Da Bocche Scucite. 'Bush non può scrivere le pagine della pace'.

 

Bush non può scrivere le pagine della pace

Suad Amiry scrive in esclusiva l’Editoriale di questo numero 

Stavolta da BoccheScucite certamente vi aspettavate un editoriale tutto dedicato alla visita del Presidente Bush in Palestina ma, se l’avessimo fatto, avremmo in qualche modo anche noi collaborato a scrivere una pagina che non ha niente a che fare con le reali attese di pace dei palestinesi. Certo, Bush ha parlato di “fine dell’occupazione iniziata nel ’67”, ma ha anche confermato che le condizioni saranno sempre poste da Israele a cui non sarà certo chiesto di tornare alle linee del 67, né di toccare i più di 700 chilometri di muro -invisibili al Presidente!- né di rinunciare a Gerusalemme Est o a dover metter in conto di sottostare alle Risoluzioni Onu (dalla 194 sul diritto al ritorno dei profughi, a quelle sulle colonie che vedremo senza dubbio continuare ad allargarsi “naturalmente”). Perfetta intesa della coppia Olmert-Bush: entrambi ripetono i due mantra “rimuoveremo gli outposts illegali” e “decidiamo la ripresa dei negoziati” ma prima-durante-dopo Annapolis, prima-durante-dopo Bush nessuno fermerà un istante la macchina dell’occupazione.  Qualche ‘frase storica’ l’abbiamo raccolta per voi (vedi IN BREVE), ma volevamo non cadere nella trappola dei media che ancora una volta ci hanno svenduto la pace in roboanti titoli cubitali. Abbiamo invece chiesto “un’editoriale di pace” a chi ci ha già regalato pagine straordinarie di vita e di speranza dalla sua Ramallah. È SUAD AMIRY, scrittrice famosa in Italia per i due volumi “Sharon e mia suocera”, “Se questa è vita” e l’ultimo lavoro “Niente sesso in città”, tutti editi da Feltrinelli. 

BoccheScucite: Suad, Mr.Bush, alla fine del suo mandato è venuto a Ramallah. Cosa gli avresti detto se fosse venuto nella vostra sede di Riwaq (Centro per la conservazione e il restauro dei beni architettonici di Palestina)?

Suad: “Intanto gli avrei fatto notare che si trovava in Palestina visto che, come tanti altri, lui parla sempre e solo di “Israele” senza mai nominare la “Palestina”.

Poi, prima ancora di parlargli della nostra situazione, gli avrei detto di prender coscienza della distruzione totale dell’Iraq di cui lui è responsabile. Spontaneamente avrei voluto mostragli, anche attorno alla mia città, la mostruosità delle colonie che stanno distruggendo la nostra terra, ma poi avrei scelto di  chiedergli il ritiro dall’Iraq perchè anche se non se ne parla più tanto, lì c’è veramente l’inferno.

E gli avrei spiegato semplicemente che non può sempre pensare alla “guerra”: in Palestina, per esempio, non c’è una guerra. Non c’è nessuno scontro tra due eserciti. Qui c’è solo un esercito potentissimo, il più forte del Medio Oriente, che occupa da decenni la nostra terra, impedendo a milioni di persone di vivere normalmente la loro vita quotidiana. Gli avrei detto che, invece di parlare di “processo di pace” sarebbe più utile parlare della causa di tutto: la colonizzazione della Palestina. (leggi Moni Ovadia in A VOCE ALTA). È vero che ci sono diversi aspetti del conflitto ma c’è una sola parola per spiegarlo: la terra”.

BoccheScucite: Anche noi facciamo fatica a capire i termini del conflitto israelo-palestinese e comprendiamo la difficoltà di risolverlo da parte dei leader, proprio perchè ci appare molto complesso.

Suad: “Invece dovremmo abituarci a riassumerlo tutto nell’unica parola “terra”. Non è un conflitto culturale né religioso, ma unicamente legato al furto della nostra terra. Il problema è la colonizzazione. (sui rapporti tra Israele e il Vaticano leggi in HANNO DETTO). Io so bene che la gente normale, anche in Italia, ha davvero poco tempo per venire a conoscere quello che accade in Africa, in Asia o in Palestina. Ma qualsiasi persona, da ogni parte del mondo, credo si senta comunque legata a questa terra e alla città di Gerusalemme e per questo è giusto chiarire e semplificare la radice di tutto: la colonizzazione. Noi abbiamo una sola richiesta da fare ad Israele: siete disposti a ritirarvi restituendoci la nostra terra? Noi abbiamo già accettato di vivere a fianco ad uno stato che ci ha già sottratto tanta terra, ma difendiamo il nostro diritto di vivere in quel che resta della Palestina. E mi stupisco sempre di come noi palestinesi siamo gente pacifica e come resistiamo ad una simile violenza: non so come reagireste voi in Italia, se per anni e anni foste oppressi da tutto quello che Israele continua a fare a noi. Mi sorprende la straordinaria sopportazione della nostra lotta, sempre con mezzi pacifici. Le nostre manifestazioni sono sempre pacifiche e cerchiamo di rispondere attraverso la nostra normale vita quotidiana, fatta di tutte le cose più normali, dal lavoro all’arte, dal cibo al vestito. Noi siamo gente normale: persone che si amano e che fanno crescere i loro figli, che studiano e lavorano. Questa vita quotidiana io cerco di raccontare nei miei libri. Perchè non viviamo solo di insediamenti o distruzioni, della questione dei profughi o di Gerusalemme. Noi vogliamo vivere una vita semplice, normale.” (trovi uno squarcio nella vita dei palestinesi in IN BREVE).

