Cultura della paura.

Dal Guardian

Cultura della paura

Seth Freedman, The Guardian – 22 giugno 2008

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2008/jun/22/israelandthepalestinians.fear/

La storia ha offerto al popolo ebraico la paura dell’annichilimento su un vassoio – ma non è perché esiste la paura che ne consegue necessariamente che quel che si teme anche esiste.

 

Stamattina, ero invitato a parlare davanti ad un gruppo di cooperanti che desiderano vivamente avvicinare le comunità ebraiche israeliane e della diaspora. Sono, e si capisce, molto preoccupati sul modo migliore da seguire visto il campo minato che si trova sotto i piedi di chi tenta di criticare degli aspetti della politica di Israele. Abbiamo discusso sul modo più efficace per aprire gli occhi della gente sulla realtà dell’occupazione, per far sentire loro la verità di quanto si commette in nome della sicurezza di Israele. Visto il volta-faccia che ho fatto dal mio insediamento in Israele, 4 anni fa, mi è stato chiesto di descrivere l’esperienza che per me, sinora, più ha influito come catalizzatore in questo percorso politico in cui mi sono imbarcato. Senza esitare ho risposto che è stata la mia gita illecita a Betlemme, durante un week-end di permesso dall’esercito. La nostra unità era di servizio nella città in quel momento e, fino ad allora, io ero stato condizionato a vedere gli abitanti come terroristi in potenza, che bisognava trattare di conseguenza per scongiurare una minaccia mortale per noi. Senza M16 al fianco, né granate nello zaino, ho attraversato il checkpoint e fatto i miei primi passi esitanti in quel che si chiama terreno nemico. Vestito con jeans ed una T-shirt, ho percorso quelle stesse vie del campo profughi di Aida che avevo pattugliato il giorno prima, armato fino ai denti e con l’appoggio di altri 5 soldati. Guardavo passando quelle stesse finestre e porte che in precedenza avevo dovuto scrutare come un rapace, nel caso un uomo armato di un fucile o di una bomba avesse assalito la nostra unità. Guardavo con calma quelle stesse bande di giovani di cui occorreva, quand’ero in divisa, giudicare in un istante se erano ben intenzionati o se attentavano alla mia vita. La paura instillata in me dall’esercito è svanita nel momento in cui sono diventato un semplice turista a passeggio per la città. Al contrario, più portavo armi e armamentari protettivi e più il luogo diventava minaccioso, e questo era – l’ho capito allora – una conseguenza dell’eterno paradosso d’Israele, che prosegue dal momento in cui lo Stato è stato creato. Perché ci sia una giustificazione all’esistenza d’Israele, occorre innanzitutto che una minaccia esistenziale pesi sul popolo ebraico. Ve lo concedo, la storia ci ha offerto su un vassoio la paura dell’annichilimento, ma non è perché esiste la paura che ne consegue necessariamente che quel che si teme anche esiste.

Un elemento di narrazione impressionante nella tradizione ebraica è che, in ogni generazione, si manifesterà Amalek e tenterà di sterminare il popolo ebraico, come avevano fatto i predoni Amaleciti, durante l’esodo degli Ebrei dall’Egitto. Romani, Babilonesi, Greci, Sovietici e Nazisti sono stati tutti, si capisce bene, battezzati come gli Amaleciti di turno, ed ora è l’Iran ad essere promosso al titolo di ultimo membro di questa dinastia multimillenaria.

L’ossessione dello sterminio è il perno nel gioco ebraico delle emozioni ed è stato capitalizzato dal tono virulento del nazionalismo incapsulato nel sionismo odierno. Occupare un popolo intero e schiacciare, da 40 anni, le sue speranze e i suoi sogni? Un male necessario – se non lo facciamo, siamo fottuti. Trasgredire il diritto internazionale, la moralità basilare ed anche il centro della dottrina della nostra stessa religione apparentemente piena di compassione? Desolati, ma dovete capire che «loro» tutti vogliono la nostra morte; o loro o noi, per l’eternità. Sapere chi sono «loro» è una questione quasi priva di significato. Un giorno sono i  Palestinesi perché hanno l’audacia di provare a liberarsi dal giogo dell’oppressione; un altro giorno è la sinistra europea perché ha la faccia tosta d’intercedere in favore della giustizia e della decenza. «Loro» possono essere un bandito isolato, come Norman Finkelstein o «loro» possono essere un miliardo di persone, come tutta la popolazione musulmana di tutto il mondo, comodamente impacchettata in un gruppo omogeneo fondato su un profilo razziale falso. Muri di cemento si sono costruiti tra «loro» e «noi»; sono stati dati ordini che vietano agli Israeliani di superare la linea di divisione con il territorio dell’Autorità Palestinese –sempre sotto la bandiera della protezione della sicurezza degli Israeliani. In realtà tuttavia, non sono che un insidioso tentativo di tagliare fuori ermeticamente Israele dal mondo esterno e di convincere gli Israeliani che si tratta di una misura inevitabile. Chi tra noi è venuto, ha visto e superato i nostri pregiudizi sui Palestinesi, sa perfettamente bene che le fandonie che vengono diffuse sono semplicemente assurde. Certo ci sono, tra il popolo palestinese, militanti molto violenti, ma ce ne sono pure nella società israeliana di elementi pericolosi, come in ogni gruppo etnico ovunque nel mondo.

La reazione tra i miei amici israeliani quando mi sentono parlare delle mie gite a Jenin, Ramallah o Betlemme, di solito è una reazione di orrore per il solo fatto di aver io messo piede in queste città, senza parlare dei contatti con gli abitanti e delle visite a casa loro. «Ti ucciderebbero se sapessero che sei ebreo», urlavano, convintissimi che un lupo palestinese si nasconde dietro ogni porta di campo profughi. La realtà  evidentemente è del tutto diversa; quasi tutti quelli che incontro sanno che sono ebreo ed israeliano, e – sinora –non sono mai stato picchiato, decapitato né manganellato a morte.

Non è per niente difficile capire perché la mitologia e le idee false fioriscano indiscriminatamente presso l’uomo della strada israeliano o nella comunità ebraica della diaspora. Nel vuoto lasciato dalla separazione forzata tra Ebrei e Palestinesi, si ha diritto ad un’orgia di invenzioni esuberanti, dato che la fiction è divenuta verità nella mente delle masse. Si capisce anche che il governo incoraggi e promuova queste favole, per acquisire un sostegno in favore della sua incessante politica di assoggettamento. Ma il solo fatto che sia comprensibile non lo rende in alcun modo accettabile. Morale ed etica sono schiacciate sotto i piedi del mastodonte del nazionalismo, e ciò che sarebbe perfettamente sgradevole in qualsiasi altra circostanza diventa qualcosa di, non solo tollerato dalla società, ma attivamente incoraggiato dall’elettorato israeliano e dai suoi adulatori nel mondo. Continuando a provocare e brutalizzare i Palestinesi, essi creano quel che temono. Ancora una generazione di Amaleciti marchiati col ferro, ancora une ragione per gli Israeliani per disporre i carri in cerchio e prepararsi a resistere e a convincersi che è semplicemente il loro destino essere eternamente odiati e fatti oggetto di invettive. E mai nessun livello di pressione ben intenzionata può bastare per far breccia nello strato pietrificato di diffidenza che esiste tra il popolo ebraico e il mondo esterno.

 

 

 

 

 

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