalla fortezza del deserto dei tartari, arrivano segnali, ombre, notizie sparse ma pesanti. Dicono del crepuscolo americano. In ogni area del mondo la superpotenza statunitense che ha scelto la guerra, di vendetta o d’aggressione immotivata, all’attacco dell’11 settembre, si trova ora in uno smacco. Contrassegnato non solo da difficoltà militari con i nemici, ma dall’esplodere perfino più devastante di conflitti con i tradizionali alleati.
Questo appare guardando il Pakistan – retroterra della guerra afghana – dove l’appena pronunciata promessa del fedele Musharraf di elezioni a febbraio dopo il suo secondo colpo di stato, è stata subito rimpiazzata dall’arresto domiciliare di Benazir Bhutto, ritirato all’ultimo momento, dalla repressione di massa e dalla legge marziale. Lo stesso discorso vale per il più vicino Caucaso, in Georgia, area alla cui stabilità non ha contribuito a quanto pare la scelta occidentale di allargamento della Nato a est. Lì il superfiloamericano Mikheil Saakashvili, protagonista della «rivoluzione delle rose», mostra le spine. L’uomo che George W. Bush chiama «faro della democrazia», getta la maschera e proclama lo stato d’emergenza contro l’opposizione. Poi, anche lui, è costretto dalla piazza e dai timori di Washington, ad annunciare elezioni anticipate – chissà, potrebbero farle insieme, a Tbilisi e a Islamabad.
E il pantano della guerra in Iraq si riflette sul Medio Oriente, dove lo stallo americano è grave. La conferenza di Annapolis che si prepara perde pezzi e credibilità, la pace è più lontana perché giocata tutta sulla divisione dei palestinesi, mentre quel che resta del governo israeliano allontana ancora una volta la questione dello stato palestinese. Condoleezza Rice fa la spola tra il vuoto e il niente. E come se non bastasse il governo israeliano si mostra più coinvolto nell’avventura di un’altra guerra, quella all’Iran che sempre gli Stati uniti indicano come priorità. Per questo, nonostante sia dotato di un forte potenziale atomico, Israele chiede a viva voce il licenziamento del mediatore dell’Aiea-Onu ElBaradei, favorevole sul nucleare alla trattativa con Tehran.
Non parliamo poi del Continente Africa dove la strategia Usa perde colpi, e nei dimenticati Balcani sull’orlo del precipizio per l’unilateralismo americano deciso a riconoscere l’ennesima indipendenza etnica, quella del Kosovo.
E’ il crepuscolo americano. Ma non c’è da stare allegri. Perché il paese che ha in bilancio 500miliardi di dollari di spese militari, si accorge di essere perdente. E potrebbe esser tentato di uscire dal vicolo cieco con una nuova guerra. Ora che l’Europa politica, se mai è esistita, non c’è più e Sarkozy rimpiazza con Bush il ruolo nefasto che fu di Tony Blair. E l’Italia? L’emergere del Pd di Veltroni con la sua «linea maggioritaria» di governo, sgocciola filoatlantismo e basta. Così il cerino acceso del fallimento degli Stati uniti ci rimane in mano, con tutto il peso delle servitù militari. Precipitano gli elicotteri militari Usa a ridosso delle nostre autostrade e case. E’ vero, il governo pretende indagini congiunte sull’incidente. Ma il caso Calipari è insabbiato. Non si aprono «granai», si alimentano spese militari sofisticate come da finanziaria, si aderisce al piano scellerato dello Scudo di Bush e si obbedisce all’allargamento deciso a Washington della base di Vicenza. Proprio mentre un presidio di massa delle comunità del territorio si oppone. Viene alla memoria la stagione pacifista di Comiso negli anni Ottanta. L’Italia è nel cono d’ombra del crepuscolo. E non se ne accorge.
Da: www.ilmanifesto.it del 10 novembre

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