Attraverso questa vita semplice, normale, passerà il reale processo di pace. Ben oltre le “emozioni” di Bush. 

 

MA’ ALEH ADUMIM: attenti al nome

 Ma’aleh Adumim è il nome di un insediamento israeliano a ridosso di Gerusalemme nella Cisgiordania occupata. Sul piano del diritto internazionale è una colonia illegale costruita sulla base di un primo insediamento di un pugno di coloni che vi si installarono nel dicembre 1975. Il lettore italiano probabilmente non ne ha mai sentito parlare ma è probabile che questo nome assurga ad una notorietà internazionale alla stregua di Fort Alamo o delle isole Kurili. Per quale ragione?

In una recente intervista al quotidiano israeliano di lingua inglese Jerusalem Post, il premier israeliano ha fatto un’esternazione sconcertante, ha dichiarato che gli israeliani ma anche gli amici più spassionati di Israele, dovranno interiorizzare (in inglese “internalize”) la divisione di Gerusalemme quando sarà siglato l’accordo che porterà alla formazione dello stato palestinese e quindi alla situazione “due popoli due Stati” con Gerusalemme capitale condivisa. Fin qui le parole di Olmert sembrano di una sconcertante apertura, soprattutto rispetto alle sparate ideologiche nazional religiose del genere: “Gerusalemme capitale una e indivisibile di Israele”. Subito dopo l’ardita dichiarazione, Olmert si è però precipitato a specificare che l’insediamento di Ma’aleh Adumim dovrà essere considerato nello status finale, parte integrante della Gerusalemme israeliana. Coerentemente con la sua appartenenza all’estabilishment che ha sostenuto e legittimato la quarantennale occupazione segnata da un’ininterrotta espropriazione e colonizzazione delle terre palestinesi, Olmert ha dato sanzione ufficiale a quella che è da sempre la posizione della squadra di Sharon e non solo: «non terra in cambio di pace e sicurezza, bensì terra in cambio di t
erra, pace, sicurezza, smilitarizzazione, eccetera». La terra, sul piano di qualsiasi legalità degna di questo nome, è ovviamente quella palestinese, ma da lungo tempo una parte consistente del sistema di governo politico-militare della Stato d’Israele, mostra di considerare il diritto internazionale e le risoluzioni dell’Onu assolutamente “optional” forte anche di una sciagurata promessa fatta da Bush – non si capisce con quale legittimazione se non quella della prepotenza – di sostenere la posizione israeliana risolutamente contraria a stabilire il confine fra i due stati sulla “green line” secondo le risoluzioni Onu 338 e 242. Ma’aleh Adumim ha quasi le dimensioni di una città. Per il momento la sua popolazione è intorno ai 32.000 abitanti ma seguendo la logica della crescita “naturale”, il settlement presto raggiungerà i 50.000 residenti. Per i coloni la questione è chiara: Ma’aleh Adumim è parte della terra promessa, è citata nella Bibbia in Giosuè (15, 6-18) come area di confine fra le tribù di Giuda e di Beniamino. Nei loro talkback, in risposta all’intervista di Olmert sul Jerusalem Post, lo sbeffeggiano per la sua idea di “condividere” Gerusalemme con i palestinesi e gli ricordano che lui, come leader, conta meno del due di picche visto che il suo indice di gradimento presso gli elettori arriva appena ad un miserabile 3% e gli suggeriscono pertanto di andarsene. Forse anche i nostri Cicchitto, Bondi, Schifani, che ogni giorno starnazzano per chiedere le dimissioni di Prodi, potrebbero pregare Olmert di dare il buon esempio. Ma l’oltranzismo idolatrico dei coloni, le furberie di Olmert e persino l’arroganza di Bush, oramai “anatra zoppa”, non sono a mio parere il vero merito della questione. La palla sta nel campo dell’estabilishment israeliano e della complessa ed articolata società che governa. La pace ha un prezzo serio e tocca agli israeliani pagarlo per ragioni ovvie che non attengono ai giudizi morali ma ai fatti. Chiunque si disponga a guardare la realtà lo capisce. Basta procurarsi 5 mappe della cisgiordania: 1) insediamenti dei coloni, 2) zone sotto controllo dell’esercito israeliano, 3) strade non percorribili dai palestinesi, 4) check point, 5) tracciato del muro, sovrapporle e si capisce senza commenti che il popolo palestinese vive in prigione e ha già dato.

