Dal Fiume al Mare: l’inevitabile fine del colonialismo in Palestina

Gerusalemme-Mintpressnews.com. Di Miko Peled. Lo slogan “Dal Fiume al Mare, la Palestina sarà libera” fa uscire allo scoperto il lato peggiore dei portavoce sionisti, partendo dalla CNN e da Fox News e arrivando ai vari trolls e portavoce sionisti di tutto il mondo: “Aha!” dicono, “Il vero volto di questi anti-semiti è stato svelato”. Il terrore dilaga quando affermano che questo è “un richiamo al genocidio degli ebrei”. Ma questa idea che una Palestina libera richieda l’espulsione o l’uccisione degli ebrei viene inventata principalmente da coloro che vedono la Palestina soltanto come luogo nel quale una parte domina ed uccide l’altra, e dove tutte le persone non potranno mai vivere in pace. Per di più, questo continuo gridare all'”anti-semitismo” fa parte di una strategia fondamentale nel momento in cui la narrativa sionista viene messa in discussione. 

Dove potrebbero andare gli ebrei?

Alla fine di una lezione che ho tenuto presso la University College di Londra assieme al dr. Azzam Tamimi, nella quale ho discusso a proposito dei vantaggi di uno stato che vada dal Fiume al Mare, mi è stato chiesto da parte di uno studente ebreo “Dove potrebbero andare gli ebrei?”. La mia risposta è stata “Perché vuoi che se ne vadano?”. Questa è stata una reazione simile, anche se molto meno clamorosa, alla reazione avuta dopo il discorso di Marc Lamont Hill alle Nazioni Unite, ed entrambe sono indicative dello stesso pensiero: Palestina libera significa morte agli ebrei. Tuttavia, la visione di una Palestina libera (dal Fiume al Mare, e dove altrimenti?) è quella di un paese nel quale tutte le persone vivono libere come uguali cittadini di fronte alla legge. Se qualcuno che vive qui adesso non vuole vivere in uno stato nel quale tutte le persone siano governate dalle stesse leggi, allora forse quello non è il luogo adatto a loro. 

Dove altro, sennò?

Se la Palestina non va dal Fiume Giordano al Mar Mediterraneo allora dove si trova? Anche se un tempo vi era comunque una discussione a sostegno della Soluzione dei Due Stati – o, in altre parole, di uno stato palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, con Gerusalemme Est come capitale – Israele l’ha fatta morire. Per oltre cinquant’anni, o almeno dalla guerra del giugno 1967, i governi israeliani che si sono succeduti hanno ripetutamente ribadito, attraverso dichiarazioni e fatti concreti sul terreno, che l’intero paese è Israele ed appartiene agli ebrei ed è stato creato per farvi vivere gli ebrei. Nessuna parte del paese è stata risparmiata dalla diffusione del colonialismo, delle violenze e delle restrizioni sioniste.

Israele ha trasformato la Striscia di Gaza in un campo di concentramento. Coloro che vi abitano, per colpa di azioni israeliane e non a causa loro, sono per la maggior parte rifugiati senza casa, con alti livelli di povertà e disoccupazione. Ovviamente, la Striscia di Gaza nella sua attuale situazione non è adatta a far parte di nessuno stato, e la condizione prioritaria, prima di ogni accordo, deve essere la fine immediata dell’assedio, la ricostruzione, e la riabilitazione della Striscia di Gaza e dei suoi abitanti.

La Cisgiordania non esiste più. Ora viene chiamata Giudea e Samaria e – come il Naqab, Al-Jalil e la maggior parte delle altre zone della Palestina – è disseminata di insediamenti coloniali costruiti a discapito dei Palestinesi e violando i diritti dei Palestinesi. Le aree nelle quali risiedono ancora i Palestinesi sono a tutti gli effetti delle piccole prigioni con limitazioni economiche e politiche che rendono la vita praticamente impossibile. Gli spostamenti dei Palestinesi tra le varie zone di quella che era una volta la Cisgiordania sono, nel migliore dei casi, limitati, se non addirittura impossibili – e questo riguarda anche il cosiddetto presidente dell’Autorità Palestinese, che necessita di un permesso da parte di Israele per potersi spostare attraverso le aree sulle quali egli stesso dovrebbe avere autorità.

Gerusalemme Est, come anche la sua parte occidentale, è stata devastata dagli insediamenti coloniali al punto tale che in alcune zone Gerusalemme è divenuta irriconoscibile. Diversamente da Gerusalemme Ovest, dove la pulizia etnica è stata totale e nessuna famiglia palestinese è rimasta, la pulizia etnica di Gerusalemme Est non è ancora riuscita completamente. Tuttavia, le città ed i villaggi come Bir-Nabala, Qalandia, A-Ram ed altri – aree che sono adiacenti alla città e che un tempo erano fiorenti quartieri commerciali e residenziali – ora sono città-fantasma a causa della campagna sionista di pulizia etnica.

Il riconoscimento di Israele.

Le argomentazioni a favore della ripartizione della Palestina e della creazione di due stati sono sempre state deboli ed inattuabili. Questa, purtroppo, è la verità fin dal 1948, quando venne fondato Israele sul 78% della Palestina ed il colonialismo sionista venne legittimizzato ed accettato a livello internazionale. Il colpo di grazia sull’idea della ripartizione, però, è stato dato dai sionisti stessi dopo il 1967 quando il restante 22% della Palestina, compresa Gerusalemme Est, venne annessa ad Israele.

La costruzione delle colonie, la distruzione di città, villaggi e quartieri furono immediate e divenne chiaro, a chiunque avesse prestato un minimo di attenzione, che ormai questa conquista era irreversibile. Il dialogo sulla Soluzione dei Due Stati concedeva ormai soltanto ad Israele la possibilità di costruire, nei terreni appena conquistati, nuove colonie solo per ebrei, sostenendo che, se un giorno si fosse raggiunto un accordo di pace, avrebbe preso in considerazione il fatto di poterle rimuovere.

La Palestina non ha mai cessato di esistere dal Fiume Giordano al Mar Mediterraneo, ed anche la ridenominazione del paese in “Israele” non ha modificato questa realtà. Ma allo stesso tempo le discussioni sulla suddivisione e sulla Soluzione dei Due Stati non hanno rallentato lo stupro ed il saccheggio sionista che dura da settant’anni nel paese. Pertanto oggi, quando si discute di una Palestina libera, come ne ha parlato il dr. Marc Lamont Hill, non si ha altra scelta che menzionare l’intera Palestina, dal Fiume al Mare, eppure il dr. Hill ha ricevuto, ancora oggi, una raffica di critiche da tutte le parti. 

Come andrà a finire.

La domanda su come il regime sionista ed il colonialismo saranno condotti verso la loro fine è un argomento importante del quale discutere. La previsione più chiara e pratica ad oggi sembra essere quella che lo stato sionista, come è accaduto in Sudafrica, non può avere altra possibilità che capitolare. Questo è quel che accadrà in gran parte come conseguenza del successo della campagna BDS, dell’isolamento politico e della resistenza palestinese sul terreno. Tutti i primi ministri israeliani, d’ora in poi, devono sapere che dovranno probabilmente annunciare, come ha dovuto fare De Klerk in Sudafrica, la fine del regime di apartheid in Palestina, il rilascio incondizionato dei prigionieri palestinesi, e la richiesta di votazioni one-person-one-vote. Ciò condurrà alla creazione di una legislatura e di un governo che rappresenterà tutti i popoli che vivono tra il Fiume ed il Mare.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi