Crisi nel trattamento dei tumori nella Striscia di Gaza

Gaza – IrinPrima di raggiungere le ossa, il cancro era partito dal seno. Per Fatima Hassami, di 70 anni, si erano fatte frequenti le fratture alla gamba destra e il dolore è diventato cronico. 

“E' così penoso per mia madre –  ha raccontato la figlia Ahlan – ogni volta che si lamenta la sofferenza è anche mia”. 

Fatima è tra i 15 malati di cancro attualmente ricoverati nel reparto di oncologia all'ospedale “Shifa”, la struttura medico-ospedaliera più grande di Gaza. 

“Qui non ci sono medicinali per trattamenti di patologie come queste – ha affermato il capo del dipartimento Ziad Khazander -. La donna ha bisogno di cure per rinforzare le ossa, quello di cui disponiamo non è sufficiente per più di sei mesi”. “Soffre di compressione del midollo spinale e deve fare radioterapia. Ma avendo delle ossa così deboli e con multi fratture, non riusciamo nemmeno a muoverla”. 

Nella Striscia di Gaza, antidolorifici, attrezzature chirurgiche e altri medicinali per casi critici, come per la chemioterapia, scarseggiano di riflesso agli attuali rapporti che intercorrono con l'Autorità nazionale palestinese (Anp) di Ramallah come per le restrizioni imposte dall'embargo israeliano. 

Nel territorio assediato è impossibile somministrare radioterapia nella maniera più assoluta e, gran parte dei pazienti che devono sottoporsi a questo trattamento, non hanno altra scelta che recarsi all'estero con conseguenti ripercussioni in termini di costi, tempi e burocrazia. 

“Su 460 medicinali presenti, nel magazzino del ministero della Salute mancano 170 categorie – ha ammesso il direttore Mohammed Zemili -. La crisi coinvolge tutti i dipartimenti degli ospedali di Gaza, ma in particolar modo quello oncologico”. 

“Ad esempio, attualmente non disponiamo delle medicine per rinforzare il calcio. Per un periodo dai tre ai 4 mesi sono mancati del tutto e non abbiamo antidolorifici. Senza tutto ciò, i nostri pazienti sono costretti a dover sopportare altri dolori”, ha proseguito Zemili. 

In base ai dati del ministero della Salute, nel 2010, 1.523 palestinesi di Gaza affetti da tumore si sono recati in Egitto o in Israele per le cure. 165 di essi erano bambini. 

Preoccupazioni di “sicurezza”. Le autorità israeliane sostengono che il trasferimento di medicinali verso i Territori palestinesi occupati dipenda dalla richiesta proveniente dalla Striscia di Gaza, e che non esistono impedimenti. Tranne però che per ragioni di sicurezza. 

“Tutto quanto trasferiamo a Gaza dipende dall'approvazione dell'Anp di Ramallah”, ha affermato Maj Guy Inbar, coordinatore del governo israeliano per le attività nei Territori palestinesi occupati. 

“Israele è direttamente coinvolto solo quando entrano in gioco questioni di sicurezza – ha aggiunto -. Ci sono medicinali che possono essere convertiti ad uso di attività terroristiche. E in questi casi ne permettiamo l'introduzione solo per mezzo delle organizzazioni internazionali. E' anche il caso di attrezzature mediche come Mri e X-Ray”. 

“Nel 2010, 18 mila palestinesi hanno ricevuto trattamenti in Israele”. 

I costi per i trattamenti fuori dalla Striscia di Gaza sono coperti dall'Anp ad eccezione del viaggio, del vitto e della sistemazione per degli accompagnatori. 

Con le stesse motivazioni di sicurezza si spiega pure il divieto per gli accompagnatori di uscire all'esterno delle strutture ospedaliere durante tutto il periodo di degenza del malato. Devono acquistare il cibo dalle caffetterie e dai negozi all'interno dell'ospedale. In alcuni casi, si parla di degenze che si protraggono anche sei mesi. 

Dal momento che a Gaza il tasso di disoccupazione è superiore al 40%, questi costi risultano essere devastanti. “Ci sono circa cento malati di cancro che devono lasciare Gaza per ricevere trattamento anche una volta al mese – ha aggiunto Khazander -, ma in simili condizioni, essi non possono ricevere alcuna cura”. 

Gli elevati costi dei trattamenti all'estero. Wafer Abu Habel, di 43 anni, è affetta da un cancro alle ovaie, e nell'ospedale dorme nella stanza a fianco a Fatima. Prima dei disordini in Egitto si era recata fuori Gaza per sottoporsi ad un intervento alla fistola. 

Di ritorno a Gaza soffre di efetti come diarrea e dolori: “Siamo rimaste due mesi e mezzi in Egitto”, ha raccontato la madre Sobhaya. 

“In Egitto abbiamo affittato un appartamento nei pressi dell'ospedale. Solo l'affitto ci è costato mille dollari al mese. Siamo entrambe vedove. Ho chiesto denaro in prestito ad amici, ed è stato un periodo molto duro. Abbiamo faticato anche a comprare gli alimenti”. 

La donna sostiene che, potenzialmente, Gaza possa offrire un buon trattamento, ma poi specifica: “E' solo che qui non si hanno attrezzature e medicinali (…) si hanno tutte le buone intenzioni, ma nessun mezzo per curarci”. 

Ancora Khazander: “Prima dell'assedio israeliano, la situazione era decisamente un'altra, ovvero era migliore. Eravamo in grado di somministrare le chemioterapie. Poi, a causa della mancanza di trattamenti, sono sorte complicazioni e abbiamo assistito ad un aumento della mortalità nei pazienti di tumore”.

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