Senza il pieno ritiro degli israeliani dalle terre occupate nel ‘67 in pieno accordo con l’Anp, tutte le Annapolis e le Camp David saranno solo grottesche messe in scena. Solo a quella condizione la parte responsabile della leadership palestinese potrà recuperare alla via della trattativa Hamas o almeno la parte più consistente del suo elettorato e questo è anche nell’interesse del futuro di Israele.

Ormai è evidente che colonizzazione, occupazione e sicurezza, hanno solo una relazione strumentale. La vera questione è: la maggioranza degli israeliani sono in grado di riconoscerlo oggi, dopo un così lungo e difficile periodo di questo nefasto status quo?

Moni Ovadia, L’Unità 5 gennaio 2008

Quale inferno vuoi che ti racconti?

Davvero puntuale l’intervista rilasciata da MOUSTAFA BARGHOUTI, leader di Al-Mubadara, a Peacereporter Di seguito solo un assaggio. Vale la pena di leggerla tutta in

www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=9656

 C’era anche lei ad Annapolis?

Annapolis… Perché non mi chiede di Gaza? È Gaza la domanda obbligata. Parigi celebra i suoi donatori, ma noi non abbiamo bisogno di carità, abbiamo bisogno di diritti e giustizia, frontiere aperte. Gaza è un campo di concentramento, e Israele ancora infierisce con attacchi, incursioni, invasioni. Negli ultimi sei mesi sono stati uccisi 5 israeliani e 218 palestinesi, sono i soldati ormai, non i civili, le vittime accidentali, sono loro gli effetti collaterali di questa guerra. Potrei darle infiniti numeri, statistiche, dirle dell’acqua, la sete, le medicine, il gasolio, morire perché manca la lampadina in sala operatoria, sopravvivere di aiuti umanitari, umiliarsi di elemosina internazionale, e un collasso che è tutto ancora da venire, perché gli agricoltori non hanno più niente da seminare, gli operai più niente da lavorare… E Israele, intanto, che spara. Scelga lei, che inferno preferisce le racconti? Tanto non la scalfirò. La cosa più devastante non è il dramma, ma l’indifferenza. Lei è italiana come Gramsci… ‘Quello che avviene, non avviene perché alcuni vogliono che avvenga, ma perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare… È l’indifferenza la materia inerte della storia, la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde’. Vivere significa essere partigiani. La storia un giorno chiederà conto di Gaza. Chiederà a tutti voi – dove eravate mentre Gaza spariva? È questa l’unica domanda obbligata. Dove siete? Consumarsi di cancro respinti a un checkpoint… E tutto questo perché? Perché ci sono state delle elezioni democratiche. La risposta è stata il massacro collettivo.

I Palestinesi si aspettano dal Vaticano…

“Il Papa mi ha assicurato che farà tutto ciò che è in suo potere per sostenere il processo che alla fine porti alla nascita di uno Stato palestinese”. Il nuovo rappresentante dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) in Vaticano, Shawqui Jabriel Armali, parla così del colloquio avuto il 10 dicembre scorso con Benedetto XVI. Il sito Terrasanta.net lo ha intervistato. “Ci aspettiamo che il Vaticano eserciti tutta la sua moral suasion su Israele e sulla comunità internazionale per porre fine alle vessazioni e all’embargo disumano al quale è sottoposta la popolazione a Gaza. Ci aspettiamo che il Vaticano denunci pubblicamente qualsiasi atto contro i palestinesi. Incontrando il cardinale Tarcisio Bertone ho potuto toccare con mano la loro preoccupazione su molti aspetti del conflitto”.

Aspettative o illusioni? A giudicare dall’intervista che lo stesso cardinal Bertone ha rilasciato a Famiglia Cristiana (6 gennaio), davvero c’è poco da sperare da un entourage vaticano tutto impegnato ad accontentare in tutto lo Stato d’Israele…

…e il Vaticano si aspetta da Israele

 Il Cardinal Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, in un’intervista sull’impegno della Santa Sede nelle diverse parti del mondo, si rammarica che lo Stato d’Israele non ricambi tutti i favori e le preferenze accordatele dal Vaticano. Abbiamo fatto tutto il possibile per “arricchire Israele” con i pellegrinaggi ma non ci ha dato niente in cambio… Ci siamo fatti in quattro per “alimentare nel mondo un’immagine più giusta di Israele” difendendolo sempre e comunque e astenendoci dal denunciare la sua devastante responsabilità nei confronti di milioni di palestinesi. È infatti sotto gli occhi di tutti la scandalosa la scelta di moltissimi tour operator cattolici e di intere Diocesi italiane, di escludere volutamente le strutture alberghiere e turistiche palestinesi a favo
re del Ministero del turismo israeliano! Movimenti e gruppi cattolici italiani si ostinano a dimenticare i cristiani di Betlemme scegliendo di alloggiare in alberghi israeliani di Gerusalemme, contribuendo così all’impoverimento di migliaia di famiglie, ridotte sempre più spesso ormai alla più umiliante elemosina. Ma ciò che sconvolge è la totale dimenticanza -nell’intervista al Segretario di Stato- di qualsiasi accenno al popolo palestinese, ‘murato vivo’ dalla quarantennale occupazione militare israeliana. Bertone è quindi ben attento a non irritare Israele nonostante sia impossibile non riconoscere l’assurdità dell’incredibile rifiuto d’Israele di concedere i visti ai preti cattolici. Perfino il Papa è impotente e deve astenersi dal criticare Israele (davvero non sarebbe simpatico accusarlo di antisemitismo). Per questo Bertone ci rassicura che la Santa Sede “ha fatto tanto” perché “noi comprendiamo il problema della sicurezza d’Israele”.

 Ecco l’intervista pubblicata in Famiglia Cristiana (6 gennaio 2008):

 Il Medioriente è uno dei problemi che ci preoccupano di più. Il Papa ne parla con tutti i leader che vengono in visita in vaticano e al Medioriente ha dedicato moltissimi appelli durante gli Angelus domenicali di quest’anno.

Noi comprendiamo il problema della sicurezza d’Israele. Ma questo non si può tramutare in un atteggiamento negativo verso i membri della Chiesa Cattolica, che ha fatto tanto negli ultimi 15 anni, sia per regolarizzare i rapporti con Israele, sia per migliorare la comprensione dell’ebraismo. Il Custode di Terrasanta, Padre Pizzaballa, ha ricordato che i pellegrini di tutto il mondo contribuiscono ad alimentare nel mondo un’immagine più giusta dello Stato d’Israele. I pellegrinaggi ai luoghi santi, inoltre, arricchiscono Israele. Quest’anno sono cresciuti più che nell’Anno Santo del 2000. A volte, tuttavia, ci pare che Israele non valuti opportunamente e adeguatamente tutto ciò. Noi ci siamo impegnati in un dialogo intenso, ma purtroppo non otteniamo soluzione a molti problemi concreti: diritti di proprietà, visti ecc. Il nostro personale religioso in Terra santa non ottiene i visti, eppure non si può dire che minacci la sicurezza. Questa è una chiusura che impedisce un’attività serena.

 BoccheScucite

 ( http://www.terrasanta.net/terrasanta/att_det.jsp?wi_number=939&wi_codseq= )

 

Pubblichiamo un Appello disperato già diffuso a Novembre da molti preti della Chiesa di Terra Santa, perchè sembra che nemmeno con le pressioni più alte della Santa Sede, ci sia stata alcuna decisione da parte di Israele:

 Restrizioni di Israele ai cristiani: a rischio il futuro della Chiesa!

 Il Ministero degli Interni Israeliano ha deciso di limitare l’entrata dei possessori di visti validi per “una sola entrata” oppure “nessuna entrata”. Inizialmente questo provvedimento era intenzionato a proibire l’ingresso a coloro che provenivano da “paesi nemici”. Malgrado ciò adesso comprende anche GIORDANI  ed EGIZIANI , gli unici due Paesi Arabi che avevano firmato il trattato di pace con Israele; tra i possessori di “visto” che hanno queste restrizioni sono Sacerdoti, uomini e donne religiosi, seminaristi ed altre persone della Chiesa in terra santa.

QUELLO CHE PUÒ SEMBRARE UNA RESTRIZIONE NORMALE IMPONE INVECE DELLE GRAVI CONSEGUENZE.  

Il Patriarcato di Gerusalemme, che include PALESTINA, ISRAELE e GIORDANIA, sarà gravemente diviso in quanto ai sacerdoti Giordani e al personale delle Chiese non sarà permesso loro di spostarsi fra GIORDANIA, ISRAELE e PALESTINA! Le stesse restrizioni saranno applicate alla CUSTODIA DELLA TERRASANTA, la CHIESA MELCHITA e LE CONGREGAZIONI RELIGIOSE.

Ai SEMINARISTI del Seminario del Patriarcato Latino in BEIT JALA, la maggior parte dei quali sono Giordani, non sarà permesso di visitare le loro famiglie a Natale, Pasqua oppure altre occasioni, comprese eventuali emergenze che si possano verificare: queste visite comporterebbero la perdita del “visto di residenza”. Le richieste di un nuovo “visto” mentre sono fuori del Paese, in base alle nuove regolamentazioni Israeliane,può richiedere 3-4 mesi .I Giordani possano lasciare il Paese (Israele,Palestina) ma il re-ingresso non è garantito. Giordani ed altri Sacerdoti arabi devono rimanere nel paese (Israele,Palestina) senza uscirne e quando il “visto di residenza” scade, devono lasciare il Paese, richiedere un nuovo visto prima che possano ritornare alle loro parrocchie e ministeri;il periodo di attesa può essere 3-4 mesi  senza garanzie di poterlo avere.

Tutto l’operato della Chiesa sarà messo a repentaglio da questa procedura. Se Israele continua con le nuove regolamentazioni, le conseguenze saranno pessime:

1 – entro giugno 2008 la CHIESA CATTOLICA perderà molto del suo Clero in prevalenza della GIORDANIA

2 – il SEMINARIO, fondato nel 1852 e che ha formato e forma tutto il Clero e i Vescovi del PATRIARCATO LATINO (256 vescovi dal 1852) sarà costretto a chiudere.

3 – Tante Parrocchie saranno lasciate senza Preti..

QUESTE NUOVE RESTRIZIONI SONO AGGIUNTE A QUELLE GIA’ ESISTENTI!

Assistiamo a innumerevoli ritardi e complicate procedure burocratiche per ottenere i “visti” per il personale di cui la Chiesa ha bisogno per il Suo lavoro; il rifiuto di emettere o rinnovare visti senza nessuna spiegazione.

La libertà della Chiesa nella gestione ordinaria è dichiarata nell’ ACCORDO FONDAMENTALE fra la SANTA SEDE e lo STATO DI ISRAELE NEL 1993 ma MAI RATIFICATO dal Parlamento Israeliano.

– Ai preti palestinesi non è permesso di entrare in ISRAELE o GERUSALEMME possono avere il rilascio dei “permessi”dalle autorità militari Israeliane,limitando i punti di entrata, la durata del soggiorno, restrizione degli orari , vietato l’uso delle auto, dovendosi sottoporre a controlli umilianti ai checkpoint  e annullando i permessi in qualsiasi momento o ancora di più con la frequente chiusura “dei Territori”. Queste restrizioni non permettono qualsiasi tipo di normale lavoro pastorale o qualsiasi partecipazione alle cerimonie religiose nella Terra Santa o gli incontri mensili-ritiri al Patriarcato Latino.

Ai CRISTIANI PALESTINESI oppure come è nel caso di tutti i PALESTINESI non è permesso di andare a GERUSALEMME e/o visitare i Luoghi Santi..  Con l’applicazione delle nuove restrizioni imposte ai pastori,seminaristi  e personale della Chiesa, la vita stessa della Chiesa sarà gravemente toccata.

CIÒ CHE PRETENDIAMO ADESSO DA ISRAELE È:

rispettare la libertà religiosa;

rispettare la realtà della Terra Santa come della vita della Chiesa;

rispettare la libertà della Chiesa per esercitare il suo lavoro pastorale;

rispettare l’acco
rdo preso nel “TRATTATO FONDAMENTALE” con la SANTA SEDE; consentire al personale della Chiesa di spostarsi liberamente, semplicemente dando l’opzione “INGRESSI-MULTIPLI” e i loro visti di residenza.

SE LE RESTRIZIONI CONTINUANO, IL FUTURO DELLA CHIESA IN TERRA SANTA SARÀ GRAVEMENTE MINACCIATO.

Alcuni Sacerdoti del Patriarcato di Gerusalemme,

Betlemme, 1 Novembre 2007                              

LA TERRA, LA BIBBIA, LA STORIA

Alain MARCHADOUR, David NEUHAUS, Jaka Book, 2007

 “Tutte le nazioni sparse sulla superficie del globo sono chiamate a diventare Terra santa! (…) Sorgono a tal proposito tante questioni: come riconoscere, anche nella lettura della Bibbia, i giusti diritti del popolo palestinese, privato della propria sovranità e della propria libertà e sottoposto a ingiuste vessazioni?” È il Card. Carlo Maria Martini che scrive la prefazione dell’importante e assolutamente originale studio di due biblisti che vivono e lavorano a Gerusalemme. Il ricchissimo volume sull’interpretazione della realtà della ‘terra’ nella Bibbia, nella tradizione cristiana e nell’attualità della drammatica situazione della Palestina, riempie un vuoto e dà una originalissima risposta a tanti interrogativi sul significato oggi di una “terra promessa”da Dio, ferita e lacerata dal conflitto israelo-palestinese. È inaccettabile pensare alla terra biblica d’Israele senza valutare i problemi nati “a partire dalla creazione della Stato d’Israele e dalla presa di coscienza dell’identità palestinese con tutte le ingiustizie subite da questo popolo” magari confondendo l’Israele biblico con lo stato nato nel 1948. “La Bibbia -scrivono i due autori- non offre soluzioni pronte ma rammenta ciò che dovrebbe essere la terra dell’alleanza per tutti gli uomini, chiamati a vivervi e a servirvi Dio e i fratelli. Perchè questa terra, secondo quanto ci narra la Bibbia, sta di fronte a noi come la terra di Dio” (p.212). E’ impossibile fare una sintesi soddisfacente di una riflessione tanto articolata visto che nei secoli il concetto di ‘Terra santa’ è diventato sempre più ampio: così per esempio “per il cristiano la morte e resurrezione di Gesù donano un nuovo significato alla terra d’Israele, aprendola ad una dimensione universale e facendo di ciascuna terra dell’universo una terra chiamata a divenire anch’essa Terra santa. (…) Allo stesso modo lo statuto universale della terra non dovrà essere dimenticato: è un luogo di benedizione per tutte le nazioni” (p.21 e 37). Affascinante il percorso, agile ma approfondito, attraverso i libri della Bibbia, per ampliare sempre una prospettiva che spesso è erroneamente intesa esclusivamente limitata al popolo ebreo. “Gerusalemme è la città di tutti i popoli (Is.56,7) e le benedizioni di Dio, prima radicate nella Terra promessa, fanno poi saltare tutte le frontiere abbracciando tutti i popoli” (p.77). “Non riguarda solo Israele la dinamica tra il dono, la perdita e il rinnovamento del dono della terra: tutto il cosmo ha la vocazione a divenire Terra santa”. Gesù, poi, “relativizza la terra, sostituendola con la sua persona” e con lui “finisce la centralità esclusiva di Gerusalemme e della Terra promessa” (103). Vale la pena di leggere quest’opera perchè gli autori non smettono mai di ricordare l’attualità, visto che “la prima vittima dello stato d’Israele nascente è il popolo palestinese, dopo la catastrofe del 1948”. “Per la Chiesa -ricordano- la realtà palestinese è un dato tanto sentito in quanto le comunità cristiane di terra santa sono costituite in grande maggioranza da palestinesi”. Putroppo, “guidati da una lettura ingenua della Bibbia, molti lettori possono credere che la Bibbia legittimi le rivendicazioni territoriali degli israeliani nella loro piena estensione, visto che sono appoggiate dalla Bibbia” (p.174) ma non dobbiamo dimenticare il punto di vista palestinese per il quale “gli avvenimenti che hanno condotto al ritorno degli ebrei sono stati una grave ingiustizia, che lo ha progressivamente spogliato della sua terra”.

Interessante la carrellata di documenti del magistero cattolico per “tracciare una distinzione tra ciò che è politico e ciò che è religioso, tra il giudaismo come religione e il sionismo come ideologia politica”, visto poi che “l’antisionismo non è dello stesso ordine dell’anti-semitismo poiché riguarda lo stato d’Israele e la sua politica”(p.196). Tutti temi fondamentali che vengono acutamente affrontati da Giovanni Paolo II, dal magistero straordinario di Michel Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme o da altre voci che hanno il coraggio di denunciare una verità scomoda: “Benché coscienti della tragedia che ha condotto il popolo ebraico a cercare una protezione sicura in uno stato sovrano e indipendente, noi vorremmo chiedere ai figli di questo popolo di riconoscere i diritti e le aspirazioni legittime di un altro popolo, che ha anch’esso sofferto per lungo tempo, il popolo palestinese” (Paolo VI, citato a p.208).

BoccheScucite

LA VISITA

Bush va e viene ma noi restiamo qui. E anche i palestinesi.

Non saranno gli americani che proteggeranno il nostro futuro.

 Il nostro futuro sarà sicuro quando saremo riusciti a persuadere il mondo arabo che siamo partner leali  per ricostruire questa regione con tutti i suoi popoli e paesi.

 Gush Shalom. Haaretz, 11 Gennaio 2008
 

Nablus, cronaca di ordinaria devastazione

 Da Nablus l´IDF si è ritirata definitivamente stanotte alle 2, il centro di Nablus era già libero dalle 15.30. Nel pomeriggio si è sentito ancora qualche sparo, così come nella notte, verso le 23,30-24.00, come avviene spesso. Spari piuttosto vicini a dove alloggiamo. Per questo motivo è particolarmente pericoloso muoversi all´esterno con l´oscurità. Oggi siamo andati in giro a vedere i danni dell´ IDF dopo tre giorni di invasione.

La gente di Nablus, ci ha raccontato di devastazione, insulti e minacce. Una donna alla quale hanno occupato la casa, commenta "credono che questa sia casa loro, tutte le volte che vengono la occupano, e vengono praticamente tutte le notti"; un’altra donna ci racconta di essere stata minacciata di morte e di aver risposto "uccidetemi pure, tanto cosa posso fare…" Spesso chiudono la gente in una stanza, magari 10 o 15 persone. Hanno riunito alcune famiglie in un’ unica casa e le hanno chiuse dentro, poi hanno occupato e utilizzato le loro abitazioni. Abbiamo visto i muri distrutti con la dinamite per poi passare da una casa all’altra, mucchi di rifiuti lasciati dai soldati, case completamente sottosopra. Alcune abitazioni sono prese particolarmente di mira, soprattutto quelle di famiglie che hanno dei martiri. Lì spesso distruggono tutto quel che può avere un valore per la
famiglia: frigoriferi, televisioni …

Una donna ci ha raccontato che lei e i suoi bambini erano dall’altra parte di un muro che i soldati stavano facendo esplodere e non solo non sono stati avvertiti ma quando si sono resi conto di quel che stava avvenendo e hanno tentato di uscire di casa, i soldati le hanno intimato di ritornare dentro, accusandola di avere avvertito tutto il vicinato. I bambini sono i più traumatizzati, si può immaginare cosa significhi per loro essere svegliati nella notte dai colpi dei soldati contro la porta.

Durante l´invasione i soldati hanno occupato molte case del centro, per sistemarci i cecchini, che rompono i vetri e si appostano. A volte pezzi di pavimento, di soffitto o di muro vengono divelti per cercare nascondigli.

I genitori di Shamekh, un volontario, hanno sempre la casa occupata durante le incursioni dell’ Esercito, perché abitano in alto sulla piazza principale della città, e da li si controlla una buona parte del centro. Nei giorni scorsi I soldati sono entrati, hanno spinto via sua madre, si sono installati nella stanza più grande occupando anche quella adiacente. Hanno sparato su un tavolo, contro un mobile e ad una bambola. Sono arrivati in 24, per poi darsi il cambio, quando terminavano il turno. Hanno messo sottosopra l´abitazione ma fortunatamente, almeno in questo caso, non hanno distrutto niente ma le hanno detto che torneranno fra tre gg,, la stessa minaccia fatta a molte altre famiglie. Una volta la famiglia di Shamekh è stata con  l’esercito in casa per un mese, la madre  costretta a dormire col materasso sul pavimento della piccola cucina.

In una casa ci hanno raccontato che i soldati che la occupavano si sono messi a mangiare, mentre i bambini che avevano fame, non potevano, come tutto il resto della famiglia.

Più tardi siamo andati all’ospedale di Rafidia dove erano ricoverati due ragazzi di Azzoun, ai quali i soldati hanno sparato perché tiravano i sassi. Uno di loro è stato anche picchiato dai soldati.

Le persone non hanno modo di difendersi da tutto questo. L’autorità palestinese si ritira e non interviene, quando ci sono gli attacchi israeliani. Questi sono gli accordi. 

La gente però non ce la fa più a vivere in questo modo,  le famiglie che possono se ne vanno, anche la famiglia di Shamekh si trasferirà presto fuori dal centro, la vita così è impossibile.

Nei giorni scorsi un uomo residente a Gerusalemme, che secondo la legge israeliana non può entrare a Nablus è stato minacciato, la prossima volta che tenterà di entrare gli faranno una multa salatissima. Stava solo visitando la sua famiglia.

Oggi le persone di Nablus avevano voglia di raccontare, di farsi intervistare per poter finalmente esternare la loro rabbia e frustrazione "in occidente, soprattutto negli USA, gli arabi sono visti come terroristi, ma noi, siamo persone normali, non facciamo male a nessuno e questo è il trattamento che ci viene riservato".

Gabriella (Zaatar)


Un sorriso d’intesa tra Rice e George, forti emozioni, frasi ispirate da Dio…

E Olmert può stare tranquillo.

 «Non vedevo l’ora di tornare», dice, visibilmente emozionato George, mentre abbraccia Peres e in qualche modo tutti i cittadini israeliani che con questo Presidente davvero si sentono sicuri: potete proseguire indisturbati nell’occupazione e nella demolizione della società palestinese. Avete già visto che dopo Annapolis non è cambiato proprio niente: non rimuoveremo nessuna colonia, nemmeno un posto di blocco e nessuno si permetterà di criticare distruzioni e uccisioni perchè “Israele è il migliore alleato nella guerra al terrorismo”!

Quanto all’impegno di Bush per fermare il massacro quotidiano di palestinesi a Gaza e in Cisgiordania è chiarissimo: «Se ci sarà bisogno di una piccola pressione, provvederò». E poi, quel sorrisetto di intesa tra la Rice e George ha siglato l’accordo finale:  Condoleezza in un’intervista concessa alla stampa israeliana, il giorno prima aveva detto solennemente: «Gli Stati Uniti hanno chiarito da tempo che fra gli insediamenti nei Territori e quelli a Gerusalemme est, non esiste alcuna differenza. In particolare noi ci siamo espressi contro Har Homa sin dall’inizio». Ma quando Olmert davanti all’”amico e confidente” George, ha invece sostenuto l’esatto contrario, il presidente americano che era al suo fianco ha reagito solo con un lieve sorriso. A questo punto Condoleezza, ha capito al volo chi deve dire l’ultima parola e imperturbabile ha asserito. In questa farsa che preferivamo non vedersi ripetere, anche il giornalista del Canale 2 della televisione israeliana può spiegare senza creare tanto scandalo che il presidente Bush ha dato al premier Olmert "luce verde per iniziare una vasta operazione militare contro la Striscia di Gaza", aggiungendo solo di evitare troppe stragi perchè l’Onu è sempre lì a contare morti e feriti collaterali, quindi si è raccomandato di "stare attento ai civili palestinesi".

E poi il giorno dopo, “pervaso di una forte emozione” nella Basilica della Natività a Betlemme, l’imperatore cristiano che ha sulla coscienza i crimini più devastanti della storia, si sente come altre volte strumento di Dio: «e il più grande regalo che l’Onnipotente può fare a ciascun uomo, donna o bambino – afferma Bush- è la libertà». Un po’ ci vergognamo a riportare queste allucinazioni sacre che offendono Betlemme e la cristianità. Ma non può dirlo nemmeno il suo Sindaco cristiano Victor Batarse, che incredibilmente viene tenuto fuori dalla città perchè considerato terrorista in quanto eletto grazie al sostegno dei membri del consiglio municipale che rappresentano Hamas. (Solo il TG3 si permette di riportare la notizia in TV).

Non deve scandalizzare nessuno che milioni di profughi che attendono giustizia da sessant’anni oppure milioni di arabo-israeliani discriminati quotidianamente come cittadini di serie B a rischio di deportazione, cioè anni e anni di Risoluzioni Onu e complessi processi di pace, tutto sia semplicemente liquidato da due “frasette” uscite dalle Sue Divine Labbra (di Bush, naturalmente). E mentre escono dalla sua bocca a pochi metri si muore di fame e si bombarda dal cielo, più in là si distruggono case e dietro l’angolo si costruiscono muro e nuovi insediamenti.

Ma non siate pessimisti! L’ha detto: la futura Palestina dovrà avere una «continuità territoriale» evitando la creazione di uno stato “come un formaggio svizzero a buchi”. Logicamente -non l’ha aggiunto- tenendo conto delle mutate condizioni di fatto su terreno…

BoccheScucite

Ultimi dati da Gaza

 – l’acqua potabile non è più disponibile a Gaza e le Autorità Israeliane non consentono l’accesso né di acqua imbottigliata né di pompe idriche. Il prezzo dei filtri per l’acqua è salito da 150 a 1000 NIS

 -solo a una dozzina di prodotti base è consentito l’accesso: i tir che trasportano le merci e che giornalmente hanno accesso a Gaza sono passati dal numero di 900 a 15.

 -il Governo Israeliano continua a impedire o ritardare l’accesso alle cure sanitarie, fuori dalla Striscia di Gaza, così come continua a essere negato agli studenti che hanno ottenuto una internship all’estero, di raggiungere le università straniere.

 Apri l’agenda e parti anche tu…

UN PONTE PER BETLEMME:

cammino di pace e solidarietà

29 febbraio-7 marzo 2008

 Siamo già tanti, pronti a partire per Betlemme, rispondendo ad un appello delle suore del Caritas Baby Hospitel e dei cristiani della città.

 1° marzo 2008

Sono passati 4 anni da quel giorno funesto…sono passati 60 anni dal giorno in cui sono stati distrutti e rasi al suolo 418 villaggi palestinesi. Più passa il tempo e più la situazione diventa tragica: la vita nelle città/prigioni palestinesi è sempre più dura e la negazione dei più elementari diritti umani (sono passati 60 anni anche da quella dichiarazione) rende la vita di 3 milioni e mezzo di persone letteralmente impossibile. Il muro sta continuando ad avanzare chiudendo nella sua morsa quei pochi passaggi che ancora davano un po’ di speranza e di luce. La terra è ferita e devastata da questo mostro di 730 km. C’è però anche un altro muro che ferisce e devasta i cuori dei nostri fratelli di Terrasanta : è il muro di silenzio che sta scendendo sulla loro tragedia… Non ci sono più voci che si alzano di fronte a questa ingiustizia clamorosa. Non possiamo restare in silenzio né di fronte agli uomini, né di fronte a Dio.

Vogliamo gridare con la nostra preghiera il nostro NO a questa violenza, perché non potrà creare che altra violenza.

Vogliamo gridare con la nostra preghiera il nostro SI alla possibilità di continuare a vivere insieme su questa terra, abbattendo i muri di distruzione e costruendo ponti di condivisione.

 

PROGRAMMA

venerdì 29 febbraio

Partenza da Brescia, arrivo a TEL- AVIV e trasferimento in Galilea. Pernottamento a Gerusalemme.

sabato 1 marzo

Giornata della pace a Betlemme. Attività e visite varie. (Marcia della Pace, Concerto per la Pace, ecc…) Cena e pernottamento a Betlemme.

domenica 2 marzo

Celebriamo la Domenica con la comunità di Betlemme. Pranzo in parrocchia. Nel pomeriggio spostamento ad Hebron. Cena e pernottamento a Betlemme.

lunedì 3 marzo

Mattina: partenza in pullman per Nazareth. Visita ai villaggi distrutti nel ’48 Rientro a Nazareth e visita della città. Cena e pernottamento a Nazareth.

martedì 4 marzo

In mattinata partenza per Aboud. Pomeriggio: Ramallah. Sera: Arrivo a Taybeh, sistemazione nell’ostello, cena, incontro con p. Raed.

mercoledì 5 marzo

Arrivo nel deserto e trasferimento a piedi al monastero di S.Giorgio Koziba. Cammino a piedi nel deserto di Giuda fino a Gerico attraverso il Wadi Kelt, visita agli scavi dell’antica Gerico. Incontro con padre Feras ed il gruppo scout. Cena e pernottamento a Gerusalemme.

giovedì 6 marzo

Visita della città vecchia con i suoi luoghi santi: Spianata delle Moschee, Muro del Pianto e Santo Sepolcro (luoghi santi per le tre religioni). Pranzo nel suq. Nel pomeriggio Monte Sion, Cenacolo, Monte degli Ulivi. Cena e Pernottamento a Gerusalemme.

venerdì 7 marzo

Nella prima mattinata volo Tel Aviv-Brescia e nel pomeriggio rientro nelle proprie città.

 

PER INFORMAZIONI E ADESIONI:

http://www.agesci.toscana.it/terrasanta.php

 

 

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